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Progressisti in divisa, pacifisti in guerra

“Progressisti in divisa: la Sinistra pacifista viene arruolata”: è il titolo di un libro di Patrick Boylan di cui alla fine pubblicheremo la versione e-book.

Progressisti in divisa, pacifisti in guerra
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13 Luglio 2013 - 21.46


ATF

“Progressisti
in divisa: la Sinistra pacifista viene arruolata”
: è il titolo
di un libro di Patrick Boylan* che pubblicheremo a puntate
quest”estate su Megachip, a partire da oggi, capitolo dopo capitolo,
per poi pubblicarlo tutto insieme in forma di e-book.
L”argomento susciterà malumori, perché metterà a nudo i difetti
dei pacifisti italiani, che condividono i difetti della
sinistra italiana, nel frattempo auto-eliminatasi. Scopriremo il modo
in cui, essendosi smarriti, molti pacifisti sono stati – quasi
senza soluzione di continuità – cooptati nel campo di chi fa le
guerre. La prima puntata contiene l”Introduzione e il primo capitolo.

Buona
lettura

(la
Redazione)

Progressisti
in divisa: la Sinistra pacifista viene arruolata

di Patrick Boylan*.

Introduzione

Anni
fa, a perorare la causa del coinvolgimento italiano nelle guerre del
nostro tempo – Golfo Persico, Somalia, ex-Jugoslavia, Afghanistan,
Iraq – erano soltanto le destre: esponenti politici e anche
opinion
makers

(“orientatori dell”opinione pubblica”) come Giuliano Ferrara,
Vittorio Sgarbi, Marcello Veneziani. Ma nel 1999 (il bombardamento
NATO della Serbia) e poi con regolarità dopo le contestazioni del
2003 (l”invasione USA dell”Iraq), avvenne una svolta. Ora vengono
arruolati, allo scopo di rastrellare consensi per le guerre,
soprattutto esponenti politici ed
opinion
makers
di
sinistra, associazioni ed intellettuali progressisti, persino
esponenti pacifisti. Con un risultato doppio: si ottiene un consenso
trasversale nel paese, che giustifica quello (scontato) del
Parlamento; inoltre si ottiene la paralisi del movimento pacifista,
disorientato dai Progressisti in Divisa.

La
presente indagine documenterà dieci “espropriazioni” dell”area
della Sinistra pacifista e delle sue istituzioni, tradizioni e
pratiche – per esempio, la nomina a capo di una nota ong
progressista e pacifista, dietro pressioni politiche, di un fautore
della guerra preventiva e delle guerre umanitarie. Documenterà
inoltre come questo Progressista in Divisa e altri simili abbiano
disorientato e paralizzato il movimento pacifista, contaminandolo
ideologicamente.

Si
sosterrà che la causa principale dell”eclissi del movimento
pacifista di massa – iniziata dopo l”intenso attivismo degli anni
”68-”78 e diventata totale dopo le proteste pacifiste del ”99 e del
2003 – sia proprio questa campagna di disorientamento ideologico e
di manipolazione di valori. Essa verrà chiamata
guerra
ideologica

per distinguerla dalla più nota
guerra
psicologica

che riguarda soprattutto la manipolazione emotiva e affettiva e che
viene svolta anch”essa, in parallelo. Infine, si indicherà un nuovo
corso per il pacifismo, già in atto.

II.
Esempio
concreto recente

Prima
di esporre i dieci casi esemplari di
condizionamento
ideologico della Sinistra (pacifista)
,
può
servire esaminare un esempio recente che tutti hanno toccato con
mano.

Chi
non ricorda, ad esempio, che, allo scoppio della “Primavera Araba”
libica nel febbraio del 2011, un certo organismo “ONU” ha
raccolto, in un baleno, le firme di 70 ong e associazioni
progressiste nel mondo per un appello che supplicava il Consiglio di
Sicurezza di intervenire militarmente in Libia contro le truppe di
Gheddafi? Come poi sarebbe avvenuto.

