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Siria: il veleno in coda. Il Rapporto ONU sui gas

Dove sono i corpi? Gli Ispettori ONU non li han trovati. Né li han cercati. E i “ribelli” li aiutavano alterando il luogo del delitto. Tutte le incongruenze del Rapporto

Siria: il veleno in coda. Il Rapporto ONU sui gas
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18 Settembre 2013 - 17.51


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di Francesco Santoianni.

E che volete di più? Il Rapporto dell’ONU parla chiaro: hanno trovato il Sarin. E pure i missili con caratteri cirillici. E pure la traiettoria dei missili suggerisce
il punto di lancio: una postazione di Assad. Quindi, il colpevole
(anche se questo Rapporto per “statuto” non poteva indicarlo) è l’infame
Assad che, nella “immane strage di Goutha”, ha ucciso centinaia e
centinaia di persone. A proposito, dove stanno i loro corpi? Beh, quelli
gli Ispettori dell’ONU non li hanno trovati. Anzi, non li hanno nemmeno
cercati. Nonostante la, certamente disinteressata, collaborazione dei
“ribelli” che li aiutavano nell’indagine sul campo.

Una
indagine sbalorditiva questa dell’ONU. Che si direbbe volutamente
sciatta, ambigua, fatta per prendere tempo. E permettere agli aggressori
della Siria (dopo la loro debacle diplomatica) di tenere in caldo
l’opinione pubblica, per quando (Rambouillet
insegna) sarà chiesto al governo di Damasco –magari con qualche
inaspettata clausola al programma di dismissione delle armi chimiche –
di mettere la testa nel capestro. E scatenare la guerra.

 



Ma
diamo una scorsa al Rapporto ONU reso pubblico il 16 settembre. Su
quali fonti si basa? L’elenco è lungo: “testimoni”, (chi? presentati da
chi?), “immagini” (quali? riprese da chi?), “video” (quali?, ripresi da
chi?) “audio” (quali?, registrati da chi?) “cartelle cliniche”
(compilate da chi?)… Il Rapporto non rivela le fonti; assicurando,
comunque, che il tutto è stato depositato in qualche archivio delle
Nazioni Unite. Con queste premesse, non potendo analizzare alcuna
documentazione acquisita dalla Commissione di indagine, non resta che
affidarsi al racconto degli Ispettori ONU.

 



“Il
26 agosto, la missione ha visitato Moadamiyah di West Ghouta per due
ore. Il 28-29 agosto la missione ha visitato Zamalka e Ein Tarma di East
Ghouta per un tempo totale di cinque ore e mezzo. Nonostante i limiti
di tempo imposti, e ripetute minacce di danni, tra cui un attacco al
convoglio da un cecchino non identificato il 26 agosto, la missione è
stata comunque in grado di raccogliere una notevole quantità di
informazioni e di raccogliere la quantità necessaria di campioni
.”
(Paragrafo 18, pag. 3). “Notevole quantità di informazioni” raccolte in
sette ore e mezza. Anche con le interviste ai nove infermieri, sette
medici curanti, e 28 testimoni oculari (pag. 16)? Speriamo di no, perché
se così fosse, ci sarebbe da dubitare del valore di queste interviste.



 

Tra
l’altro, oltre all’attendibilità delle testimonianze raccolte, la
stessa accuratezza delle indagini in generale (caratterizzate da una
solerzia che è possibile osservare qui, qui e qui) meriterebbe una valutazione. Il punto 6 (pag. 2) del Rapporto riferisce che “la
missione ha visitato Moadamiyah il 26 agosto 2013 e Ein Tarma e Zamalka
il 28-29 agosto. Durante le sue visite in loco , la Missione delle
Nazioni Unite ha condotto le seguenti attività: interviste con i
sopravvissuti e altri testimoni; documentazione delle munizioni e dei
loro sub – componenti; prelievo di campioni ambientali per analisi
successive ; valutazione dei sintomi di sopravvissuti ; raccolta dei
capelli , urina e sangue campioni per successive analisi
.” Ma di
quante persone era composta la squadra degli Ispettori ONU per potere
svolgere tutte queste funzioni in sette ore e mezza? 

Il Rapporto non lo
dice ma crediamo non dovessero essere poi tante, considerato che
entravano tutte in sei autovetture
partite da Damasco. Altrettanto importante, poi, è un’altra domanda:
chi aveva organizzato le verifiche sul terreno degli Ispettori? Chi
diceva ad essi dove andare a cercare, dove guardare, quali campioni
raccogliere, quali testimoni sentire? Il Rapporto (Appendice 3, pag. 10)
lo spiega: “Un leader delle forze di opposizione locali – che è
stato ritenuto preminente nella zona da visitare – è stato identificato e
ha chiesto di prendere la ”custodia” della missione. Punto di contatto
all”interno dell”opposizione, è stato utilizzato per garantire la
sicurezza e il movimento della missione, per facilitare l”accesso ai
casi/testimoni più critici da intervistare (…) dando così modo alla
missione di concentrarsi sulle sue attività principali
.”



