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Dopo Assad, ancora Assad

Perchè in Siria sono rimasti solo i fondamentalisti. [Massimo Ragnedda]

Dopo Assad, ancora Assad
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5 Gennaio 2014 - 17.19


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di Massimo Ragnedda

L”Occidente, nel nome della Realpolitik, ha accettato l”idea che la soluzione migliore per la Siria, e per il mondo occidentale, sia ancora Assad. Questo non significa che Assad sia un santo o che all”improvviso sia diventato un presidente democratico, ma semplicemente che Assad è il male minore.

D”altronde l”Occidente accetta e sostiene dittature molto più feroci e temibili di quella siriana: penso alle petromonarchie e in particolare all”Arabia Saudita, senza ombra di dubbio una delle società più chiuse e antidemocratiche al mondo.

In Siria l”opposizione laica non esiste quasi più, il Comandante dell’Esercito libero siriano, il generale Salim Idris, è fuggito dopo che gli integralisti islamici hanno preso il controllo delle sue basi ai confini della Turchia, e sul campo di battaglia ci sono quasi esclusivamente miliziani islamici giunti da tutto il mondo per combattere la loro guerra santa.

Guerra santa che niente ha a che fare con la giusta battaglia per la libertà e per i diritti per i quali, all”inizio, i ribelli lottavano. I fondamentalisti sunniti che combattono in Siria, lottano con l”obiettivo di trasformare la Siria in un califfato. Combattono una guerra confessionale per arginare l”ascesa dello sciismo iraniano e contenere l”influenza di Teheran in Medio Oriente. Perché in fondo la vera battaglia è quella.

Il regime saudita usa tutta la sua influenza politica, economica e militare per arginare l”Iran, paese di ben altro calibro intellettuale, culturale e sociale. La cultura millenaria persiana non è nemmeno lontanamente paragonabile a quel tribale e medioevale paese che è l”Arabia Saudita e l”Occidente dovrebbe avere il coraggio di aprirsi un po” di più all”Iran e chiudersi, invece, all”Arabia Saudita.

I sauditi sono in primissima fila nel finanziare i gruppi più estremisti e fondamentalisti un po” ovunque: dalla Somalia alla Tunisia, dall”Egitto alla Siria. Il regime saudita che ha stretto accordi con Israele per un potenziale attacco all”Iran. Cooperazione tra sauditi e israeliani che non si limita solo a pianificare una guerra contro l”Iran, ma anche a fornire addestramento (Israele) e armi (Arabia Saudita) ai terroristi che, in particolare in Libano, combattono contro gli Hezbollah (controllati dall”Iran e molto attivi in Siria al fianco di Assad).

È da leggersi in questa ottica l”attentato all”ambasciata iraniana a Beirut (costato la vita a 23 persone oltre al ferimento di altre 146) avvenuto il giorno prima della ripresa dei negoziati sul nucleare, a Ginevra, tra l’Iran e le sei potenze mondiali.

Israele e Arabia Saudita hanno paura che gli Stati Uniti ridisegnino le loro alleanze in Medio Oriente e che l”Iran possa tornare ad essere uno dei pilastri di riferimento degli Stati Uniti come lo era prima del 1979. Per questo i sauditi sono così impegnati a fornire armi e sostegno logistico ai terroristi che combattono in Siria.

Altri appoggi arrivano dal Qatar (da qui la propaganda di Al Jaazera) e dalla Turchia, il cui confine con la Siria è interamente in mano a gruppi di Al qaedisti. Secondo Thomas Hegghammer, del “Norwegian Defense Research Establishment”, sono circa 1200 gli europei mussulmani che combattono in Siria, ovvero il più grande numero di combattenti islamici europei della storia recente.

La presenza di questi terroristi è da sempre un campanello di allarme per i governi europei. Miliziani con passaporto europeo che al loro rientro nel vecchio continente costituiranno un gravissimo problema per la sicurezza. Migliaia di fanatici ben addestrati, e ancora più radicali, pronti a portare la loro guerra santa anche nelle nostre città. E noi Occidente, tramite la Turchia e i sauditi, abbiamo fornito loro armi e logistica. Ancora una volta, come successo in Afganistan, alleviamo il ragno nel buco. Ragno pronto a pungere non appena sarà possibile.

La caduta “democratica” di Assad era auspicabile all”inizio della cosiddetta rivoluzione, ma ora è evidente a tutti, anche agli inglesi e agli americani, che la guerra contro Assad non può essere vinta e che la sua caduta sarebbe la soluzione meno gradita. Non esiste una soluzione militare alla crisi siriana.

Non esiste perché il sostegno della popolazione è ancora alto, i ribelli laici hanno abbandonato il campo di battaglia e per quanto odino Assad lo trovano un male minore rispetto ai tagliagola giunti da mezzo mondo. Quella che combattono gli alqadeisti non è la guerra laica e democratica auspicata in principio dai ribelli che chiedevano maggiori diritti e maggiore libertà. La guerra in Siria ha perso, da tempo, la sua impronta laica e democratica e ora con la disfatta dell”Esercito libero Siriano (FSA in inglese) restano sul campo solo integralisti islamici. Continuare ad armarli e sostenerli sarebbe un errore imperdonabile.

Lo stesso generale Idris, prima della sua fuga, aveva offerto di unire le sue forze (stimati all”inizio in 120mila e ora circa 40mila) con il regime di Assad per combattere contro i terroristi islamici. E questo la dice lunga sull”aria che si respira in Siria che ha fatto, sino ad oggi, più di 100 mila morti e milioni di profughi. Ma questo, alle potenze straniere che combattono a distanza in Siria, sembra non interessare minimamente.

(02 gennaio 2014) [url”Torna alla Home page”]http://megachip.globalist.it[/url]

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