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'La III Guerra in Iraq, stavolta senza tamburi. Un motivo c''è'

'In Iraq va avanti il nuovo modello di conquista occidentale, lo ''smembramento con conflitto permanente tra le fazioni'', ecco le prove [Patrick Boylan]'

'La III Guerra in Iraq, stavolta senza tamburi. Un motivo c''è'
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13 Luglio 2014 - 21.36


ATF

di Patrick
Boylan*
.

La III Guerra in Iraq è già
iniziata
, con la rapida conquista della fascia centrale del paese
da parte delle milizie ben armate dell”IS (Stato Islamico
– originariamente ISIL, Stato Islamico dell”Iraq e del
Levante
) e con la presa armata, da parte della guerriglia curda
nel nord, della zona petrolifera di Kirkuk e l”«espulsione»
(agevolata con premi di trasloco) dei non-curdi della regione.

Strano a dirsi, quest”ascesa
folgorante dei fanatici dell”IS non sembra preoccupare l”Occidente

più di tanto – e nemmeno l”espansionismo curdo. Niente
allarmismi da Washington, nemmeno dai falchi, solitamente pronti a
cogliere qualsiasi occasione per reclamare un”azione militare.

Di conseguenza, i nostri mass media non
battono con fracasso i tamburi di guerra, come fecero prima della I
Guerra in Iraq (1990), della Guerra in Afghanistan (2001), della II
Guerra in Iraq (2003), e della Guerra in Libia (2011) per far
accettare dall”opinione pubblica l”impiego anche di militari italiani
in questi conflitti.

Una quiete surreale accompagna le
vittorie odierne in Iraq delle milizie dell”IS, per quanto esse siano
indiscutibilmente composte da guerrieri feroci e fanatici. Persino
il Presidente Obama rimanda di continuo l”uso offensivo in Iraq dei
suoi amati droni e consente il tranquillo svolgersi degli
eventi.

Una spiegazione per tutto ciò ci sarà.

Forse queste belve dell”IS non sono poi
così pericolose, in fin dei conti? (Per gli interessi economici e
geopolitici occidentali, s”intende.).

Forse l”espansionismo curdo è stato
concordato con l”Occidente (e pagato con la consegna, due settimane
fa, dei primi barili di petrolio a Israele)?

Ad una tavola
rotonda sugli eventi in Iraq
, organizzata il 7
luglio 2014 dal think
tank
ISPI

al Centro Studi Americani di Roma, molti partecipanti hanno fornito
chiavi d”interpretazione che sembrano avvalorare queste tesi.

Per cominciare, le milizie dell”IS
stanno facendo chiaramente un favore a Israele smembrando l”Iraq
in
tre entità autonome: curda nel nord, sunnita
nella fascia centrale e sciita nel sud; infatti, sin dagli
anni ”50 un tale smembramento è stato auspicato esplicitamente da
Tel Aviv. (Per Israele, è più facile difendersi da staterelli che
litigano costantemente tra di loro, piuttosto che da una grande
potenza militare, com”era l”Iraq di Qāsim o, ancora di più, quello
di Saddam Hussein.)

Anche gli Stati Uniti sembrano
prediligere ora, in Iraq, la soluzione dello “smembramento con
conflitto permanente tra le fazioni”. È vero che il dominio
diretto dell”Iraq sarebbe stato preferibile, qualora fosse stato
possibile: avrebbe consentito agli USA di impossessarsi delle risorse
naturali del paese, senza dover negoziare di continuo tra le fazioni
per ottenere le condizioni più vantaggiose. Ma il dominio
diretto si è rivelato troppo costoso, troppo logorante e,
militarmente, troppo intricato
(in Iraq come in Afghanistan, del
resto). Meglio allora dividere et imperare.

La Libia fu, nel 2011, il primo
grande esperimento pratico di questa nuova strategia
, di questo
RisiKo! giocato con milioni di vite umane.

Gli USA, la Gran Bretagna, la Francia e
l”Italia hanno dapprima incitato i libici dell”est alla rivolta per
poter intervenire poi con i loro bombardieri, ufficialmente allo
scopo di “salvare i ribelli dal regime” ma, in realtà,
per distruggere le maggiori infrastrutture e tutti i gangli
politico-sociali del paese. Lo ha detto esplicitamente un generale
statunitense, con orgoglio: «Missione
compiuta. Con le bombe abbiamo ricacciato la Libia nel medioevo!
»

Infatti il paese – fiorente anni fa
con il più alto tenore di vita e livello d”istruzione del continente
(dopo il Sud Africa) – ormai è in rovina.

Bande erranti di milizie dettano legge
e fanno guerra tra di loro.

