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Prove tecniche di neo-bipolarismo

Dopo il crollo dell’Urss, il progetto Usa ipotizzava un ordine monopolare. In meno di un ventennio il progetto si rivela insostenibile. Ora, 4 futuri scenari [A. Giannuli]

Prove tecniche di neo-bipolarismo
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4 Agosto 2014 - 07.13


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di Aldo Giannuli.

L’ottimo articolo di Dario Clemente sul vertice Brics (quando un tuo ex studente e tesista ti dà soddisfazioni, devi anche riconoscerlo apertamente), ha anticipato alcune cose che avevo in mente per questo articolo, riprendendo le riflessioni precedenti sull’assenza di progettualità strategica americana.

Il punto di partenza è questo: dopo il crollo dell’Urss il progetto degli Usa (l’unico in piedi, al tempo) ipotizzava un ordine monopolare, poi, in meno di un ventennio, questo progetto si è rivelato insostenibile. Soprattutto l’onere militare si rivela ormai economicamente proibitivo, anche se gli Usa restano di gran lunga la maggiore potenza militare del globo. Gli Usa, però, mantengono, per ora, il primato finanziario, grazie alla moneta che gli ha consentito di scaricare su tutti gli altri il costo della loro uscita dalla crisi. Vero: ma questo non è sufficiente a creare un nuovo ordine mondiale. L’egemonia finanziaria è importante ma non basta a scongiurare i conflitti e le turbolenze locali, il cui infittirsi può diventare quello che Trevor Roper definì il “confluire di molti temporali che diventano una tempesta”.

D’altro canto, l’egemonia finanziaria, senza che ci sia un qualche equilibrio stabile dei rapporti di forza militari, può rivelarsi effimera, soprattutto in presenza di una crisi economico-finanziaria non domata, come la lezione di un secolo fa dovrebbe ammonire. L’economia è sicuramente necessaria, ma è da sola non sufficiente a garantire l’ordine mondiale, l’altra stampella è necessariamente la politica e la politica non può prescindere dalla forza che, in ultima analisi, è quella che decide, per il noto principio per cui se l’uomo con il portafoglio incontra l’uomo con la pistola, l’uomo con il portafoglio è un uomo morto, a meno che non abbia una pistola di buon calibro anche lui.

Per ora gli Usa hanno la forza necessaria a respingere qualsiasi attacco militare alla loro posizione, ma non hanno più la stessa capacità di intervento esterno, come dire che, militarmente, restano imbattibili in difesa ma non lo sono più in attacco.

A questo punto, le scelte che hanno davanti possono essere le seguenti:

a- arroccarsi nella propria posizione di unica super potenza mondiale, cercando di giocare sulla propria egemonia finanziaria, sulle rivalità altrui, battendo un nemico alla volta, sinché dura il gioco (è, sostanzialmente, la linea di “difesa elastica” dell’impero suggerita da Edward Luttwak nel suo “la grande strategia dell’Impero Bizantino”)

b- “Assorbire” l’Europa (e forse Giappone e/o l’Australia) in un blocco occidentale da contrapporre a tutti gli altri: una edizione rivista e corretta dell’unilateralismo americano, che dividerebbe i costi della supremazia militare fra più soggetti mantenendo la leadership effettiva agli Usa.

Rilancio della formula Nato che sembrò a tratti l’opzione di Obama fra il 2010 ed il 2011 ed è la logica del patto dell’area di libero scambio Usa-Ue.

c- accettare realisticamente di non avere possibilità di durare a lungo in questa posizione, neppure con l’aiuto europeo, e cercare un interlocutore con cui dividere l’onere di garantire l’ordine mondiale in un equilibrio a due, fu l’ipotesi del G2 seguita all’incontro Obama-Hu Jintao nel 2009, poi miseramente naufragata in pochi mesi. Oggi potrebbe esserci una variante con una sorta di bipolarismo rivisto e corretto, con l’idea di un blocco russo-cinese. E’ il neo bipolarismo che si sta affacciando in questi mesi.

d- una ipotesi più articolata che definiamo “club dei sette imperi” dove la governance mondiale è affidata ad un gruppo di grandi potenze (Usa, in probabile posizione di primus inter pares, Cina, Russia, India, Giappone, Germania, Brasile) cui si aggiungerebbe un secondo “anello” di potenze di serie B (Messico, Sud Africa, Indonesia, Turchia, Corea del Sud, Egitto, Francia, Inghilterra, ecc.). Il primo blocco potrebbe avere come sua sede una sorta di super consiglio di sicurezza in seno ad una Onu riformata, il secondo potrebbe essere consociato in un G20 dotato anche di competenze politiche.

L’alternativa a questi schemi sarebbe semplicemente il progressivo degenerare di questa situazione verso un disordine mondiale sempre più caotico.

Ovviamente ciascuna di queste opzioni comporta diversi gradi di fattibilità e, comunque, sconta controtendenze da esaminare caso per caso. Soprattutto, influisce l’elevato tasso di volatilità delle tendenze emerso in questo decennio appena trascorso.

