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Robert Freeman - Ucraina: Il tunnel in fondo alla luce

Gli Stati Uniti hanno abusato dell’idea di nazione ‘della provvidenza’, dice Robert Freeman. Questo abuso è riconosciuto, denunciato e ora contrastato dalla maggior parte delle altre nazioni del mondo.

Robert Freeman - Ucraina: Il tunnel in fondo alla luce
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2 Marzo 2023 - 22.52


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di Robert Freeman.

Apparso su Consortiumnews e su Commondreams, questo articolo di *Robert Freeman svolge una analisi ragionata e impietosa sul declino dell’impero americano, che a causa della sua cieca hybris sta precipitando da una posizione di egemonia  globale verso un ineluttabile declino,  rischiando di coinvolgere rovinosamente i suoi stessi sfortunati paesi alleati e, nella peggiore delle ipotesi, tutto il pianeta. 

La traduzione originaria viene dalla pagina Facebook di Roberto Buffagni

Gli Stati Uniti hanno abusato dell’idea di nazione ‘della provvidenza’, dice Robert Freeman. Questo abuso è stato riconosciuto, denunciato e ora viene contrastato dalla maggior parte delle altre nazioni del mondo.

“La luce in fondo al tunnel” era una frase emblematica usata dai guerrafondai che mantennero gli Stati Uniti in Vietnam ancora per molto tempo dopo che la guerra era ormai stata persa.

Il sottinteso era che gli addetti ai lavori potevano vedere attraverso la “nebbia di guerra” e sapere che le cose stavano migliorando. Era una bugia.

Nel gennaio 1966, molto prima del culmine militare della guerra, il Segretario alla Difesa Robert McNamara disse al Presidente Lyndon Johnson che gli Stati Uniti avevano una possibilità su tre di vincere sul campo di battaglia.

Ma Johnson, come Eisenhower e Kennedy prima di lui e Nixon dopo, non voleva essere il primo presidente americano a perdere una guerra. Così, inventò una bugia semplicistica e “soldiered on” – cioè  continuò a mandare truppe.

La menzogna fu spazzata via dall’offensiva del Tet nel gennaio 1968. Più di 100 installazioni militari americane furono attaccate in un assalto simultaneo in tutta la nazione, che stupì gli Stati Uniti.

Il giornalista, Walter Cronkite, all’epoca “l’uomo più fidato d’America”, gridò alla televisione nazionale: “Pensavo che avremmo dovuto vincere questa dannata cosa”. Fu l’inizio della fine dell’occupazione assassina e fallimentare degli Stati Uniti.

Ora ci troviamo di fronte a un altro evento “luce e tunnel”, questa volta in Ucraina. Solo che ora non è la luce in fondo al tunnel. È il tunnel in fondo alla luce. Cosa intendiamo con questo?

Finora c’è stata solo luce. Vi ricordate quando le forze ucraine stavano prendendo a calci nel sedere le barbare orde russe? Quando ogni sviluppo tradiva la strategia grossolana della Russia, il basso morale dei suoi soldati, le carenze di rifornimento e la pessima leadership del suo esercito, e la situazione politica incerta del presidente russo Vladimir Putin in patria?

Il testosterone scorreva a fiumi. La spavalderia era inebriante. L’eccezionalismo era seducente in maniera sublime. Era solo una questione di tempo, di grinta e di determinazione, prima che l’Ucraina rompesse il naso al prepotente e gli mostrasse di che pasta era fatto l’Occidente.

Ricordate?

Ora non più.

Solo per un certo tempo si può portare avanti una guerra con le illusioni, le bugie e i comunicati stampa. Alla fine, però, la realtà ti raggiunge.

La cittadinanza americana, condizionata dalla propaganda in modo scellerato, non poteva saperlo, ma la realtà ha cominciato a emergere sin dalle prime settimane di guerra, e da allora ha accelerato.

Nella prima settimana di guerra, la Russia ha distrutto le forze aeree e le difese aeree dell’Ucraina. Entro la seconda settimana, aveva distrutto la maggior parte delle armerie e dei depositi di armi dell’Ucraina. Nelle settimane e nei mesi successivi, la Russia ha sistematicamente demolito l’artiglieria proveniente dai Paesi dell’Europa orientale dell’ex Patto di Varsavia, ora NATO.

