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di Gian Carlo Caprino.
A maggio è stato raggiunto un accordo di massima, tra Stati Uniti e 
Russia,  per convocare entro l”estate a Ginevra una nuova conferenza di 
pace che ponga fine alla tragedia siriana. Sin qui sembrerebbe una 
notizia come un”altra, non degna di particolare attenzione, visto che 
missioni analoghe, sponsorizzate da Lega araba e ONU, si sono svolte in 
passato senza portare ad alcun risultato concreto; ma la vera novità è 
che Barack Obama ha accettato che ai prossimi negoziati di Ginevra 
partecipino, a pieno titolo, anche rappresentanti dell”attuale governo 
di Bashar Al Assad. Sino ad oggi Obama aveva chiaramente detto, per 
bocca del Dipartimento di Stato, che qualsiasi ipotesi di pace negoziata
 avrebbe dovuto avere, come precondizione, l”abbandono del potere da 
parte di Assad; pertanto il cambio di strategia costituisce, di fatto, 
una sconfitta dolorosa per la Casa Bianca.
Ma cosa ha determinato
 questo voltafaccia da parte della diplomazia americana? Essenzialmente 
la constatazione che i ribelli, malgrado l”imponente finanziamento 
estero e relativa fornitura di armi, stanno perdendo la guerra civile. 
Su tutti i fronti l”esercito regolare è al contrattacco e scaccia i 
ribelli verso i confini, aiutato anche da milizie territoriali lealiste 
(multiconfessionali, è bene rimarcarlo) e da decine di migliaia di 
guerrieri Hezbollah, il “Partito di Dio” del vicino Libano. Gli attacchi
 eseguiti da aerei israeliani all”inizio di maggio sull”area di Damasco 
hanno poi aggravato la situazione diplomatica e provocato una levata di 
scudi da parte di Lega araba e Turchia i quali, pur essendo 
consapevolmente complici di Israele nel tentativo di eliminare il regime
 di Assad e dei suoi rappresentanti, non possono permettersi il lusso di
 tacere, approvando di fatto azioni ostili contro uno Stato arabo 
compiute da quello che viene unanimemente individuato dai popoli della 
regione come il più feroce nemico dell”Islam, a causa della questione 
palestinese.
Tutto chiaro dunque, da parte di Obama? Nemmeno per 
sogno. Per arginare l”ira del fronte anti siriano e specificatamente 
dell”emiro del Qatar (che sogna di trasformare la Siria in un Califfato 
sunnita retto dalla shaaria), del governo turco di Erdogan (che nutre 
ambizioni imperiali che riportino i possedimenti turchi ad un secolo fa)
 e, soprattutto, di Israele (che vuole la fine del regime siriano perché
 è l”unico Paese confinante che non ha accettato come definitiva 
l”invasione della Cisgiordania, come hanno fatto a suo tempo Egitto e 
Giordania in cambio della pace) il Presidente USA ha subito contattato 
l”Europa affinché abolisca l”embargo degli armamenti ai ribelli, cosa 
che ubbidientemente gli organi di Bruxelles hanno recepito, e, 
provocatoriamente, ha inviato il senatore John McCain attraverso il 
confine turco in un villaggio controllato dai ribelli; quest”ultima 
visita ha tanto il sapore delle “missioni lampo” in Iraq ed Afghanistan.
 Naturalmente queste iniziative hanno sollevato le proteste di Russia e 
Siria che parlano, apertamente, di azioni che vanno contro la pace.
Un
 colpo al cerchio quindi, da parte di Obama, ed uno alla botte, per non 
smentire l”ambiguità di questo Presidente, ambiguità riscontrata in 
molte occasioni dai commentatori internazionali.
Barack Obama, 
insomma, sempre di più appare o come troppo debole per realizzare le 
aspettative quasi messianiche che hanno accompagnato la sua prima 
elezione (ricordiamo che nel 2009 gli è stato addirittura conferito il 
Nobel per la Pace) per l”instaurazione di un nuovo ordine mondiale 
pacificato e multipolare, ovvero come un astuto simulatore che vuole 
mantenere e fortificare gli immensi vantaggi geopolitici che gli esiti 
della Guerra Mondiale prima e della Guerra fredda poi hanno assicurato 
agli Stati Uniti d”America; vantaggi che però vivono e si nutrono di 
turbolenze e destabilizzazioni in vaste aree del mondo.
Se e 
quando la conferenza di pace avrà luogo, data per scontata la 
partecipazione ai più alti livelli del governo siriano, sancirà però un 
principio: gli assenti avranno comunque torto. Nella disarticolata e 
confusa galassia della ribellione siriana, infatti, è molto probabile 
che l”ala più oltranzista e feroce, molto vicina all”emiro del Qatar ed 
alle altre dinastie tribali del Golfo Persico, non vorrà partecipare ai 
negoziati, perdendo così qualsiasi potere decisionale in un”eventuale 
accordo da sottoporre al popolo siriano; ciò comporterà, di conseguenza,
 la totale sconfitta politica delle monarchie tribali ed il tramonto del
 disegno di instaurare un Califfato sunnita in Siria, con gravi 
conseguenze anche al loro interno. Ma gli emirati del Golfo sono stretti
 vassalli di Washington; avrà dunque la forza Barack Obama di 
guadagnarsi qualche punto del premio Nobel per la Pace, che gli è stato 
assegnato a futura memoria, o preferirà, come al solito, privilegiare lo
 status quo, dimostrando ancora una volta la sua doppiezza?
Fonte: http://www.clarissa.it/editoriale_n1892/Grandi-manovre-attorno-alla-Siria.
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