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La Siria, la geopolitica e la complessità

'L''analisi media sulla crisi siriana impiega poca immaginazione e mette in pace con se stessi. Ma è il contrario di ciò che bisogna fare. [Piotr]'

La Siria, la geopolitica e la complessità
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6 Settembre 2016 - 21.01


ATF

di Piotr.

La guerra del
Vietnam fu combattuta alla vigilia della crisi spia (Nixon shock)
che segnalò che il sistema globale di accumulazione a guida USA uscito dalla Seconda
Guerra Mondiale era entrato in crisi sistemica.

Il conflitto
era iniziato a bassa intensità agli inizi degli anni Cinquanta ma l’escalation americana è contemporanea ai
netti segnali che l’impianto di Bretton Woods (per dare un nome al sistema
postbellico che caratterizzò il superamento della precedente crisi sistemica,
quella del lungo declino dell’Impero Britannico e, al suo interno, della Grande
Depressione del ’29) non poteva funzionare più come prima. Il sistema doveva
espandersi in tutta l’Eurasia e la guerra del Vietnam era un punto obbligato,
ma anche un test, riguardo questa possibilità.

Lo sapevano
tutti: gli Statunitensi, i Sovietici, i Cinesi e anche gli Europei.

Così Sovietici
e Cinesi, nemici tra loro, si allearono per non far passare gli
Americani, ognuno avendo in mente i propri interessi. I grandi Stati europei
davano un blando appoggio agli USA, in quanto alleati, ma cercavano di
utilizzare le difficoltà statunitensi per guadagnare in autonomia e strappare
posizioni a Washington. In testa a questa operazione c’era la Francia
gaullista, ma anche l’Italia democristiana faceva la sua parte.

Se si usa la prospettiva
storica nessuno può negare che la politica estera italiana di quegli anni era
molto più libera di quanto lo sia adesso (anche se è vero che ci vuol poco, ma
non è questo il punto).

Contemporaneamente
in Europa e negli USA scoppiavano le rivolte studentesche, operaie e
afroamericane
, spinte dalle dinamiche del grande sviluppo capitalistico del
ventennio precedente e dai primi sintomi della sua crisi. Queste rivolte ebbero
un duplice effetto sugli avvenimenti internazionali: da una parte
contribuirono a minare il consenso (specialmente negli USA) alla guerra, ma
dall’altra contribuirono in Francia a minare il consenso a De Gaulle, che era la
principale e più seria spina nel fianco in Occidente dell’egemonia
statunitense.

Riassumiamo:

a) Gli USA
intervenivano massicciamente nel Vietnam inserendo in una crisi di carattere locale,
aperta in precedenza, i nuovi obiettivi dettati dall’incipiente crisi sistemica
e quindi globale.

b) Cina e URSS
erano nemici ma collaboravano per bloccare gli USA in Asia.

c) La Cina
riforniva di aiuti il Vietnam che tuttavia era uno dei suoi pochi ma sicuri nemici
storici
.

d) Gli alleati
europei facevano la fronda agli USA.

e) La crisi
sistemica
che si stava affacciando e le conseguenti rivolte studentesche e
poi operaie spingevano l’Italia a cercare maggiori libertà di manovra – e a
beccarsi per compenso un decennio di bombe a duplice effetto repressivo:
interno (la cosiddetta “repressione padronale” in senso lato) e in politica
estera (repressione/controllo/subordinazione delle mire autonomistiche di
alcune élite italiane e dei loro referenti politici).

f) Le rivolte
studentesche e afroamericane negli USA indebolivano il consenso alla guerra contribuendo
ad abbreviarla
.

g) La rivolta
studentesca in Francia indeboliva il maggior avversario occidentale degli USA contribuendo
ad allungarla
.

I gruppi della
sinistra extraparlamentare, di tutta questa complessa situazione che
vedeva intrecciarsi dinamiche su piani differenti, coglievano esclusivamente
i risvolti legati al conflitto capitale-lavoro e ad esso riconducevano
anche ogni aspetto internazionale.