Della tanta osannata democrazia,
portata dall”Occidente a costo di 50mila libici morti e centinaia
di migliaia dislocati
, oggi neanche una traccia: alle ultime
elezioni ha votato solo
il 18%
della popolazione. In compenso, le
compagnie petrolifere occidentali, che Gheddafi aveva cacciato
dal paese, riescono ora ad ottenere il petrolio a prezzi
stracciati
, mettendo le bande di milizie le une contro le altre.
Gheddafi, invece, aveva imposto prezzi norvegesi.

Quindi sembra funzionare egregiamente
il nuovo modello di conquista occidentale, ovvero
“smembramento con conflitto permanente tra
le fazioni”
.

La Siria doveva essere il secondo
grande esperimento
della sua efficacia, ma quel testardo di
Assad, sostenuto da gran parte della popolazione, vuoi come
salvatore, vuoi come il male minore, ha resistito e continua a
resistere.

Per cui l”Occidente ora si sposta in
Iraq, per tentare di applicare ancora una volta la sua nuova
ricetta di “guerra e smembramento”.

L”Iraq, del resto, era da tempo finito
sulla lista nera statunitense e israeliana. L”Occidente aveva
assecondato la candidatura di Nuri al-Mālikī come primo
ministro perché prometteva di essere accomodante; invece, una volta
insediato, ha cacciato la più grossa compagnia petrolifera
statunitense dal sud dell”Iraq; ha concesso i contratti principali
per i nuovi pozzi petroliferi a (apriti cielo!) la Cina; ha
facilitato il passaggio di armi dall”Iran ai nemici giurati
d”Israele, Hezbollah (armi usate anche per soccorrere il
governo Siriano che gli USA cercano invece di abbattere); ha
autorizzato il passaggio, sul suolo iracheno, del gasdotto
iraniano-siriano-mediterraneo
, concorrente del gasdotto USA che,
dal mar Caspio, doveva attraversare la Turchia per arrivare al
Mediterraneo… insomma, ne ha combinato delle belle.

Ed ecco arrivare le milizie dell”IS,
quasi telecomandate, per dare una mano agli USA e a Israele nel loro
tentativo di rovesciare al-Mālikī. Formatesi inizialmente in
Siria
per rovesciare Assad, finanziate dall”Arabia Saudita
per conto delle compagnie petrolifere occidentali (il vero State
Department per le questioni medio-orientali), le milizie dell”IS
hanno avuto facile gioco ad impossessarsi della fascia centrale
dell”Iraq. Prima perché è abitata dai loro correligionari sunniti
i quali vogliono, anche loro, cacciare lo sciita al-Mālikī dal
potere. E poi perché sono di religione sunnita anche molti
ufficiali dell”esercito iracheno di stanza nella fascia centrale del
paese, alcuni dei quali hanno facilitato il compito delle milizie
sunnite dell”IS rinunciando al combattimento e mandando a casa le
proprie truppe, presumibilmente in cambio della promessa di un posto
di comando nel nuovo regime. In pratica, l”IS ha incontrato
pochissima resistenza
.

Tuttavia altri capi sunniti locali, pur
desiderando, anche loro, la fine del governo pro-sciita di al-Mālikī,
rifiutano di lottare a fianco delle milizie dell”IS, giudicate troppo
fanatiche. È facile prevedere, dunque, un futuro regolamento di
conti
tra questi sunniti locali e i militanti dell”IS, una volta
rovesciato il regime attuale. Una di queste formazioni di sunniti
locali, il Consiglio
militare degli insorti iracheni
, viene
descritta favorevolmente in questo appello
che chiede il sostegno occidentale alla “lotta degli
iracheni” contro al-Mālikī.

Ma l”appello desta sospetti; è troppo
abilmente scritto in un”ottica occidentale; si sente la mano dello
State Department statunitense (reparto PsyOps) e ciò fa sospettare
anche il finanziamento USA dello stesso Consiglio militare e
di altri capi sunniti locali che rifiutano sia al-Mālikī, sia l”IS.
In pratica, non è affatto fantapolitica ipotizzare che gli USA, per
salvaguardarsi contro qualsiasi eventualità (bet-hedging),
stanno finanziando tutte le fazioni in campo, indirettamente
tramite l”Arabia Saudita e forse anche direttamente in alcuni casi
particolari.