Ha smantellato i sistemi di trasporto e di approvvigionamento di carburante del Paese. Recentemente ha eliminato la maggior parte delle infrastrutture elettriche del Paese.

Si stima che l’esercito ucraino abbia perso 150.000 uomini, un ritmo più di 140 volte superiore alle perdite degli Stati Uniti in Vietnam. Questo, in un momento in cui 10 dei 36 milioni di abitanti sono fuggiti dal Paese.

L’esercito è costretto a trascinare ragazzi di 16 anni e uomini di 60 per presidiare le barricate. Non riesce a procurarsi munizioni di ricambio. La Russia ha messo fuori uso circa il 90% dei droni dell’Ucraina, lasciandola in gran parte senza vista.

I tempi di consegna dei carri armati, che rappresentano la agognata “svolta”, si allungano di mesi e anni. Non che questo abbia importanza.

Ricordate tutti gli altri “cambiamenti di gioco” falliti? Gli obici M777 e i veicoli corazzati da combattimento Stryker? I lanciarazzi multipli HIMARS e i sistemi di difesa aerea PATRIOT? Tutti, uno alla volta, avrebbero dovuto ribaltare la situazione.

Tutti si sono dimostrati impotenti a impedire alla Russia di sequestrare il 20% del territorio ucraino e annetterselo, con la sua popolazione.

Perdere la guerra economica

Gli Stati Uniti hanno perso anche la guerra economica. Ricordate la delirante previsione di Joe Biden secondo cui gli Stati Uniti avrebbero visto “il rublo ridursi in macerie”? E che “il regime di sanzioni più severo della storia” avrebbe “indebolito” la Russia, portando forse al rovesciamento di Putin?

La maggior parte di tutto ciò ci si è ritorta contro, malamente. L’anno scorso il rublo ha raggiunto il tasso di cambio più alto della storia. Il surplus commerciale della Russia nel 2022, pari a 227 miliardi di dollari, è aumentato dell’86% rispetto al 2021. Nello stesso periodo, il deficit commerciale degli Stati Uniti è aumentato del 12,2% e si avvicina a 1.000 miliardi di dollari.

Come risultato di tutto ciò e di molto altro ancora, la marea dell’opinione degli addetti ai lavori si è rivolta contro la guerra. Gli alti funzionari europei parlano apertamente di come le perdite di vite umane siano insostenibili e di come sia necessario tornare alle architetture di sicurezza che prevalevano prima del colpo di stato avvelenato sostenuto dalla C.I.A. a Maidan nel 2014.

Mark Milley, presidente dello Stato Maggiore, si è recentemente lasciato sfuggire che “sarà molto, molto difficile espellere i russi da tutta l’Ucraina occupata nel prossimo anno”. Il Washington Post ha recentemente avvertito che l’Ucraina si trovava in un “momento critico” della guerra, sottolineando il fatto che il sostegno degli Stati Uniti non era illimitato e presto si sarebbe esaurito.

La Rand Corporation, uno dei meglio connessi think-tank degli Stati Uniti, ha appena pubblicato un rapporto in cui afferma che “le conseguenze di una guerra lunga superano di gran lunga i benefici”. Il rapporto afferma esplicitamente che gli Stati Uniti devono destinare le loro risorse all’imminente e più importante conflitto con la Cina.

Newsweek ha titolato: “Joe Biden ha offerto a Vladimir Putin il 20% dell’Ucraina per porre fine alla guerra”. Ha anche rivelato che “Quasi il 90% del mondo non ci segue sull’Ucraina“. Vaste aree dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia si rifiutano di sostenere gli Stati Uniti nella loro richiesta di sanzioni contro la Russia.

Non si tratta di previsioni di “luce in fondo al tunnel”. Al contrario. Se c’è un filo conduttore che attraversa tutto questo è la stucchevole consapevolezza che la guerra è persa, militarmente, economicamente e diplomaticamente; che non c’è uno scenario plausibile in cui queste perdite possano essere annullate continuando a resistere e che ciò che serve ora è una strategia di uscita per nascondere le perdite, uscire in ogni modo possibile e salvare la faccia.

Ma neanche questa sarà disponibile. È qui che entra in gioco il tunnel alla fine della luce.

Competizione sulle infrastrutture

Anche prima che gli Stati Uniti e i loro burattini della NATO intraprendessero la guerra, il resto del mondo – e questo significa la maggior parte del mondo – si stava coagulando in un blocco economico e di sicurezza anti-occidentale.