Ma è impossibile
capire la complessità del reale se si riduce tutto a dicotomie:
alto-basso, sopra-sotto, destra-sinistra, padrone-operaio,
autoritarismo-antiautoritarismo, buoni-cattivi, capitale-lavoro.

Queste
dicotomie divengono vere contraddizioni quando le si immergono nella
realtà ampia e ricca di determinazioni da cui sono circondate. Altrimenti
rimangono astratte opposizioni, buone al più per alimentare pourparler
accademici e semi-accademici, o astratti studi sulla “formalizzazione della
dialettica”, utili a volte per qualcos’altro ma del tutto inutili per capire la
dialettica stessa, che non vive nelle costruzioni linguistiche ma nei
processi reali
.

Oggi, di
fronte alla crisi siriana (e prima ancora quella libica) le stesse sterili
dicotomie
sono state spese – su incoraggiamento di servizi professionali di
disinformazione, di intelligence e dipartimenti di Stato – per non far
capire nulla di quanto stava accadendo e plasmare un consenso diretto o
indiretto ai guerrafondai, ai loro ascari e ai loro lacchè.

Ma la complessità
della situazione siriana
è ormai a un punto tale che anche affidare solo
blandamente un tentativo di analisi a quelle dicotomie, oltre che risibile è
idiota o utilmente idiota. Un’idiota comodità che rifiuta di confrontarsi con una
realtà che dice tutto e il contrario di tutto
. Vediamo alcuni fatti:

1) I curdi del
Partito di Unità Democratica (e della sua milizia YPG, “Unità di Protezione
Popolare”) si autodefiniscono laici, femministi e socialisti, con gran
scodinzolio degli scampoli della sinistra radicale europea.

2) Dopo aver combattuto
esclusivamente l’ISIS, i dirigenti curdo-siriani autoproclamano l’indipendenza
di un cantone curdo in Siria
e l’YPG con la sua succursale Forza
Democratica della Siria (FDS), organizzata dagli USA, attacca l’Esercito Arabo
Siriano – già provatissimo per la lotta di sei anni ad al-Nusra/al-Qa’ida, ISIS,
tagliagole estremisti e tagliagole “moderati” di varia denominazione, sostenuti
da 30 potenze straniere (tra cui l’Italia) – per conquistare città arabe, cioè non
curde
. In più offrono agli USA di costruire sul “loro” territorio una base
aerea. Cosa, se non altro, che comprova che essere “laici, femministi e
socialisti” non fa desistere da guerre di conquista e dall’appoggio
all’imperialismo stragista all’attacco in tutto il mondo
. La categoria di
“imperialismo” che, come diceva il compianto
Giovanni
Arrighi
, una
volta era una gloria dell’analisi marxista e oggi è stata abbandonata,
deve ritornare ad avere l’importanza che ha il sale nell’alimentazione,
altrimenti non ci si capisce più niente, specialmente nel caos sistemico.

3) Gli USA,
che cercano con sempre più difficoltà di tirare le intricate fila dell’assalto
genocida alla Siria, inviano in sostegno all’YPG-SDF squadre speciali, gli
danno copertura aerea e creano con minacce a Siria e Russia una no-fly zone
di fatto, a protezione dei suoi attacchi.