Un
giornalismo più attento avrebbe informato l”opinione pubblica che
quell’ente “ONU” era, in realtà, una lobby denominata “
U.N.
Watch

– non un organismo delle Nazioni Unite, dunque, bensì una
organizzazione privata che “tiene d”occhio” (
watch)
l”ONU, in questo caso nell”interesse del Congresso Mondiale Ebraico
(vedi:
bit.ly/link-01
 ☼ 
 ►
).
In altre parole, a scrivere l”appello e a raccogliere e
pubblicizzare le firme è stata una ong molto di parte. (Infatti,
insieme alle ong sorelle
Human
Rights Watch
,
FIDH
e
NED,
U.N.
Watch

promuove
campagne per i diritti umani finalizzate spesso alla
destabilizzazione di regimi non graditi all”Occidente. (Per avere
ragguagli, vedi:
bit.ly/link-02
 ►
e
bit.ly/link-03
 ► )

Ma
tutto questo non lo potevano sapere i vari Andrea Camilleri, Luigi
Ciotti, Margherita Hack, Dacia Maraini, Moni Ovadia, Cristina
Comencini, ecc., persone di grandissima statura morale e civile e di
chiara fama progressista, arruolate per essere i primi firmatari
della versione italiana dell”appello e quindi, indirettamente, per
battere i tamburi di guerra. Non c”era il tempo per fare indagini né
sul documento proposto né sui fatti asseriti; bisognava firmarne una
versione italiana subito per porre fine alle “atrocità di massa”
che stava commettendo Gheddafi secondo
tutti
i media, i quali diffondevano, lo sappiamo oggi, notizie
allarmistiche – alcune vere ma moltissime completamente false o
smisuratamente esagerate – fornite da ong come…
U.N.
Watch,
Human
Rights Watch,

la FIDH, la NED
.

Sia
ben chiaro: nessuno nega la spietatezza di Gheddafi, gli orrori
commessi, la giusta collera delle vittime, il bisogno diffuso di
libertà – anzi, di dignità! – e la rivolta che ne è scaturita.
Ma la rivolta è stata anche altro e ha avuto anche cause
concomitanti. I tg le hanno sistematicamente taciute; i partiti
(salvo uno, non in Parlamento) hanno fatto finta di non vederle.

È
ora, invece, di guardarle in faccia.

Bisogna
chiedersi, ad esempio, chi era l”intermediario straordinariamente
efficiente che, in un batter d”occhio, ha fatto conoscere e poi
rielaborare la versione italiana dell”appello dell”
U.N.
Watch
,
raccogliendo poi decine di firme illustri. In fondo, i primi spari
nella città di Bengasi sono avvenuti il 17 febbraio 2011, la
giornata della collera, ma riportati nei giornali il giorno 18.
Pertanto sono intercorsi
solo
tre giorni

tra la notizia di quei primi spari e la diffusione, il 21 febbraio,
dell”appello delle 70 ong progressiste. (
È
in lingua inglese; cliccare sul link per il sito, sul sole

per la versione italiana o sulla freccia

per la copia archiviata del sito:
bit.ly/link04
 ☼ 
 ►
). 

Pure la FIDH ha chiesto d”intervenire subito ( bit.ly/link05
 ☼ 
 ►
). 

 Poi sono intercorsi altri
due giorni soltanto

prima della diffusione, il 23 febbraio, della versione italiana, con
firme illustri e con un”impaginazione grafica elaborata (
bit.ly/link06
 ►
).

Certo,
la tempestività italiana è incredibile ma non impossibile: i primi
firmatari italiani sono sicuramente abituati a redigere appelli in
fretta e si conoscono tra di loro. Il loro documento poi chiede sì
di “fermare il massacro in Libia”, ma non cita la cosiddetta
“responsabilità di proteggere” o gli altri principi del diritto
internazionale di cui al documento in lingua inglese; si concentra
soprattutto sul dramma dei profughi. Ma almeno il testo originale in
lingua inglese, così giuridicamente preciso e ricco di dettagli sui
supposti fatti avvenuti in Libia in precedenza, doveva
necessariamente essere stato redatto ben prima del 18 febbraio. Due
giorni non sono sufficienti per verificare fatti lontani, ricercare
le fonti normative da citare, comporre un testo articolatissimo e poi
contattare 70 enti “progressisti” e “pacifisti” nel mondo i
quali, a loro volta, dovevano fare le loro verifiche per decidere se
aderire o meno (infatti, un controllo s”imponeva in quanto il
documento sa di forzatura). A meno che…