Un ottimo punto di partenza per garantire l’affidabilità dell’inchiesta!



Ma
occupiamoci del Sarin, che alcuni laboratori – assicura ìl Rapporto –
hanno rintracciato sia nel sangue e nelle urine di alcuni sopravissuti e
sia in campioni di terreno e oggetti vari nell’area di Ghouta. Intanto
una premessa. Il Sarin
uccide con dosi infinitesimali (DL 50 i.p. per la cavia di 0,4 mg/Kg):
una microgocciolina sulla pelle e via. Questo significa che nei
sopravvissuti devono essere rintracciate dosi ancora più piccole. I
pochi studi non coperti da segreto militare attestano che la valutazione
del basso livello d”attività delle pseudocolinesterasi circolanti
eritrocitarie (nei globuli rossi) può fornire una qualche indicazione
sulla presenza di Sarin solo a condizione che questa analisi venga fatta
tempestivamente.



Ovviamente
non sappiamo se i laboratori utilizzati dall’ONU abbiano usato una
qualche tecnica diagnostica solo da essi conosciuta; ma ci domandiamo
perché mai, invece di ineffabili analisi su campioni di urine e sangue,
prelevati dopo almeno una settimana dalla presunta esposizione,
l’indagine non sia stata effettuata sui corpi (ed eventualmente, anche
sui vestiti) delle persone uccise da Sarin, nei quali – essendo assente
lo smaltimento metabolico – le tracce di Sarin avrebbero potuto essere
evidenti.



Una
domanda senza risposta, in quanto i protocolli di analisi (Appendice 2,
pag. 8 del Rapporto) sono segreti e restano pure secretati in qualche
cassaforte dell’ONU i dati delle analisi. In mancanza di questi, non
resta che affidarsi alla buona fede dei membri della Commissione
dell’ONU e dei suoi collaboratori. Stessa rassegnazione per quanto
riguarda il Sarin che sarebbe stato rintracciato su campioni di terra
indicati agli Ispettori dell’ONU dai, certamente obbiettivi e
scrupolosi, capi di ribelli che li accompagnavano.



Ancora
più sospetta è la pretesa degli Ispettori di identificare il Sarin dai
sintomi dei sopravvissuti; sintomi, si badi bene, che il Rapporto non
specifica se fossero ancora presenti al momento dell’anamnesi o se
fossero solo rievocati dai sopravvissuti. Ma quali sintomi? Il Rapporto
delle Nazioni Unite elenca (a pag. 13) i sintomi che si manifestano nei
sopravvissuti da attacchi da Sarin: difficoltà respiratorie, visione
sfocata, irritazioni negli occhi, miosi, perdita di conoscenza,
convulsioni, vomito. Tutti tranne uno, riportato in qualsiasi manuale di
Difesa civile o pubblicazione scientifica: la perdita di controllo
dell’intestino e della vescica e, quindi, fuoriuscita incontrollata di
feci e di urina. Senza questo ultimo sintomo, (dettato dalla inibizione
dell”enzima colinesterasi, che idrolizza il neurotrasmettitore
acetilcolina) e assolutamente assente nei 36 sopravissuti esaminati
dagli Ispettori dell’ONU il quadro clinico può essere fatto risalire a
qualsiasi gas. Non a caso, questo sintomo risulta assente nei pur
numerosissimi video prodotti dai “ribelli” che pretenderebbero di documentare vittime di gas Sarin.



E
pure un altro sintomo – tipico del Sarin – risultava assente in questi
video: la miosi e cioè il restringimento della pupilla. Fino a qualche
giorno fa, quando un video diffuso dalla CNN mostrò – finalmente! – al mondo la famosa miosi. Sarin? No, inoculazione di un collirio
a base di Pilocarpina, (comunemente utilizzato per il controllo del
glaucoma). 

Fosse stato Sarin, l’occhio e la palpebra, con lo
scompaginamento del sistema nervoso indotto dal gas, non avrebbero
potuto avere quei movimenti registrati nel video. 

Movimenti che,
ovviamente, non si possono cogliere nella foto che troneggia a pag. 14
del Rapporto. E l’eventuale video di questa “prova” resta secretato in
qualche cassaforte dell’ONU. Non ci resta, perciò, da chiederci come mai
questo “classico” sintomo dell’esposizione a gas organofosforici, quale
il Sarin, sia presente (pag. 13 del Rapporto) soltanto nel 14 per cento
dei “sopravvissuti” analizzati dagli Ispettori dell’ONU.



Poi
c’è la faccenda dei missili. Missili. Non già proiettili di artiglieria
caricati di gas come quelli usati dai “ribelli” e da essi propagandato
in questo video.
Missili. Che devono, necessariamente essere lanciati o da apposite
postazioni lanciamissili (che, pare, i “ribelli”, non abbiano ancora) o
da aerei. Missili con incise lettere in alfabeto cirillico
(diligentemente fotografate a pag. 19 del Rapporto). Missili di Assad,
quindi. Missili, come abbiamo visto, fatti ritrovare agli Ispettori
dell’ONU dai “ribelli”.



