'I cosacchi del Don: ''Resistiamo al fascismo'' - Reportage di Vauro' | Megachip
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'I cosacchi del Don: ''Resistiamo al fascismo'' - Reportage di Vauro'

'Dal Donbass in guerra Vauro Senesi riporta l''orgoglio di un mondo sconosciuto ai media occidentali. ''Il nostro nome viene dalla parola turco-tartara Qazaq, cioè Uomo Libero''.'

'I cosacchi del Don: ''Resistiamo al fascismo'' - Reportage di Vauro'
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29 Dicembre 2014 - 05.00


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di Vauro Senesi,  inviato a Lugansk (est Ucraina)

Il Fatto Quotidiano, 27/12/2014

I finestrini del vecchio furgone sono appannati del nostro respiro.
Al di là dei vetri scorre sfocato un paesaggio di ghiaccio. Nella notte i
deboli riflessi dei fari accesi lo illuminano a momenti. Il resto è
solo buio. Abbiamo appena attraversato la frontiera russa e ci troviamo
nel Donbass o Novo Rossija come è stata ribattezzata questa regione dopo
l’autoproclamata indipendenza dall’Ucraina.

Il furgone è guidato da
Igor, tuta mimetica e maglietta a righe bianche e azzurre, sul capo la
kubanka, il tradizionale colbacco rotondo di astrakan nero dei cosacchi.
Igor è un cosacco della Grande Armata del Don. Alto, grosso come un
orso, gioviale, dalle risate grasse e gutturali. “Sniper, sniper”,
cecchini. Ride e accelera al massimo sulla strada ghiacciata e
costellata di crateri di bombe. Non sappiamo se stia scherzando o se
davvero nell’oscurità fuori si annidi la minaccia dei cecchini.

Anche Andrej è un cosacco. Ma al contrario di Igor è piuttosto basso,
asciutto al limite della magrezza ed ha un’espressione mite, quasi
malinconica. Superiamo una colonna di carrarmati che viaggiano a fari
spenti. Le loro sagome scure e massicce ricordano animali preistorici
mastodontici estinti e poi misteriosamente tornati da un tempo antico.

Davvero dentro l’abitacolo del furgone par di essere in una navicella
spazio-temporale che viaggia indietro nella storia.

Igor mette in
continuazione vecchie e struggenti canzoni della resistenza sovietica
della seconda guerra mondiale. “Ancora, come i nostri padri,combattiamo
contro i nazisti” dice Andrej mentre con una mano snocciola i grani di
un rosario di legno. “…Dono di un monaco di Kiev”. Quello che Andrej
mostra della sua appartenenza ai cosacchi è un orgoglio pacato ma
profondo. “Non siamo un’etnia . Siamo una comunità unita dalla fede. Da
secoli difendiamo le frontiere russe. Il nostro nome ha origini antiche,
viene dalla parola turco-tartara Qazaq che significa Uomo Libero“.
A tratti le note elettriche di musica rock si intervallano con quelle
melodiche delle canzoni partigiane creando uno strano contrasto,quasi
stridente. Lo stesso che si potrebbe avvertire nelle parole con le quali
Andrej spiega la sua “Fede” cosacca. Certo c’è quella religiosa,
ortodossa, “Pravoslava“.

MA C’È ANCHE UNA “FEDE” nella comunità umana la cui
libertà si fonda sui diritti fondamentali di ciascun individuo. E’ qui
che la religiosità di Andrej si intreccia paradossalmente con idee
socialiste fino al rimpianto dell’Unione Sovietica.

“Istruzione,
salute,lavoro erano garantiti a tutti. Io figlio di povera gente sono
potuto diventare ingegnere agronomo grazie a questo”. Parla della
rivolta di Maidan con inaspettata simpatia. “La protesta era iniziata
per rivendicazioni giuste. Contro la corruzione, per la protezione
sociale , per affermare i diritti della gente comune che venivano
calpestati. Sono state le oligarchie filo occidentali a
strumentalizzarla trasformandola in scontro xenofobo e fascista”.

L’ANTIFASCISMO Ã¨ un altra tessera fondamentale che
compone il puzzle dell’animo cosacco, nonostante durante il secondo
conflitto mondiale ci siano state anche formazioni cosacche alleate coi
tedeschi. In qualche modo comunque Andrej e tutti gli altri cosacchi che
incontreremo vivono questa guerra come la prosecuzione della “Grande
guerra Patriottica” come qui definiscono l’ultima guerra mondiale. Gli
unici colori che spiccano su nastri fissati alle spalline delle loro
mimetiche sono l’arancione striato di nero , quelli della medaglia per
la vittoria sulla Germania che deriva dall’antico Ordine di San Giorgio.

Non ci sono gradi sulle loro uniformi. La loro organizzazione militare
pare più simile a quella guerrigliera che a quella di un vero e proprio
esercito. Una conferma di questa sensazione ci arriva da Pavel Driumov,
comandante generale dei cosacchi del Don, che incontriamo nella hall
dell’albergo deserto dove ha accettato di raggiungerci. Driumov è alto,
magro, il viso scavato sotto l’immancabile kubanka.

“Dicono che sono
russo, che sono i russi a guidare la nostra lotta – esordisce – ma
guardate questo, è il mio passaporto”. E ci mostra il passaporto
ucraino, dove, dalla foto in bianco e nero, pare fissarci un Driumov
molto più giovane. Senza ancora i segni della guerra impressi sul volto.

 Ci parla addirittura di Guevarismo Driumov, aggiungendo un’altra
tessera al difficile incastro del quadro della “Fede” cosacca che
tentiamo di farci. Si entusiasma quando spiega che il compito che si
sentono chiamati a svolgere non è soltanto quello di combattere ma anche
e soprattutto di ricostruire le basi di una società equa non basata
soltanto sul denaro “…Come lo è quella degli oligarchi che ha portato
questa guerra. Dobbiamo ricominciare a ricostruire scuole, ospedali
gratuiti. Da subito, non dopo” sottolinea con enfasi. Driumov ci ha
portato in regalo una bottiglia di Vodka. Quando se ne va è ancora li’,
tappata, sul tavolo basso. Andrej propone tre brindisi. “Tre e il terzo è
il più importante”.

 Quando per la terza volta alza il bicchiere spiega
il perché. “Il terzo brindisi è a tutti quelli che sono morti in questa
guerra. Tutti , senza distinzione di parte. Perché la pietà umana non
conosce differenze”.

Tratto da: http://vau.ro/2014/12/27/i-cosacchi-del-don-resistiamo-al-fascismo-di-vauro-senesi-il-fatto-quotidiano/.

Fonte:  Il Fatto Quotidiano, 27/12/2014.

Foto: Il cosacco Igor e Vauro (foto di V. Senesi).

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