Guidato dalla Cina e dal suo alleato strategico, la Russia, questo blocco comprende più di una dozzina di organizzazioni commerciali e di sicurezza. Tra queste c’è la confederazione BRICS, composta da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, che lavora esplicitamente per creare istituzioni multipolari da contrapporre al modello egemonico unipolare degli Stati Uniti.

Include l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, un patto di sicurezza composto dalle principali nazioni dell’Asia orientale, centrale e meridionale, tra cui Cina, Russia, India e presto anche Iran, Turchia e Arabia Saudita. Si sta esplicitamente lavorando per elaborare misure volte a prevenire il tipo di assalti militari predatori che gli Stati Uniti hanno condotto contro Iraq, Libia, Somalia, Yemen e Afghanistan.

Il motore economico organizzativo di questi sforzi è la Beltand Road Initiative cinese. La BRI è un piano vertiginosamente ambizioso per collegare l’Asia e più di 100 nazioni con infrastrutture economiche avanzate, dalle autostrade alle linee ferroviarie ad alta velocità, dalla produzione di energia agli oleodotti, dai sistemi di comunicazione alle città, ai porti e altro ancora.

È fondamentale capire perché la BRI pone una sfida così ardua alla supremazia degli Stati Uniti nel mondo.

Le infrastrutture sono così potenti perché generano una vasta e inimmaginabile serie di benefici economici secondari e terziari. Nel XIX secolo sono state le ferrovie a unire gli Stati Uniti come primo mercato su scala continentale.

I produttori potevano produrre per un mercato più vasto, e quindi su scala più ampia, e quindi a costi inferiori, rispetto a qualsiasi altro luogo del pianeta.

Le ferrovie fecero degli Stati Uniti il più grande mercato al mondo per il ferro, l’acciaio, le macchine utensili, le attrezzature per la classificazione, le attrezzature agricole e molti altri prodotti commerciali e industriali essenziali per una moderna economia industriale.

Gli Stati Uniti hanno iniziato il 1800 con l’1,5% del PIL mondiale. Hanno chiuso il secolo con il 19% di un numero quattro volte superiore, diventando così la più grande economia del mondo.

Allo stesso modo, le automobili. Si pensa che siano stati Henry Ford e la produzione di massa a rendere il XX secolo “il secolo americano”. In realtà, è stata la costruzione di milioni di chilometri di strade e, più tardi, di autostrade interstatali, senza i quali le automobili sarebbero rimaste costosi giocattoli dei ricchi.

Queste strade hanno unito il Paese in una rete d’asfalto che ha permesso la mobilità individuale, praticamente a chiunque, ovunque, fino a poter raggiungere ogni indirizzo stradale del Paese. Il mondo non aveva mai visto nulla di simile.

Gli effetti economici secondari e terziari furono sbalorditivi: dai più grandi mercati mondiali per acciaio, vetro, plastica e gomma, alla benzina, al diesel, alla costruzione di autostrade su scala continentale, alle officine di riparazione e ai drive-in, fino all’intera panoplia di cultura che conosciamo come suburbio.

Il XX secolo è stato il secolo dell’automobile. L’infrastruttura che gli Stati Uniti hanno costruito per renderla possibile è stata la ragione principale – almeno dal punto di vista economico – per cui gli Stati Uniti hanno guidato il mondo per la maggior parte di quel secolo.

La Cina sta ora proponendo di fare lo stesso per l’Asia nel XXI secolo, ma su una scala molto più ampia. Sta guidando una costruzione di infrastrutture che farà impallidire il sistema autostradale interstatale di Eisenhower. Servirà la maggior parte dei 5 miliardi di persone in Eurasia, 30 VOLTE di più dei 150 milioni di persone coinvolte dal progetto di Eisenhower.

Saggiamente, la Cina si è assicurata che tutte le oltre 100 nazioni che aderiscono alla BRI siano arricchite dalla loro partecipazione, sia che si rafforzino a livello nazionale, sia che estendano la loro portata a livello internazionale.

È l’impresa economica più grande, più avvincente, più estesa geograficamente, più inclusiva a livello nazionale e di arricchimento reciproco nella storia del mondo. Gli Stati Uniti non ne fanno parte.

