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Siria: i ripensamenti dei folgorati sulla via di Obama

'Il mondo s''affaccia sull’abisso di una guerra mondiale, e riscopre che la questione Siria è complessa e non è questione buoni-cattivi. Ve l''avevamo detto? Non ci basta'

Siria: i ripensamenti dei folgorati sulla via di Obama
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12 Settembre 2013 - 22.33


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NOTA PRELIMINARE DI MEGACHIP.

Nel momento in cui il
mondo si affaccia sull’abisso di una guerra mondiale, riscopre che la questione della Siria è complessa, che non è questione
di buoni contro cattivi, che servono la politica e la diplomazia, che
l’opposizione siriana ha commesso errori
politici catastrofici, che l’interventismo coloniale dell’Occidente e delle
petromonarchie provoca immani tragedie. Oggi ci arriva anche Il Fatto Quotidiano, con un articolo di Caterina Soffici, un requiem autocritico
per la “Primavera Araba” e per tutte le ingenuità dei folgorati sulla via di
Obama. A noi tuttavia non basta dire “ve
l’avevamo detto”
(leggete questo articolo, per favore),
decine di migliaia di ammazzati fa. 

Vorremmo invece che si riprendesse in mano una proposta di pace realistica ed equilibrata come quella di Johan Galtung (diffondetela).

Intanto, buona
lettura.

___________________________

Un
voto nell’urna non fa primavera (araba)
di
Caterina Soffici
, Il Fatto Quotidiano, 12 settembre 2013.

«La rivoluzione
siriana è finita», ha detto Domenico Quirico dopo 150 giorni in mano ai
ribelli. «Ho amato la Siria, ma mi sento tradito. È come se Dio avesse detto al
demonio: prenditi questo paese, fanne quello che vuoi».

Quirico ha detto in
maniera diretta e senza tanti giri di parole ciò che è ormai chiaro a tutti: le
primavere arabe sono sfiorite da un dì. E forse in quei paesi si stava meglio
quando si stava peggio. Siria compresa. Assad è il cattivo. Ma in questa storia
i buoni sono scomparsi. O forse non ci sono mai stati. «Gente malvagia, non ho
trovato nessuno che avesse un minimo di pietà verso di me», ha detto l’inviato
di guerra, uno che se l’è vista brutta altre volte e che quelle zone conosce
bene.

NOI OCCIDENTALI anime
belle tifiamo per i ribelli a prescindere. Plaudiamo sempre alle rivolte e al
cambiamento – auspicandolo e giudicandolo con i nostri parametri occidentali –
senza stare troppo a pensare se il nuovo che avanza ha la faccia brutale e
ancor meno affidabile dei dittatorucoli precedenti. Tutti siamo stati contro
Gheddafi, Mubarak, Ben Ali. Davamo per scontato che il post-dittatura sarebbe
stato meglio del pre-dittatura.

Ricordate le Primavere
Arabe? Sembrano secoli, quando tutto era cominciato. Ma era solo il 17 dicembre
2010, neanche tre anni fa, quando il venditore ambulante tunisino Mohammed
Bouazizi si dava fuoco per chiedere dignità contro il dittatore tunisino Bel
Ali e protestare contro i poliziotti del regime che gli avevano sequestrato
illegalmente la merce. Era stata la miccia, nel senso letterale. Un rogo umano
che aveva infiammato la Tunisia. Migliaia di persone nelle strade, una protesta
a macchia d’olio alla quale l’occidente ingenuamente inneggiava. Guardavamo
quelle folle immani alla televisione e pensavamo di stare davanti alla porta di
Brandeburgo quando è caduto il muro di Berlino.

Pensavamo che in
Tunisia, e in Libia e in Egitto la gente si stava ribellando contro la fame e
le condizioni economiche miserabili, ma anche contro la corruzione, in difesa
delle libertà individuali, contro le violazioni dei diritti umani.

E poi c’era questa
novità di Twitter. La rivoluzione dalle piazze arabe in diretta, foto comprese.
La rivoluzione in diretta sullo smartphone non l’aveva mai provata nessuno, dai
tempi di Robespierre. E noi avevamo la possibilità di farlo. Ovviamente tutti
stavano con i giovani che chiedevano cambiamento, giustizia e libertà.

Poi tutto è finito.
Non avevamo fatto i conti con i fondamentalisti islamici. Pensavamo che libere
elezioni in quei paesi portassero alla democrazia come la intendiamo noi.

Non
avevamo capito niente
.
Le Primavere Arabe sono sfiorite prestissimo. Più veloci dei ciliegi in
Giappone. Una mattina ci siamo svegliati e non c’era più niente. I tre paesi
simbolo della protesta sono a rischio dittatura islamica, stretti nella morsa
della crisi economica e teatro di scontri tra islamisti e laici.

L’EGITTO È IN MANO a
una giunta militare con un governo ad
interim
paravento e intanto il raìs Mubarak è stato scagionato di parte
delle accuse.

In Libia le milizie
che hanno combattuto e ucciso Gheddafi ora controllano le installazioni
petrolifere – per ricattare il debole governo post-raìs – così come
l”approvvigionamento di acqua. Prima della rivoluzione, insomma, il popolo libico
se la passava – pur senza libertà – meglio.

Ma per poterlo dire
c’è bisogno che uno torni da 5 mesi di prigionia “trattato come un animale”. La
rivoluzione siriana è finita e noi non ce n’eravamo accorti.

Fonte: Il Fatto Quotidiano, 12 settembre 2013.
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