4) Dopo aver
rischiato per conto terzi una guerra con la Russia, Ankara si riavvicina a
Mosca, si becca (di conseguenza?) un colpo di stato militare fatto a
metà, che viene parato con (troppa?) facilità (e col sostegno di tutti, destra
sinistra, estrema sinistra e centro e, ormai è ammesso, la collaborazione dell’intelligence
di Russia e Iran). Inizia così una repressione che è ampia, ma non generica come
invece dice la sciocca stampa occidentale, bensì principalmente mirata contro
il vasto sistema di potere di Fetullah Gülen, una personalità turca legatissima
agli USA. A farne le spese sono le scuole e le università di Gülen, la
Magistratura e l’Esercito. Queste ultime istituzioni sono il baluardo della laicità
della Turchia. Il presidente turco Erdoğan (in odore di Fratellanza Musulmana)
appaga così la sua ideologia, ma nel frattempo si sbarazza anche di settori
troppo legati agli USA (e questo è un punto particolarmente intricato delle
già sconcertanti contraddizioni del nostro tempo
; un punto che non
riusciremo a digerire facilmente, seppure ci riuscirà di farlo e seppure la
laicità – ma non il laicismo – sia una buona stella polare per
evitare di cadere dalla padella alla brace).

Nel frattempo
Ankara aveva inasprito la repressione contro i Curdi in Turchia (sotto lo
sguardo un po’ distratto dei media occidentali), verosimilmente sostenuti in
segreto sia dagli USA che dalla Russia per fare abbassare la cresta a Erdoğan.
Ognuna delle due potenze per i propri distinti motivi, ovviamente.

5) La Turchia
si è trovata stretta tra due fuochi: odiata dalla Russia perché gli aveva
abbattuto a tradimento un bombardiere e ammazzato i piloti, e odiata dagli USA
perché era andata a chiedere scusa ai Russi.

Cosa ha
chiesto Putin a Erdoğan come contropartita
per le scuse concesse? Perché è impossibile pensare
seriamente che non gli abbia chiesto niente in relazione ai due più gravi
focolai di crisi oggi esistenti, la Siria in primo luogo e poi l’Ucraina,
dirimpettaia della Turchia. Non credo ai miei occhi o alle mie orecchie quando
qualcuno sostiene che si è parlato solo di questioni economiche. Cioè
non mi capacito che qualcuno possa sostenere una tesi così scialbamente
economicista con tutto quello che sta succedendo.

Va da sé che
lo sanno solo pochi ristretti circoli. Fatto sta che succede quanto segue:

5.1) La Turchia invade le zone di confine con la Siria.
Ufficialmente per combattere l’ISIS e gli “altri terroristi”. In realtà la
Turchia aveva già chiesto all’ISIS di sloggiare un po’ più a Sud. Quindi niente
interruzione delle linee di rifornimento ISIS-Turchia, con buona pace delle superficialità
scritte in questi giorni dalla stampa più prestigiosa e riprese un po’ da
tutti.

5.2) Le botte le prendono gli “altri terroristi”, cioè l’YPG
e l’FDS, cioè le forze sostenute dagli USA (e tra le quali operano i reparti
speciali statunitensi!). Botte – e qui non ci arriverebbe nemmeno uno scrittore
di fantapolitica svalvolato – botte autorizzate dal vicepresidente statunitense
Joe Biden per prevenire ulteriori riavvicinamenti turco-russi. Così, a titolo
di esempio, i Curdi (sotto la fattispecie FDS) nella “Operazione
comandante-martire Faysal Abu Layala” perdono almeno 400 uomini per strappare
all’ISIS la città siro-araba (quindi non curda) di Manbij, per poi sentirsi
ordinare dai padrini statunitensi di sloggiare a favore dei loro nemici turchi.
Morale, in Siria ormai i Curdi sono (auto)isolati. Brillante esito delle
decisioni ambiziose e fedifraghe dei loro dirigenti.

5.3) La Russia fa finta di protestare per l’invasione
turca, tirando in ballo il motivo surreale che essa invasione non è stata
concordata (sic!) con Damasco. Ma lo fa anche la Siria. Perché?

(a) Intanto perché l’invasione turca ridimensiona le
ambizioni autonomistiche curde.

(b) Poi perché mette Washington sotto impasse
screditandola agli occhi dei Curdi come alleata affidabile (e adesso la famosa
offensiva dell’FDS su Raqqa diventa un sogno quasi certamente irrealizzabile;
già i Curdi ce ne avevano poca voglia prima, figurarsi adesso).