La
faccenda dei missili, quindi, potrebbe chiudersi qui. Se non fosse per
la curiosità di scoprire cosa ci abbiano ricamato sopra gli Ispettori
dell’ONU. Cinque pagine (da 18 a 23) nelle quali, utilizzando reperti e
presunte tracce di crateri di impatto, si pretende di dimostrare
l”azimut e la traiettoria di alcuni missili. Cinque pagine che si
direbbero messe lì a rimpolpare una relazione desolatamente carente se
non fosse per annotazioni (pag. 22) davvero gustose: “Durante il tempo trascorso in questi luoghi, alcuni individui sono arrivati portandoci altre munizioni”.
La Relazione, saggiamente, fa notare. nella frase successiva, che
questo potrebbe essere un eventuale tentativo di inquinare le prove.
Peccato che non si sia chiesta anche come facessero i volenterosi
collaboratori a maneggiare missili già carichi di Sarin continuando a
restare vivi. E, visto che c’erano, gli Ispettori potevano pure
domandare ai ribelli, che li hanno immortalati nei loro video diffusi in
Rete, come facevano a restare vivi i “soccorritori” che trasportavano a
braccia le “vittime da Sarin”.



Un’altra
perla quando la Relazione (punto 22, pg. 4) pretende di attestare la
volontà di compiere una colossale strage con missili e gas sfruttando la
particolare ora dell’attacco. “La mattina del 21 agosto mostra un
calo di temperatura tra le 02,00 e le 05, 00 del mattino; questo
significa che l”aria non si muove dal basso verso l”alto , ma piuttosto
il contrario. In caso di attacco chimico tali condizioni meteorologiche
massimizzano il potenziale impatto del gas che, essendo più pesante
dell’aria, può rimanere vicino al suolo e penetrare in livelli più bassi
di edifici e costruzioni dove molte persone erano alla ricerca di un
riparo
.”



D’accordo,
per il calo di temperatura che, comunque, si manifesta in tutti i
giorni dell’anno. Di meno, sull’efficacia di un attacco con i gas di
notte, quando le persone sono in parte protette dalle mura domestiche.
Per niente, sulla scelta di uccidere persone che si andrebbero a
rifugiare ai piani bassi e in cantina, anche perché non si vede proprio –
con un gas inodore e immediatamente paralizzante quale il Sarin – come
avrebbero potuto allarmarsi e avere il tempo di rifugiarsi ai piani
bassi e in cantina, Ma, visto che si insiste tanto sulle questioni
atmosferiche, forse sarebbe stato il caso citare, nella Relazione, anche
i venti che spiravano, da giorni, nella zona di Goutha e che, oltre a
ridurre l’efficacia del gas, lo avrebbero indirizzato nel centro di
Damasco. Roccaforte dell’infame Assad.



Concludiamo
rispondendo ad una argomentazione che sta serpeggiando sui media
mainstream, per venire incontro ai tanti che già si stanno lamentando
per la vacuità dei contenuti del Rapporto dell’ONU. E cioè, che questa
l’indagine sarebbe stata caratterizzata da superficialità e
approssimazione per colpa del regine di Assad che, fino alla fine,
avrebbe ostacolato l’ingresso degli Ispettori dell’ONU nell’area di
Ghouta per permettere ai suoi sgherri di far sparire le prove. Non è così.
Ispettori dell’ONU stavano già in Siria, invitati dal governo di Assad,
per investigare su tutta una serie di attacchi chimici effettuati, con
ogni evidenza, dai “ribelli”. E quando la notizia della “immane strage
di Ghouta”, certificata da un davvero incauto
comunicato di Médecins sans frontières (“355 morti, 3600 ricoverati”)
ha fatto il giro del mondo, il governo di Damasco non ha esitato un
secondo a chiedere agli ispettori dell’ONU di andare a Ghouta. A Ghouta,
dove, con ogni evidenza, un ridotto numero di persone è rimasto ucciso,
non già da un attacco con missili al Sarin, ma da gas sprigionatosi da
un tunnel nel quale i “ribelli” costruivano i loro artigianali ordigni
chimici. E questa verità è attestata – non già da autorevoli Rapporti
ufficiali che rimandano a “documentazioni” destinate a restare segrete –
ma dalle già decine e decine di interviste a viso aperto, video, foto,
analisi e articoli che chiunque può leggere sul web (ad esempio, sul
nostro sito).



Se,
invece, qualcuno, vuole continuare a schiumare di rabbia contro la
“diplomazia” e il Consiglio di Sicurezza dell’ONU” che impediscono di
dare la giusta lezione a quella canaglia di Assad (anzi “Gas-add”, come
già suggeriscono innumerevoli pagine Facebook) non ha che da credere al
Rapporto dell’ONU e pregustarsi la prossima guerra.



 



La Redazione di Sibialiria



(testo di Francesco Santoianni, in collaborazione con Marco Palombo) 

Fonte: http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=1995.

 

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