Qual è dunque lo scenario più
prevedibile in Iraq nel prossimo futuro?
Se è esatto quanto
affermato fin qui – e cioè, che la III Guerra in Iraq nasce per
mano dell”Occidente allo scopo di ottenere i vantaggi economici e
geopolitici indicati prima – allora è prevedibile che nel prossimo
futuro:

  • l”IS non
    conquisterà per intero l”Iraq (altrimenti diventerebbe una potenza
    regionale difficilmente controllabile); minaccerà Baghdad (per far
    cadere al-Mālikī) ma non la prenderà d”assalto, pena un
    intervento aereo statunitense per ristabilire gli equilibri;

  • premesso ciò, l”IS manterrà
    comunque la sua presa sulla fascia centrale dell”Iraq, il che,
    insieme alle rivendicazioni secessioniste dei curdi nel nord,
    porterà alla caduta dell”attuale governo e la sua sostituzione con
    un triumvirato curdo-sunnita-sciita;

  • il triumvirato, paralizzato da
    rivalità interne, assisterà impotente alla dissoluzione ufficiale
    dell”Iraq in tre o più staterelli;

  • nello staterello centrale,
    s”insorgeranno poi contro l”IS le milizie sunnite locali meno
    radicali e sostenute dall”Occidente, come appunto l”appena nominato
    Consiglio militare degli insorti;

  • l”IS perderà dunque la sua
    egemonia. Potrebbe sparire (senza nemmeno il benservito da parte
    dell”Occidente) se lo State Department (quello vero) fermerà il
    rubinetto delle sovvenzioni saudite; ma probabilmente i
    finanziamenti continueranno per consentire all”IS, che goderà
    comunque dei proventi petroliferi di
    Baiji. di guerreggiare contro le altre milizie sunnite e di
    mantenere l”Iraq in uno stato di caos permanente (lo scenario
    libico
    ).

Se queste sono le prospettive più
probabili per il futuro, allora è chiaro perché, oggi come oggi, né
Washington, né Tel Aviv, né i capitali europei si allarmano per
l”ascesa folgorante del fanatico Stato Islamico dell”Iraq e del
Levante
, a due passi da casa loro. L”hanno voluto.

Tel Aviv, ad esempio, si sente
sicuramente più a suo agio con un avversario come l”autoproclamato
“califfo” dell”IS, Abu Bakr al Baghdadi
,
rispetto ad un Hassan Nasrallah, leader degli Hezbollah, o simile.
Nel suo primo sermone a Mosul (video-registrata),
il nuovo califfo ha infatti evitato la solita retorica anti-sionista;
non ha colto l”occasione per attaccare Israele che, proprio in quel
momento, aveva pur lanciato l”ennesima offensiva cruenta contro i
palestinesi; non ha nemmeno pronunciato le parole “Israele”,
“ebrei” o “sionismo”. Musica nuova in cucina.

(In un”occasione precedente, è vero,
al Baghdadi aveva detto di voler “conquistare Roma”; ma si è
trattato di una metafora, secondo molti degli intervenuti alla tavola
rotonda dell”ISPI, per indicare il primeggiare del suo califfato,
retto dalla Sharia, sull”impero cristiano, simboleggiato dal
Vaticano.)

Il segno più evidente, però, che le
milizie dell”IS sembrano rientrare tranquillamente nella strategia
globale imperialista dell”Occidente è il semplice fatto che il
fenomeno non è affatto una novità
, è stato seguito da anni
dagli specialisti statunitensi e israeliani
che hanno dunque
consentito, se non addirittura favorito, la sua crescita.

«ISIL/IS
non è di oggi
»
(“ISIL/IS has been a long time in the
making
”), ha insistito il relatore principale, il
professor Ibrahim Al-Marashi, docente di Storia del medio oriente
alla California State University San Marcos.
La rapida crescita dell”ISIL/IS in Siria, ha aggiunto lo studioso, è
dovuta al fatto che il governo di Assad ha voluto garantire l”asse
nord-sud del paese, assolutamente vitale per il movimento di truppe e
materiali, lasciando sguarnito l”asse est-ovest, sopratutto al nord.
Le milizie dell”ISIL/IS hanno dunque potuto conquistare quell”asse e
poi l”hanno semplicemente prolungato in Iraq.

Ma entra in gioco anche la complicità
della Turchia
nel lasciare aperti i varchi lungo la sua frontiera
con la Siria, usati dall”ISIL/IS per rifornirsi. Ora, dal momento
che la Turchia è un paese NATO, non è da escludere che la stessa
NATO fosse al corrente del traffico di armi e di materiali e quindi
complice de facto dell”ascesa dell”ISIL/IS.

In un breve scambio privato dopo la
tavola rotonda, Al-Marashi ha riconosciuto che la pressione
esercitata ora dalle milizie dell”IS su al-Mālikī e su Assad non
può che essere ben vista da Washington. Nel caso della Siria, per
esempio, quella pressione dà il tempo a Washington di mettere in
piedi le
“milizie moderate” cui si
riferisce la recente richiesta di stanziamento di 500 milioni di
dollari – milizie che dovranno poi arrivare per prime al palazzo
presidenziale, cacciare Assad e insediare un Presidente
gradito da Washington.

