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di Giuseppe De Lorenzo.
Feroci polemiche nell”avizione americana. I piloti che stanno combattendo contro l”Isis si lamentano della burocrazia che gli impedisce di essere efficaci.
Lungaggini inspiegabili che fanno scappare i terroristi appena individuati: “Ci sono stati momenti in cui avevo gruppi dell”Isis nel mirino ma non avevo l”autorizzazione a colpire”, ha detto il pilota di un F-18 a Fox News.
Il tempo che intercorre tra la richiesta di autorizzazione e il via libera a colpire – secondo quando dicono gli stessi piloti – sarebbe enorme ed inaccettabile: “Per ricevere l’autorizzazione ad attaccare un obiettivo Isis, sono necessari anche 60 minuti“. Un”enormità che avrebbe fatto sfuggire più di una volta l”obiettivo da centrare. Regole d”ingaggio che stanno ostacolando la guerra al califfato.
Quello che si abbatte sull”aviazione americana è un secondo scandalo, dopo l”accusa che il premier iracheno ha rivolto all”amministrazione Obama. La settimana scorsa, infatti, Haider al Abadi ha chiesto agli Usa di “cambiare strategia”, perché i raid aerei contro le truppe di Al-Bahgdadi si stanno rivelando insufficienti. Non solo insufficienti, ma anche inefficaci. Secondo piloti ed ex comandanti, infatti, le procedure che sono state stabilite per permettere ai caccia americani di scaricare le bombe sui terroristi sono eccessive e controproducenti. Un ex ufficiale che ha condotto le precedenti campagne in Iraq ha detto che “il processo per autorizzare a colpire è troppo lento e porta a sperperare minuti preziosi che permettono ai nemici di fuggire”. Gli ha fatto eco David Deptula, ex comandante delCombined Air Operations Center in Afghanistan:
“Le procedure non tengono conto del nuovo contesto operativo, sono fin troppo tortuose ed alla fine tale asset non fa altro che fornire un vantaggio al nostro nemico”.
Ma quello che colpisce è la frustrazione dei piloti ora impegnati contro l”Isis. A parlare è un militare che in questi giorni si è spesso alzato in volo sui cieli iracheni e che più di una volta ha dovuto rinunciare a portare a compimento la sua missione:
“Stavano probabilmente uccidendo qualcuno – ha detto a Fox News – e questo a causa della mia impossibilità ad ucciderli. È stato molto frustrante”.
Le critiche però riguardano anche le strategie decise da Obama nella guerra all”Isis. Deptula ha fatto un confronto con i precedenti impegni aerei dell”America nelle guerre in Medio Oriente. Durante la prima guerra del Golfo, gli Stati Uniti effettuavano in media 1.125 attacchi aerei al giorno. In Kosovo, circa 135 al giorno. Nel 2003, sempre in Iraq, nella campagna chiamata “colpisci e terrorizza” i raid Usa erano in media 800 al giorno. Contro l’Isis, invece, solo 14 al giorno. Troppi pochi per sperare di fermare il Califfo in marcia verso Baghdad. Non solo. Secondo il senatore John McCain, infatti, il “75% dei piloti tornano alla base senza aver utilizzato tutta la potenza di fuoco, e questo a causa di ritardi nella catena di comando”.
Il portavoce dell”Us Air Force ha ovviamente smentito tutto. Secondo la linea ufficiale, infatti, il tempo che occorrerebbe per autorizzare un pilota a colpire un obiettivo sarebbe variabile, in alcuni casi anche “meno di 10 minuti” mentre in altri – ammette – “molto più tempo”. “Questa è una battaglia a lungo termine – si sono giustificati poi dal Pentagono – non possiamo rischiare di colpire indiscriminatamente anche i civili”.
Ma se difendersi dagli attacchi e dalle critiche nemiche può essere relativamente semplice, basta rispedirle al mittente, quando ad accusarti sono i piloti non si può far finta di nulla. E questo genera imbarazzo: in una guerra in cui gli Stati Uniti sembrano non volersi impegnare davvero fino in fondo.
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