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I sauditi rischiano di fallire, per questo cercano la guerra

'E'' di Riad la responsabilità della gravissima crisi con l’Iran: una provocazione deliberata che nasce mentre il regno saudita sta fallendo su tutti i fronti [Marcello Foa]'

I sauditi rischiano di fallire, per questo cercano la guerra
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5 Gennaio 2016 - 10.06


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di Marcello Foa.

E’ fuor di dubbio
che sia di Riad la responsabilità della gravissima crisi con l’Iran. Quando si
annuncia l’esecuzione in un sol giorno di 47 persone, diverse delle quali
sciite, tra cui un imam reo soltanto di aver promosso una manifestazione di
protesta, non sono necessarie analisi sofisticate per
capire che si tratta di una provocazione deliberata. Ma a quali fini?


Facciamo un passo
indietro. L’Arabia saudita è da sempre in cima alla lista nera dei Paesi che
violano i diritti umani, ma ha sempre beneficiato di uno statuto speciale da
parte degli Stati Uniti e di conseguenza dei loro alleati. La ragione la
conosciamo tutti: è il principale produttore di petrolio al mondo. Ed è più che
valida per indurre Washington a chiudere per quarant’anni entrambi gli occhi.


Negli ultimi due
anni, però, il quadro è cambiato. Lo
sfruttamento del cosiddetto shale oil, l’olio di scisto, di cui l’America è
ricca, ha reso meno importante il regime saudita.
 I prezzi
del greggio hanno iniziato a scendere e Riad ha reagito tentando il tutto per
tutto: siccome i giacimenti di shale oil sono redditizi solo oltre un certo
prezzo al barile, il regime saudita anziché tentare di contrastare la caduta
dei prezzi con il taglio della produzione, come sarebbe stato logico, ha
percorso la via inversa: l’ha aumentata nella speranza di far fallire i
produttori americani. Scommessa in buona parte persa per ragioni mai
esplicitate ufficialmente ma che sono facilmente intuibili: quello dell’olio di
scisto, sebbene molto inquinante, ha un valore strategico per il governo degli
Stati Uniti che ha fatto e farà di tutto per non vanificarlo.


A tremare
finanziariamente, invece, ora è proprio Riad
, dove quest’anno è
esploso il deficit pubblico e che vede compromessa a medio termine la propria
stabilità economica. Un gigante che appariva incrollabile ora scopre di essere
strutturalmente fragile e teme per il proprio avvenire.

L’Iran cosa
c’entra? C’entra, c’entra. Perché i sauditi sono sunniti e loro sciiti in un
dissenso paragonabile, per intenderci, a quello che a lungo ha opposto
cattolici e protestanti in Europa. Ma soprattutto perché l’Iran proprio
quest’anno è stato sdoganato dagli Stati Uniti, grazie allo storico accordo sul
nucleare.


Quegli Usa che,
però, assieme ai sauditi, ai turchi e agli Emirati fino a ieri hanno armato e finanziato l’Isis nel
tentativo di rovesciare Assad ovvero il leader di un Paese da sempre amico
proprio di Teheran. La fine delle sanzioni ha peraltro spinto ulteriormente al
ribasso il prezzo del petrolio, accentuando le difficoltà dell’Arabia Saudita.
Aggiungete il fatto che Riad ha speso cifre enormi in armamenti e la criticità
della situazione apparirà evidente.


Riad sta fallendo
su tutti i fronti.
 L’offensiva lanciata nello Yemen contro gruppi sciiti
vicini a Teheran e che ha provocato una guerra terribile ignorata
dall’Occidente, non ha dato i risultati sperati. Da quando Putin ha cominciato
a bombardare massicciamente, l’Isis ha perso terreno e tutti hanno capito che
Assad resterà al potere ancora a lungo. E’ così svanito il sogno dei sauditi di
creare uno Stato Islamico a nord (nell’area tra Siria e Iraq), che avrebbe
dovuto chiudere a tenaglia l’Iran. La Russia appare più forte, l’America, in un
anno elettorale, più debole mentre il prezzo del petrolio continua calare.


I governanti della
Casa Regnante non brillano certo per acume strategico: per quanto ricchi
restano dai capi tribali imbevuti di fanatismo religioso. Il timore è che abbiano scelto la
via peggiore per tentare di uscire dai guai:
 quella di
approfittare della propria supremazia militare per provocare una guerra con
l’Iran che faccia salire il prezzo del petrolio e che si concluda con il
dominio sunnita anche a Teheran e, di conseguenza, a Bagdad. Un delirio, che pone l’Occidente di
fronte alle proprie responsabilità storiche. Un delirio da fermare ad ogni
costo.



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