di Pino Cabras.
E poi ci sono i professori che vorrebbero relegare gli abitanti di Gaza nel deserto della penisola del Sinai. Lo ha suggerito in un pensoso editoriale su «The Jerusalem Post» che sta facendo parecchio rumore il professore israeliano Joel Roskin, un geologo-geografo (e immagino anche geoparaculo) del Dipartimento di Geografia e Ambiente dell’Università Bar-Ilan di Tel Aviv.
Gli stati coloniali non funzionerebbero un solo minuto se dovessero basare i loro regimi di occupazione sulla sola forza dei loro soldati. Hanno bisogno anche di finanzieri, di organi di stampa compiacenti, di dirigenti collaborazionisti, di intellettuali organici che fiancheggino l’ideologia coloniale e le sue pianificazioni. Sono loro a fornire alle potenze colonialiste il balsamo che ammorbidisce con altisonante e visionaria “progettualità” anche le più bieche e crudeli pulizie etniche, i genocidi, le rapine minerali e territoriali realizzate con la liquidazione di intere comunità.
Joel Roskin e il «Jerusalem Post» non fanno eccezione. E quindi non si vergognano. Non hanno nessun imbarazzo a dichiarare tutto già nel titolo dell’articolo: «Perché spostarsi verso la penisola del Sinai è la soluzione per i palestinesi di Gaza». Un atto volontario, insomma, che deve andare contro l’insistenza a rimanere, una qualità degli abitanti di Gaza definita da Roskin come mera «stubborness», cocciutaggine.
Il geoparaculo attinge alle sue conoscenze per descrivere le mirabolanti caratteristiche che avrebbe quella scatola di sabbia del Sinai per ospitare – come mai ha fatto nella storia – addirittura due milioni di persone. E che sarà mai, sradicare quei cocciuti da Gaza, resa inabitabile da Sor Netanyahu? Allegri, suvvia! Mentre a Gaza stanno strettini e con un vicino leggermente stronzetto che gli fa i dispettucci, nel Sinai potranno finalmente distendere i piedi. Fra le sue sabbie polverose li attende una specie di terra vergine, certo un aridissimo prolungamento del Sahara, ma dotato di insospettabili e inesplorate riserve d’acqua che Roskin e pochi altri saggi conoscono bene. Fidatevi!
L’importante è che in nessun punto dell’articolo questa sia definita come una “deportazione”, che sarebbe un crimine di guerra e non sta mica bene, bensì come «un luogo ideale per sviluppare uno spazioso reinsediamento». Vedete come suona figo? Spazioso reinsediamento, «spacious resettlement». Sembra quasi la prolusione di un agente immobiliare che vi illustra un appartamento più ampio del triste monolocale dove stavate sinora. Strano però che altri agenti immobiliari stiano già illustrando ai coloni israeliani fanatici il “rendering” delle case da costruire a Gaza, una volta sfrattati o seppelliti i cocciuti. Si vede che ai coloni piace invece stare stretti, sono fatti così. Solo i maliziosi pensano che vogliano appropriarsi anche dei vasti giacimenti di gas (anche loro “spaziosi”) nella piattaforma marina davanti a Gaza che ad oggi spetterebbe ai palestinesi.
Appare evidente che il geografo ha una specie di amnesia selettiva, quella geografia lì non la ricorda. Potrebbe essere un problema della sua corteccia prefrontale dorso-laterale o un problema di geografia. Nel primo caso, proprio nell’Università Bar-Ilan c’è un’ottima facoltà di medicina dove andare. Nel secondo, c’è la sua facoltà dove andare.
Per parte mia, ho un’idea ben precisa di dove il prof. Roskin dovrebbe andare.