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Leader sufi, nostra influenza è cruciale contro jihadismo

La confraternita sufi da lui guidata, la ‘tariqa’ Azmiya, è l’unica che combatta sul piano ideologico il salafismo jihadista e militante. [Luciana Borsatti]

Leader sufi, nostra influenza è cruciale contro jihadismo
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13 Gennaio 2015 - 09.52


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di Luciana Borsatti.

“Il nostro obiettivo è promuovere la pace nel mondo, combattere il
salafismo e convincere tutti i musulmani a percorrere la via dell’Islam
moderno”. Vale a dire, “la coesistenza tra tutti i popoli che vivono in
pace” e ”la comprensione reciproca” senza uso della forza. Lo Sheikh
Alaa Abul Azayem, presidente della Federazione mondiale degli ordini
Sufi
, gli aderenti alla corrente mistica dell’Islam, in una
conversazione con l’agenzia di stampa ANSAmed parla di politica egiziana
e del pericolo rappresentato dal jihadismo salafita: un fenomeno sempre
più esteso ed allarmante non solo nelle aree di crisi della regione
(dallo stesso Egitto alla Libia, dalla Siria all’Iraq), ma anche in
quello stesso Occidente da cui molti combattenti jihadisti ormai
provengono.

“Il nostro ruolo è ormai indispensabile non solo per la sicurezza
degli egiziani – dice Azayem parlando con ANSAmed – ma per quella di
tutto il mondo. Molti occidentali sono attratti dal salafismo militante,
mentre i sufi, con la loro filosofia non violenta, possono essere un
punto di equilibrio. Per questo è importante che siano presenti fra i
musulmani in tutto il mondo”.

Di sicuro la confraternita sufi da lui guidata, la ‘tariqa’ Azmiya,
“è l’unica che combatta sul piano ideologico il salafismo jihadista e
militante. Abbiamo pubblicato e distribuito gratuitamente 40 libri
contro di loro, e registrato audio per una diffusione ancora maggiore”.

Non può esservi infatti jihad nell’Islam, spiega, ”se non in presenza
di un’aggressione reale o imminente”. E invece “le prime vittime dei
terroristi sono i loro vicini con cui dovrebbero vivere in pace, e
soprattutto gli altri musulmani”. Come si vede da quanto accade,
appunto, in Egitto, Siria e Iraq. Tant’è vero che il gruppo Ansar Bait
al-Maqdis (i Partigiani di Gerusalemme), basato nel Sinai e che ha
rivendicato numerosi attentati nell’Egitto dopo la destituzione del
presidente islamista Mohammed Morsi, “noi lo riteniamo un agente di
Israele”.

D’altra parte Azayem considera agenti del sionismo anche i Fratelli
musulmani, che “hanno, con il progetto del califfato, lo stesso
obiettivo di governare il mondo”. La Fratellanza del resto, a suo
avviso, ha anche dimostrato nel suo anno di governo tutta la sua
“stupidità”. Inoltre ha goduto dell’appoggio “del Qatar, della Turchia e
prima anche dell’Arabia Saudita” e ha avuto stretti legami, accusa, con
i jihadisti di altri Paesi. “Ma Sisi li finirà”, afferma deciso, con
riferimento all’ex generale da poco eletto alla presidenza: una carica
che ora gli garantisce, aggiunge, i pieni poteri che prima non aveva.

Quanto ai partiti salafiti, compresi quelli che si erano smarcati
dalla Fratellanza ancora prima della caduta di Morsi, come il partito
Nour, a suo avviso sono solo degli “ipocriti”. In realtà è proprio
l’avvento al potere dell’islamismo sunnita, dopo la rivoluzione contro
Mubarak del 2011, ad avere spinto una parte dei sufi egiziani ad entrare
nell’arena politica, abbandonando una storica propensione al quietismo.

Il sufismo – noto anche per il rito dei ‘dervisci rotanti’ – si basa
su una conoscenza diretta di Dio e, pur trovando nell’islam il suo asse
portante, trae origine e alimento da altre fonti religiose e
filosofiche. Ma proprio per questo percepisce nell’estremismo sunnita il
principale nemico per la propria stessa esistenza – come del resto
hanno dimostrato gli attacchi salafiti ai loro luoghi di culto dopo il
2011, in Egitto come in Tunisia.

Azayem si è rivelato particolarmente propenso a questa partecipazione
politica, tanto da schierarsi tramite un nuovo partito (Al-Tahrir
al-Masri, la Liberazione dell’Egitto) contro la candidatura di Morsi nel
2012, e sostenendo poi quella dell’ex generale Abdel Fattah El Sisi.
Una scelta, questa dell’impegno diretto in politica, che rappresenta un
elemento distintivo dell’ordine sufi da lui guidato, insieme ad una sua
maggiore vicinanza allo sciismo.

“Gli egiziani sono sunniti per pratica e sciiti nel cuore”, afferma
in proposito. E va anche oltre, auspicando per il futuro migliori
rapporti con quella che definisce “una grande potenza” come l’Iran.
L’auspicio che si riaprissero le relazioni dell’Egitto con il vicino
sciita era del resto condiviso da molti sheikh sufi già all’epoca delle
presidenziali del 2012.

Fonte: Ansamed

Tratto da:  http://spondasud.it/2014/07/leader-dei-sufi-combattere-salafismo-per-imporre-islam-moderno-3027.

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