L’ipoteca su Bretton Woods

Infine, c’è la questione del dollaro. Fin dagli accordi di Bretton Woods del 1944, l’economia globale ha utilizzato il dollaro come valuta principale del commercio internazionale.

Questo ha dato agli Stati Uniti un “privilegio esorbitante”, in quanto possono essenzialmente emettere un flusso illimitato di assegni circolari in tutto il mondo, perché i Paesi hanno bisogno di dollari per poter condurre il commercio internazionale. Gli Stati Uniti “vendono” loro dollari emettendo debito del Tesoro, che è un mezzo di scambio internazionale universalmente fungibile.

Una delle conseguenze di questo accordo è che ha permesso agli Stati Uniti di spendere molto al di sopra delle proprie possibilità, accumulando 32.000 miliardi di dollari di debito dal 1980, quando il debito nazionale ammontava a soli 1.000 miliardi di dollari.

Gli Stati Uniti usano questo debito per finanziare, tra le altre cose, il loro esercito gargantuesco con le sue 800 basi militari in tutto il mondo, che usano per fare cose come distruggere la Serbia, la Libia, l’Iraq, l’Afghanistan, la Siria, la Somalia e una serie di predazioni minori su altri Paesi. Tutto il mondo lo vede e ne è disgustato.

Il mondo vede come l’egemonia del dollaro sostenga la capacità degli Stati Uniti di realizzare o tentare colpi di stato in Honduras, Venezuela, Perù, Bolivia, Kazakistan, Pakistan, Myanmar, Bielorussia, Egitto, Siria e, naturalmente, Ucraina, tra gli altri. E questi sono solo quelli degli ultimi due decenni.

La stessa egemonia del dollaro ha sostenuto le predazioni statunitensi nell’ultima parte del XX secolo contro Iran, Repubblica Dominicana, Guatemala, Vietnam, Nicaragua, Cuba, Cile, Congo, Brasile, Indonesia e decine di altri Paesi.

Ancora, il resto del mondo ne è consapevole. I cittadini statunitensi, estasiati dalla loro bolla mediatica ermeticamente chiusa, non lo sono.

Il mondo ha visto come gli Stati Uniti hanno sottratto 300 miliardi di dollari di fondi russi detenuti nelle banche occidentali, nell’ambito del regime di sanzioni contro la Russia per il suo ruolo nella guerra in Ucraina. Ha visto come gli Stati Uniti hanno compiuto furti simili contro i fondi denominati in dollari di Venezuela, Afghanistan e Iran.

Vede come l’aumento dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve per soddisfare le esigenze degli Stati Uniti faccia defluire i capitali da altri Paesi e come faccia crollare le loro valute, costringendoli all’inflazione. Non c’è un solo Paese al mondo che non venga toccato.

L’impatto cumulativo di questi fatti è che molti paesi preferirebbero non essere ostaggio delle conseguenze negative implicite ed esplicite dell’egemonia del dollaro. Vogliono anche eliminare il “privilegio esorbitante” di cui gli Stati Uniti hanno abusato a loro danno individuale, e collettivo.

Hanno iniziato – sempre guidati da Russia e Cina – a costruire un sistema finanziario e commerciale internazionale che non faccia affidamento sul dollaro, ma che utilizzi le valute locali dei Paesi, l’oro, il petrolio o altri beni per gli scambi.

L’anno scorso, l’Arabia Saudita ha annunciato che avrebbe iniziato ad accettare lo yuan cinese in cambio del suo petrolio. Il petrolio è il bene più prezioso al mondo per gli scambi internazionali, quindi la percezione è che si stia rompendo una diga.

Ci vorranno anni prima che venga ideato un sostituto altrettanto funzionale del dollaro, ma ciò che è iniziato qualche anno fa come un rivolo ha acquisito slancio e urgenza come conseguenza delle azioni statunitensi in Ucraina.

Quando il dollaro non sarà più la valuta di riserva internazionale e le nazioni non avranno più bisogno di dollari per commerciare tra loro, gli Stati Uniti non potranno più finanziare i loro enormi deficit di bilancio e commerciali con assegni circolari.

Il ritiro sarà angosciante e limiterà notevolmente il ruolo degli Stati Uniti come egemone globale.