A
meno che non ci siano stati accordi preventivi – cioè, presi prima
ancora dei primi spari. Eventualità che, senza nulla togliere alla
giusta rabbia dei bengasini né alla spontaneità soggettiva della
loro rivolta, getta un”ombra inquietante sui retroscena del
sollevamento a Bengasi. Vedi la testimonianza shock alla TV francese
di un libico antiGheddafi presente a Bengasi quel giorno, che parla
con amarezza di una rivolta non-violenta dirottata da estranei
armati, coordinati e che sembravano agire secondo un piano
prestabilito (
bit.ly/link07
 ►
).

Che
che ne sia – e senza dare necessariamente credito a questa
testimonianza – dobbiamo comunque riconoscere che la tempestività
di uno dei due appelli – e forse di entrambi – è del tutto
inverosimile e richiede una spiegazione.

Un
ulteriore elemento: l”appello italiano con le prime firme dei
progressisti è stato pubblicato lo stesso giorno della diffusione,
da tutti i tg, del famoso video sulle presunte fosse comuni per le
“innumerevoli” vittime di Gheddafi. Il video era apparso in un
blog e quindi mandato subito in onda, apparentemente senz”alcun
controllo. Un anno dopo, Alessandro Marescotti ha ricordato, per la
rubrica Riflessioni e Opinioni di peacelink.it, quanto quel video (di
un normalissimo cimitero sul mare, che esisteva tale e quale ben
prima della rivolta) sembrava usato ad arte per provocare orrore e
sgomento, generando un consenso trasversale a favore di un intervento
armato immediato in Libia, come poi sarebbe avvenuto (
bit.ly/link08
 ►
).

Quella
notizia sulle fosse comuni sarebbe stato, forse, una bufala messa in
circolazione deliberatamente per favorire la raccolta popolare di
firme sull”appello dei progressisti? Sembrerebbe di sì. Infatti,
il video fu smentito il giorno dopo su un altro blog, in maniera
inoppugnabile grazie alle foto che il blogger aveva ritrovato negli
archivi Google, nonché da un sottosegretario che accennò a quel
blog in una intervista radiofonica (Carlo Giovanardi, subito zittito)
e infine da un inviato della RAI (Amedeo Ricucci, zittito anche lui).
Ma i tg ed i giornali diedero poco conto a queste smentite; anzi, la
stragrande maggioranza le ignorò completamente – neanche un
accenno. Eppure i media avevano appena dato pieno credito ad un
blogger sconosciuto e al suo video bufala! Solo in seguito, cioè
dopo la raccolta delle firme, la smentita del secondo blogger fu
rivelata al grande pubblico con gli elementi di prova.

Si
delinea dunque un chiaro intento, peraltro riuscito, di drammatizzare
senza ritegno gli eventi in Libia, presumibilmente con l”obiettivo
di:

  1. “vendere”
    da sinistra un intervento militare – più neocoloniale che
    umanitario – come “responsabilità di proteggere un popolo
    inerme”. Vedi il Comizio del PD con Bersani il 22 febbraio 2011
    (
    YouTubeBersaniLibia
     ►;);

  1. convincere
    gli stessi pacifisti e progressisti a sostenere un intervento in
    Libia – molti lo fecero – o comunque a non contestarlo. Vedi la presa di posizione prointervento CGIL-ARCI-Amnesty del 24 febbraio 2011
    (
    ARCI-CGIL-Amnesty

    .