(c) Infine perché la Turchia nella sua operazione “Scudo
dell’Eufrate”, come carne da cannone sta utilizzando i “ribelli moderati”, tipo
il cosiddetto Esercito Siriano Libero, che hanno quindi lasciato soli e nelle
pesti ad Aleppo Est gli alleati di al-Qa’ida et similia
. Così che questi dopo
aver perso più di 1.000 uomini per rompere l’assedio della loro roccaforte nei
pochi quartieri della città che avevano conquistato (con gran felicità dei
media occidentali e degli “umanitaristi”), se lo sono poi visto richiudere
prontamente dall’Esercito Arabo Siriano.

6) Si è
speculato molto su cosa Erdoğan avesse concesso a Putin per ottenere il suo
perdono. Scrissi che non avremmo saputo niente ma che qualche cosa si sarebbe
vista coi fatti. Ma attenzione, i fatti non sono per nulla “lineari”,
come si usa dire, nel senso che sono raramente di univoca interpretazione.
Ognuno di essi ha almeno tante possibili interpretazioni quanti sono gli
interessi che su di esso convergono. Anzi, a rigor di logica ce ne ha almeno
due volte tante, di interpretazioni: una pro e una contro.

La Turchia
non mollerà la NATO
.
Erdoğan non dirà che Obama “è un figlio di cane – o di cagna”, come invece si
usa fare nei palazzi del potere delle Filippine. Eppure qualche dispiacere a
Washington
(o a qualcuno a Washington) lo sta dando e qualche favore a
Mosca e a Damasco
lo sta rendendo.

Gli USA
possono cercare furbescamente di far cambiare affiliazione ai tagliagole che
operano in Siria per evitare che essi rientrino nei gruppi ufficialmente
riconosciuti come terroristi e svicolare dalle richieste russe perché li
riconoscano come obiettivi ufficiali della lotta al terrorismo. Ma queste
furbate diventano bambinate di fronte alle conseguenze (intenzionali o
inintenzionali, ma conseguenze) dell’Operazione Scudo dell’Eufrate.

7) E’ sulla
scorta di ciò che Putin in Cina ha dichiarato l’altro giorno che presto ci sarà
un accordo, almeno temporaneo, con gli USA sulla Siria? Come mai queste parole
che sembrano gettare il cuore oltre l’ostacolo da parte del prudentissimo
Vladimir? Strategia diplomatica? O c’è dell’altro?

Siamo in
mezzo a una crisi sistemica e quindi al caos sistemico
. Le faglie si muovono, non solo
quelle geologiche, ahimè, ma anche quelle geopolitiche.

In questo caos
pensare con compulsiva ripetitività all’alto e al basso, al capitale e al
lavoro, eccetera, diventa un puro esercizio consolatorio, un esercizio di nostalgia.
Bisogna intanto chiedersi dove sta l’alto e dove il basso nel caos sistemico, quali
sono le dinamiche del capitale e quelle del lavoro nel caos sistemico, come
esse sono influenzate dal caos e come lo influenzano.

Invece si
usano queste dicotomie come formule magiche per trovare oasi di chiarezza in
mezzo al deserto interpretativo; oasi che in realtà sono miraggi. In fondo un
lavoro comodo, che richiede poca immaginazione e che mette in pace con se
stessi. Ma il contrario di ciò che bisogna fare.

Un solo
esempio per chiudere: la Brexit. E’ vero che il “Sì” ha vinto (per poco) grazie
a un voto popolare. Ma che sia “popolare” è vero per la definizione
di “voto” nelle democrazie occidentali. Il referendum è stata una scelta
delle élite sostenuta persino dalla Corona. Ecco un esempio di
implementazione post-moderna della dicotomia alto-basso: un voto popolare
sulla scelta di una élite, scambiato per scelta
popolare
.

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