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Iraq e Siria. Il terrorismo islamista mai così forte

Caduta Mosul, seconda città dell’Iraq, in mano ai tagliagole jihadisti, siamo al punto più alto del terrorismo islamista dalla sua nascita a oggi. Un disastro occidentale.

Iraq e Siria. Il terrorismo islamista mai così forte
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12 Giugno 2014 - 22.53


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di Alessandro Aramu.


La caduta di Mosul, la seconda
città dell’Iraq in mano al gruppo jihadista dello Stato Islamico
dell’Iraq e del Levante (ISIS), con il controllo dell’intera provincia
di Nineveh, rappresenta il punto più alto del terrorismo islamico dalla
sua nascita ad oggi. L’ISIS, contrariamente a quanto si pensa, non fa
parte di al Qaeda, il cui comando generale, con una nota pubblicata lo
scorso febbraio, ha comunicato di non avere “alcun rapporto
organizzativo con il gruppo e di non essere responsabile delle azioni di
quest’ultimo”.

Qaedisti o meno, poco cambia. Nella galassia dell’estremismo
islamico, l’ISIS è considerato il gruppo di jihadisti più spietato,
autore di crimini terribili, in particolare in Siria, dove ha il
controllo del nord est del paese con la città di Raqqa che è diventata
la capitale di uno stato nello stato di vastissime dimensioni.

Persino il Fronte al-Nusra, unico rappresentante di al-Qaeda in Siria,
è ampiamente considerato tra i siriani come “più moderato” rispetto
alla linea dura dell’ISIS. Comparare il terrore è operazione ardua ma
certe sfumature possono far comprendere meglio la natura dell’ISIS,
responsabile di azioni terribili nei confronti di cittadini inermi, di
torture e stragi di massa che la stampa per lungo tempo ha cercato di
nascondere. Rispetto al Fronte al-Nusra, l’ISIS vanta una maggiore
facilità di affiliazione per chi ne voglia far parte e si rivolge
direttamente ai non arabi pubblicando comunicati e diffondendo video su
Internet in lingua inglese, o sottotitolati.

In quella che hanno eletto la loro capitale siriana, gli spietati
jihadisti dello Stato Islamico hanno subito imposto divieti contro la
musica e messo al bando il fumo, vietando anche la vendita di sigarette e
pipe. Hanno inoltre deciso di ”applicare la sharia”, ovvero la legge
islamica. Inoltre l’ISIS sventola la sua bandiera nera anche a Kamishli.

In Iraq le forze governative non hanno opposto alcuna resistenza
all’avanzata dell’ISIS. Almeno nella prima fase. Militari e polizia, in
migliaia, si sono sciolti come neve al sole davanti all’avanzata degli
uomini armati. Viste le foto e le immagini che arrivano da quei posti,
bisognerebbe dire pesantemente armati: mitragliatori, cannoni, mezzi
pesanti sono spesso di fabbricazione occidentale. In alcuni fotogrammi
sono state riconosciute armi di fabbricazione americana.

Dopo Mosul, anche Tikrit e Ninive sono cadute nelle mani dei
miliziani jihadisti dell’ISIS. E questo è solo l’inizio. L’obiettivo è
conquistare Baghdad, dissolvere lo stato iracheno e sostituirlo con un
Grande Califfato o un Emirato islamico che comprenda anche la Siria.
Nelle mani del terribile gruppo jihadista ci sono anche importanti città
come Falluja e Ramadi. Neanche ai tempi di Osama Bin Laden il
terrorismo era stato così forte e ben radicato nel territorio.

Amnesty International ha chiesto alla Turchia e agli Stati del Golfo
di impedire l’ingresso di combattenti e l’invio di armi verso l’ISIS e
altri gruppi armati autori di gravi violazioni del diritto
internazionale umanitario, in particolare in Siria. Il richiamo di
Amnesty, che per lungo tempo ha taciuto sulle nefandezze compiute dai
“ribelli” jihadisti in Siria, non è casuale: in passato, i rapporti tra
Ankara e l’ISIS sono stati tutt’altro che conflittuali.

