ATF
di Giampiero Venturi.
Circa 60 missili Tomahawk sono stati lanciati dalla US Navy contro la base aerea di Ak Sharyat in Siria. L’attacco è stato condotto dalle cacciatorpediniere lanciamissili Ross e Potter della classe Arleigh Burke, che incrociano nel Mediterraneo.
Oltre ad alcuni morti tra il personale della base, pesanti i danni materiali: sarebbero state molte infrastrutture (hangar, pista, magazzini di deposito) e danneggiati circa 15 caccia. Nella base era presente personale russo al momento dell’attacco.
La base siriana si trova a circa 20 km a sudest di Homs ed è la principale struttura utilizzata per dare copertura aerea al fronte di Palmira e Deir Ezzor. Proprio poche ore dopo l’attacco, unità dell’ISIS avrebbero provato ad approfittare della situazione bombardando check point e postazioni dell’esercito siriano.
L’attacco sarebbe la risposta ad Assad al presunto uso di armi chimiche, nonostante ci siano forti indizi che siano stati i ribelli a stoccare armi non convenzionali.
Appena avuta notizia dell’attacco, che militarmente ha l’immediato effetto di aiutare lo Stato Islamico, il Presidente turco Erdogan e il leader israeliano Netanyahu hanno espresso compiacimento.
Cosa succede quindi in Siria?
Trump chiude l’annuncio dell’attacco, chiamando alle armi il mondo intero contro il terrorismo.
Ad una prima lettura il corto circuito è totale. Il Presidente americano, in sole 24 ore, si sarebbe rimangiato il progetto di collaborazione contro il fondamentalismo proposto alla Russia e avrebbe deciso di prendersela con la Siria, alleato di Mosca e in questo momento l’unico Paese al mondo che combatte sul terreno gli integralisti islamici. Nemmeno Obama era riuscito a fare tanto.
I retroscena sono inquietanti. Costretto dalla lobby militare antirussa a muoversi, il presidente starebbe dando prova al proprio interno di non essere un burattino nelle mani di Mosca.
Dopo il siluramento di Michael Flynn e di Bannon, gli atlantisti della vecchia guardia pare stiano prendendo il sopravvento ed esultano. Trump sarebbe costretto ogni giorno di più ad allontanarsi da quanto promesso in politica estera in campagna elettorale.
Per ricompattare il fronte interno, formato da democratici interventisti (nonostante la batosta del 9 novembre, Hillary Clinton da settimane sta chiamando alla guerra contro Assad tutte le cancellerie occidentali) e da repubblicani conservatori legati alle logiche della Guerra fredda, Trump doveva muoversi. Che lo abbia fatto nel modo sbagliato, lo vedremo nel prossimo futuro.
Va detto però, che con ogni probabilità l’attacco rimarrà isolato e politicamente dimostrativo. Il Presidente americano avrebbe così per il momento frenato i falchi antirussi di Washington che si contorcono all’idea di un asse con Putin e che incalzano contro la sua investitura (si parla di impeachment praticamente dal 20 gennaio, giorno dell’insediamento).
Navalny, attentato a San Pietroburgo (dimenticato da tutti), armi chimiche, reazione militare di Trump… La sequenza delle ultime settimane concretizza uno scenario è a dir poco imbarazzante…
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