Le azioni degli Stati Uniti in Ucraina hanno spinto i due più grandi avversari, la Russia e la Cina, ad unirsi. Questi, insieme all’India, alla Turchia, all’Arabia Saudita, all’Iran e a decine di altri Paesi, stanno realizzando l’integrazione eurasiatica temuta da Mackinder, che lascerà gli Stati Uniti fuori dal più grande e dinamico blocco commerciale del mondo.

Il fallimento militare degli Stati Uniti ha evidenziato, ancora una volta (dopo Iraq e Afghanistan), la relativa impotenza delle soluzioni militari statunitensi. Sì, possono ancora distruggere paesi piccoli e indifesi come la Serbia, la Libia, l’Afghanistan e l’Iraq.

Ma contro un concorrente di pari livello che ha scelto di tenergli testa, gli Stati Uniti si sono, francamente, rotti il grugno. Tutto il mondo lo vede.

Gli eventi hanno mostrato anche la debolezza dei sistemi economici e finanziari guidati dagli Stati Uniti, soprattutto rispetto alla Cina. I risultati economici della Cina hanno superato di gran lunga quelli degli Stati Uniti e hanno fatto uscire dalla povertà un numero di persone superiore a quello di qualsiasi altro Paese nella storia del mondo.

La sua crescita l’ha resa la più grande economia del mondo in termini di parità di potere d’acquisto. Mentre i redditi medi corretti per l’inflazione negli Stati Uniti sono di poco superiori a quelli di 50 anni fa, i redditi in Cina sono aumentati di oltre 10 volte nello stesso periodo. E lo ha fatto senza brutalizzare e saccheggiare altre nazioni che rifiutano di piegarsi alla sua volontà egemonica.

Inoltre, la guerra ha tradito, come nient’altro avrebbe potuto, l’isolamento diplomatico degli Stati Uniti, con la stragrande maggioranza dei popoli del mondo che si rifiuta di attuare le sanzioni contro la Russia richieste dagli Stati Uniti.

La distruzione del gasdotto Nord Stream è riconosciuta come il più grande atto di terrorismo di Stato nella storia, superando di gran lunga l’11 settembre in termini di centinaia di milioni di persone danneggiate. E questo, a uno dei suoi presunti alleati, l’Europa. Immaginate cosa accade ai suoi nemici.

Questo è il tunnel in fondo alla luce, un mondo multipolare in contrapposizione a quello unipolare. Significa un crescente isolamento degli Stati Uniti dal resto del mondo, la chiusura delle opzioni, il restringimento delle opportunità, la perdita della supremazia strategica che un tempo caratterizzava la più grande potenza nella storia del mondo.

Significherà una drastica riduzione del potere e dell’influenza nei confronti degli avversari strategici degli Stati Uniti e una marcata limitazione della capacità di operare militarmente, economicamente e finanziariamente nel mondo, con il libretto degli assegni che presto verrà sottratto.

Tra 20 o 30 anni, gli Stati Uniti saranno ancora una potenza regionale importante, forse come il Brasile in Sud America, l’Iran in Asia occidentale o la Nigeria in Africa. Ma non saranno più l’egemone globale di un tempo, in grado di proiettare e infliggere il suo potere sul mondo come ha fatto nell’ultimo secolo.

Gli Stati Uniti hanno abusato della loro unzione come straordinaria nazione della provvidenza. Questo abuso è stato riconosciuto, denunciato e ora viene contrastato dalla maggior parte delle altre nazioni del mondo.

Il futuro sarà molto diverso per gli Stati Uniti rispetto agli ultimi 80 anni, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando svettavano sul resto del mondo come un gigante tra i pigmei. L’Ucraina si rivelerà il punto di svolta di questa trasformazione, il tunnel in fondo alla luce”.

*Robert Freeman è fondatore e direttore esecutivo del Global Uplift Project, che realizza progetti infrastrutturali su piccola scala nei Paesi in via di sviluppo per migliorare la capacità di autosviluppo dell’umanità. Robert ha insegnato economia e storia presso la Los Altos High School, dove ha anche allenato la squadra di conversazione e dibattito, producendo anche un campione nazionale nel 2006. Ha viaggiato molto sia nei Paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo. È autore della serie The Best One Hour History, che comprende la prima guerra mondiale (2013), The InterWar Years (2014), The Vietnam War (2013) e altri titoli.

Tratto da: https://vocidallestero.blogspot.com/2023/03/robert-freeman-ucraina-il-tunnel-in.html.

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