Come ricorda il giornalista Gian Micalessin,
il gruppo ha goduto per anni del sostegno dei servizi segreti del Mit
disponibilissimi ad appoggiare chiunque combattesse Bashar Assad. “Nel
caso dell’ISIS, il vantaggio era persino duplice. L’ISIS è, infatti, il
nemico giurato delle milizie curde, vicine al vecchio Pkk di Ocalan, che
controllano vaste zone della Siria abbandonate dall’esercito di
Damasco. Se i curdi siriani erano nemici assoluti, quelli del nord Iraq,
fedeli a Massoud Barzani, erano alleati preziosi per garantire ad
Ankara un diritto di prelazione sul petrolio contrabbandato illegalmente
da Kirkuk”.

È di tutta evidenza, quindi, che la montagna di denaro che
l’Occidente ha riversato in Siria per combattere il presidente Bashar al
Assad sia servito principalmente ad armare il terrorismo islamico,
indebolendo proprio le componenti più moderate e laiche della resistenza
siriana, a partire da quella armata. Il principale antagonista sul
campo di battaglia di Assad, l’Esercito Siriano Libero (ESL), è stato
infatti fortemente indebolito dalle diserzioni, dall’addio alla
battaglia di un numero elevato di soldati e dalla trasmigrazione di molti di essi proprio verso i gruppi jihadisti,
ritenuti più incisivi nella lotta al regime. In definitiva a combattere
i gruppi jihadisti in Siria è rimasto il solo esercito di Assad con
l’aiuto, in alcune porzioni del territorio, dei miliziani armati di
Hezbollah. Russia e Iran non hanno mai smesso di fornire armi e sostegno
a Damasco. Teheran si è detta pronto a dare il proprio sostegno anche in Iraq, pur di impedire la caduta della capitale che rappresenterebbe un disastro per gli equilibri della regione.

La responsabilità degli Stati Uniti e dell’Europa, soprattutto di
Francia e Gran Bretagna, è grandissima. Quello che sta accadendo in Iraq
è anche il frutto del conflitto siriano, con la comunità internazionale
che ha tentato di colpire Assad usando strumentalmente proprio i suoi
peggiori nemici. Oggi il presidente americano Obama è all’angolo,
stordito dal corso degli eventi e incapace di fronteggiare una
situazione che egli stesso, per primo, ha contribuito a creare con la
sua politica miope. Accecato da Assad, considerato il male assoluto, non
certo dal suo popolo che l’ha votato in massa in
quanto ultimo vero baluardo contro l’estremismo islamico e il
terrorismo internazionale, il premio nobel per la pace ha creato un
mostro che oramai controlla una parte della Siria e dell’Iraq e bussa
alle porte dell’Europa, dove sono presenti molte cellule pronte a
colpire in ogni momento.

In questo senso la strage al museo ebraico di Bruxelles dello
scorso 24 maggio, dove sono morte 4 persone, non è un caso. Il presunto
autore, un francese, è un ex combattente dell’ISIS che ha soggiornato
in Siria, dalla fine del 2012 per oltre un anno, prima di far perdere le
tracce. E i casi di “occidentali” presenti in Siria al fianco dei
gruppi armati jihadisti si moltiplicano. Difficile fare una stima: il
numero oscilla da un minimo di 2300 a un massimo di 4500 combattenti.
Tra le fila dell’ISIS, in particolare, sono presenti moltissimi
miliziani in arrivo dalla Gran Bretagna, dalla Francia, dalla Germania e
da altri paesi europei (ma anche dagli Stati Uniti e dall’intero mondo
arabo, oltre che dal Caucaso). Il rischio è che questo terrorismo di
ritorno, così temono quasi tutti i servizi di intelligence occidentali,
possa incendiare il vecchio continente. Gli attentati di Londra e Madrid
forse non sono così lontani. (twitter@AleAramu)


APPROFONDIMENTI

Foto: il Giornale



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