Alla domanda se egli ritenga che il
governo statunitense abbia allora finanziato direttamente o
indirettamente le milizie dell”IS, lo studioso, visibilmente
imbarazzato, ha risposto diplomaticamente che, essendo uno storico,
si riservava di rispondere a tale domanda dopo i canonici
cinquant”anni. Un altro componente della tavola rotonda, presente
allo scambio, ha poi aggiunto: «Come
no! Gli americani non sono nuovi a finanziamenti del genere, amano
fare gli apprendisti stregoni».
Già! Come si è visto, poi, l”undici settembre del 2001.

Quale posizione, allora, deve
prendere un pacifista
– o, più semplicemente, un cittadino
sensibile – davanti a questa intricata vicenda?

Fu molto più facile manifestare, il 15
febbraio del 2003, contro l”invasione miliare USA dell”Iraq,
preannunciata dall”allora presidente George W. Bush, in quanto essa
era platealmente imperialista (ed anche illegale secondo la Carta
dell”ONU).

Ma come si fa oggi a manifestare
contro un”ingerenza
a stelle e strisce (e a stella di David) in
Iraq, ingerenza che rimane tutta da provare?

Eppure la martoriata società civile
irachena chiede il nostro sostegno: vedi, ad esempio, questo
appello
del Forum
Sociale Iracheno
, che elenca cinque
iniziative
che noi in Occidente possiamo intraprendere per una
campagna di controinformazione e di promozione del dialogo tra le
parti.

Oltre a ciò, possiamo chiedere al
governo italiano di uscire dagli organismi che coordinano il
rifornimento di armi alle milizie attive nel Medio Oriente
. Ad
esempio, nel caso dei ribelli in Siria (finanziati da Washington sin
dal 2005), ciò significa uscire dal “Gruppo di Londra”,
gli ex “Amici della Siria”. Naturalmente, i fabbricanti di armi
italiani obietteranno e perciò bisognerà chiedere nel contempo
finanziamenti pubblici per una (seppur parziale) riconversione
industriale
che possa compensare, con il lancio di nuovi prodotti
non letali, le mancate vendite di armi e munizioni.

Bisognerà inoltre elaborare, insieme
ai parlamentari sensibili che fanno parte delle commissioni estere,
mezzi di dissuasione economico-giuridici da proporre in sede
internazionale:

  • sanzioni economico-finanziarie
    (come quelle praticate oggi contro l”Iran e la Russia) da applicare
    contro tutte le nazioni implicate in progetti di
    destabilizzazione di paesi terzi. Va fatto notare che non servono
    necessariamente le prove obbiettive di un”ingerenza per poter
    applicare una sanzione economica, come si è visto nel caso delle
    sanzioni contro la presunta ingerenza russa in Ucraina. A passare
    all”offensiva e ad applicare sanzioni simili contro gli Stati Uniti
    e contro Israele per le loro ingerenze in Siria e in Iraq,
    potrebbero essere i paesi BRICS e i paesi dell”ALBA, sostenuti
    dietro le quinte da paesi terzi sensibili alle questioni della
    giustizia sociale (l”Italia?);

  • deferimenti davanti alla Corte
    penale internazionale
    (CPI) dell”Aia per crimini contro
    l”umanità. In questo caso servirebbero tassativamente prove
    obiettive di colpa; ma, per fortuna, in molti casi abbondano. Ad
    esempio, le prove dell”operato criminale (istigazione alla guerra
    civile
    ) dell”Arabia Saudita e del Qatar in Iraq e in Siria, sono
    numerose, ben documentate e schiaccianti. Anzi, i leader di queste
    due petromonarchie spesso si vantano in pubblico del loro
    interventismo! Non solo, ma il solo discutere, nelle riunioni BRICS
    o Alba, della possibilità di deferire il re saudita davanti alla
    CPI (o di applicare una sanzione economica contro il Qatar),
    lancerebbe un segnale inequivocabile ai mandanti delle due
    petromonarchie, gli USA e Israele (i quali spesso si comportano nel
    mondo come se si ritenessero impunibili): ossia, che nemmeno loro
    sono sopra la legge.

Infine, siccome le guerre si fanno per
il bottino, bisognerebbe, in positivo, allargare e potenziare
le sedi di negoziato commerciale internazionale (come il WTO), per
fare sì che la suddivisione delle risorse della terra non sia
lasciata alle ingerenze internazionali, in particolare quelle
militari.

*Patrick Boylan, ex docente all”università Roma Tre, dove approdò dalla sua nativa California, è entrato poi nella redazione diPeaceLink.it e ha co-fondato a Roma gli Statunitensi per la pace e la giustizia e la Rete NoWar. «Non è antiamericano contrastare le guerre imperialiste del mio paese, anzi!» tiene a precisare. «Abbiamo esportato la democrazia così tanto che ormai ce n”è rimasta ben poca. Salviamo almeno quella!»

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