Abbiamo assistito di continuo a rapidi avvicinamenti ed altrettanto rapidi allontanamenti e basti la rassegna di alcune formule coniate una dopo l’altra: Cindia (Cina+India), Eurussia (Ue+Russia), Chimerica o G2 (Cina+America). E potremmo proseguire con l’avvicinamento Russo-americano al tempo della convergenza Bush-Putin, quello russo tedesco (sino alla recente crisi ucraina), il progetto Nafta (che avrebbe dovuto creare ben altra solidarietà di quella esistente fra i tre paesi del Nord America) così come andrebbero ricordati i tentativi di unione monetaria –sul modello Euro- progettati in America Latina e Golfo arabico e di cui non si sente più parlare. In tutti i casi si è trattato di progetti di cui si è parlato per una brevissima stagione e poi tramontati prima ancora di prendere corpo.

Occorrerà riflettere sulle ragioni di questo convulso accavallarsi di progetti e tendenze senza seguito, qui ci limitiamo a mettere questo fenomeno in relazione all’eclisse dell’ orizzonte strategico seguito alla fine del mondo bipolare (appunto: la dimensione strategica della politica non è surrogabile dall’economia o, peggio ancora, dalla sola finanza).

Per ora prendiamo brevemente in considerazione la tendenza al neo bipolarismo chiedendoci quale sia la possibilità che questo finisca per diventare il prossimo ordine mondiale durevole (durevole nel senso di qualche decennio).

E’ decisivo in questo senso il costituirsi di due campi di interessi intorno ad un “magnete” sufficientemente forte da tenere insieme paesi molto diversi fra loro. Al tempo della guerra fredda, il collante fu certo di tipo ideologico, ma anche politico- militare (il timore dell’aggressione dell’altro) ed il tutto trovava espressione in due modelli più o meno organici di assetto economico e politico: da un lato i paesi di libero mercato e di democrazia liberale, dall’altro quelli ad economia pianificata ed a partito unico o egemone per Costituzione. Ma oggi una divisione del genere appare poco credibile: se c’è una differenza sensibile ancora fra i sistemi politici, i sistemi economici tendono a convergere e le differenze che pure ci sono (come le tendenze di capitalismo di Stato in Cina o Russia) tendono ad essere occultate dall’intreccio costante di interessi fra compagnie, società, fondi sovrani ecc. e, comunque, non sembra che nessuno metta ancora in discussione l’ordine finanziario mondiale, anche se non mancano attriti sull’ordine monetario.

Ragion per cui, individuare due blocchi impenetrabili l’uno all’altro riesce abbastanza complicato. Poi c’è da considerare la concreta azione politica dei diversi attori: l’avvicinamento sino-russo dura ormai da un quindicennio (almeno dalla firma del patto di Shanghai), ma i punti di divergenza strategica (come la pressione demografica cinese sulle estreme province orientali russe) non sono mai venuti del tutto meno. La forte accelerazione di questi mesi è stata il prodotto diretto della politica di sanzioni americana dopo l’annessione della Crimea. Ne deriva che il proseguire di questa politica favorirebbe il consolidarsi del blocco sino russo cementato, oltre che dalle questioni energetiche, da un eventuale progetto di nuova via della seta e di un cartello delle terre rare. Ma se la politica americana cambiasse, magari con un cambio della guardia alla Casa Bianca, questa tendenza proseguirebbe o entrerebbe rapidamente nel dimenticatoio come in tutti gli altri precedenti?

C’è da vedere anche la reazione dei “terzi”: l’ordine bipolare fu un ordine imperfetto per la presenza dei non allineati e della crescente influenza cinese, ma, nel complesso, il blocco dei “terzi”(che non fu mai una realtà omogenea e compatta) non ebbe mai un peso politico, militare ed economico paragonabile ad uno dei due contendenti maggiori. Oggi, al contrario, ci sono molti paesi come l’India, il Brasile, l’Indonesia, il Messico (per non dire di Giappone e paesi europei che non è detto aderiscano al blocco occidentale come in passato) ecc che non si accomoderebbero tanto facilmente nella posizione di “marginali” e reclamerebbero un accesso autonomo alle decisioni. Potrebbe nascere anche un “cartello” delle opposizioni al neo bipolarismo. Per cui si tratterebbe di un bipolarismo ben più imperfetto del precedente.

In particolare è evidente che se le tendenze al neo bipolarismo dovessero consolidarsi, lo scontro fra i due blocchi verterebbe subito sui due “paesi bilico” di cui occorrerebbe assicurarsi, se non l’alleanza organica, la benevola neutralità: Germania ed India.

Dunque, nulla di scontato: è possibile che la tendenza al neo bipolarismo faccia la fine delle tante convergenze accennate in questo periodo si sono succedute per evaporare in breve, ma può anche darsi che essa prosegua e si consolidi. Oppure che, attraverso il confronto fra Cina e Russia da una parte ed Usa dall’altra, possa emergere una nuova tendenza: quella che abbiamo definito il “club dei sette imperi”. E’ tutto da decidere.

Fonte: http://www.aldogiannuli.it/2014/08/neo-bipolarismo/

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