Così
le contestazioni “a sinistra” al bombardamento NATO della Libia,
iniziato poi il 19 marzo 2011, furono rare e sparute (Roma:
bit.ly/link-08a
 ►
) oppure confuse, in bilico tra il “no” e il “si”
all”intervento (Milano:
bit.ly/link-08b
 ►
).
In questo video gli studenti-giornalisti di SestinaTV hanno colto
bene il disorientamento e la paralisi del movimento pacifista:
bit.ly/link-08e
 ►
.


     

(L”episodio
della petizione per la Libia verrà ridiscusso più avanti, per
rispondere a due domande. Come si sarebbe potuto reagire allora, se
non con la firma, di fronte all”aut-aut che la petizione
poneva: “O chiedere un intervento ONU in Libia o lasciar massacrare
centinaia di civili indifesi” – sapendo che “intervento”
significava “con la forza”? Come bisogna reagire in futuro
davanti ad aut-aut
simili? Vedremo che, di regola, è possibile rifiutare l”una e
l”altra alternativa, se inaccettabili entrambe, e rovesciare il
dilemma.)

Si
aggiunge, dunque, un altro tassello al mosaico che va ricomponendosi:
quello di un sistematico condizionamento ideologico della Sinistra
(pacifista) per creare un consenso trasversale a favore delle guerre
occidentali e per frenare ogni contestazione. Chi promuove questo
condizionamento ideologico sistematico? Di sicuro chi ne beneficia:
i
poteri forti,
italiani e mondiali, che hanno avuto molti vantaggi economici e
geopolitici dalla riconquista della Libia (nonché della Costa
d”Avorio), nel 2011, e che ora progettano nuove guerre.

 

Chiarimento
terminologico: “
poteri
forti
”

Per
“poteri forti” s”intende, secondo la formulazione del movimento
statunitense
Occupy
Wall Street
,
quell”1% della popolazione degli USA e degli altri paesi OCSE, che
possiede il 50% della ricchezza di questi paesi e che è dunque in
grado di condizionare fortemente le loro economie, i loro governi, e
quindi le loro scelte in politica estera – ivi compresa la scelta
di fare la guerra. Agiscono sia attraverso azioni di
lobbying
presso i singoli governi e i mezzi di comunicazione di massa, sia
attraverso strumenti collettivi quali la stessa OCSE, il Forum
Economico Mondiale (
bit.ly/link-09
 ►
) e, a livello
strategico, il Gruppo Bilderberg (
bit.ly/link-10
 ►
) e la Commissione
Trilaterale (
bit.ly/link-11b
 ►
), i cui componenti sono
in larga parte conoscibili in Internet. I poteri forti, dunque,
esistono e hanno nomi e cognomi. Per un modello, empiricamente
verificato, dell”attuale concentrazione in poche mani del potere
economico mondiale, vedi:
bit.ly/link-12c
 ►
(solo in inglese, Google non traduce articoli estesi). In Italia,
secondo le ultime stime della Banca d”Italia, la metà della
ricchezza del paese sarebbe posseduta invece dal 10% della
popolazione – ma probabilmente si tratta in realtà dell”1% come
negli USA, data la minore trasparenza fiscale nel Bel Paese. Nella
seguente intervista, un Vice Presidente del Consiglio dei Ministri fa
i nomi dei poteri forti italiani (ma solo in parte; egli non
menziona, ad esempio, i poteri forti che più hanno premuto negli
anni per la partecipazione italiana alle guerre, come l”Ambasciata
USA, la Finmeccanica e l”Eni):
bit.ly/link-12
 ►
.

*Patrick
Boylan
,
e
x docente all”università Roma Tre, dove
approdò dalla sua nativa California, è entrato poi nella redazione
di PeaceLink.it e ha
co-fondato a Roma gli Statunitensi
per la pace e la giustizia
e la Rete NoWar. «Non è
antiamericano contrastare le guerre imperialiste del mio paese,
anzi!» tiene a precisare. «Abbiamo esportato la democrazia così
tanto che ormai ce n”è rimasta ben poca. Salviamo almeno quella!»

A breve saranno pubblicati i prossimi capitoli del libro di Patrick Boylan

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, cliccarci sopra
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