di Pino Cabras.
Il sistema politico e statale della Siria, così come plasmato dagli Assad, sta attraversando con un’accelerazione vertiginosa la sua fase terminale di dissoluzione.
È l’effetto finale di un progetto imperiale di lungo periodo che ha voluto a tutti i costi questo risultato per riorganizzare il Levante – un crogiuolo di popoli, etnie, religioni – demolendo un baricentro sovrano con un nucleo cesaristico particolarmente duro come la Repubblica Araba Siriana.
Ogni mezzo è stato usato negli ultimi 14 anni dall’Occidente, dalla Turchia e dalle petromonarchie arabe in accordo con Israele: una guerra per procura che ha fatto da palestra per i tagliagole jihadisti di mezzo mondo (inclusa la funesta orda dell’ISIS) e che ha devastato – con costi umani spaventosi e in modi irrimediabili – tutti gli equilibri sociali, etnici e demografici della Repubblica; sanzioni applicate in modo feroce per destrutturare le basi economiche con inevitabili effetti di logoramento di medio e lungo periodo; pezzi di territorio invasi dagli Stati Uniti e tuttora in mano loro per rubare quasi tutte le ingenti risorse petrolifere (ne avete mai sentito parlare dal coro dei presunti difensori degli invasi rispetto agli invasori?); altri pezzi di territorio invasi dalla Turchia e da Israele per crearsi arbitrarie fasce di sicurezza, usate come base avanzata di incursioni e attacchi; costanti e quotidiane azioni militari di Israele volte a degradare la tenuta del sistema militare dello stato siriano. Per i siriani non doveva valere la formula per cui quella nazione “ha il diritto di difendersi” per non andare in malora.
Dopo che l’albero è stato aggredito e scrollato così a lungo, non stupisce che l’ultimo scossone lo abbia buttato giù in un tempo ultra-breve.
Lo stato poteva crollare già nel 2015, ma ha retto altri nove anni grazie all’intervento militare di Mosca, storico alleato di Damasco sin dai tempi sovietici (conservando l’unica base militare russa fuori dal territorio post-sovietico), risultando il vero soggetto che storicamente sbaragliò l’ISIS. Fu importante anche l’intervento degli Hezbollah libanesi, che vedevano il loro paese reggere il drammatico urto di una marea inimmaginabile di profughi siriani, ma che sapevano che un collasso della Siria avrebbe avuto un esito ancora più tragico per il Libano: molti villaggi cristiani siriani sconvolti dalle orde jihadiste armate dal mondo NATO e dalle monarchie del Golfo furono liberati e salvati proprio dai fondamentalisti sciiti agli ordini di Nasrallah. Importante anche la regia di Teheran per dare profondità strategica al cosiddetto “Asse della Resistenza”. Il lavoro ai fianchi di chi voleva annichilire la pervicace sovranità di Damasco non si interruppe, anche se per un po’ subì i contraccolpi. Fu altamente simbolica, nel marzo 2016, la riconquista della città di Palmira e del suo importantissimo sito archeologico da parte delle truppe di Damasco e quelle russe. Assad veniva da cinque anni in cui era stato sottoposto a infiniti tentativi di ‘reductio ad Hitlerum’. Ma stava solo difendendo la sovranità di un paese, difendendo anche per noi un baluardo contro la barbarie, con la quale commerciavano invece i presunti anti-hitleriani. Fu un momento storico che restituì la vera statura delle personalità politiche.
Oggi questo baluardo appare totalmente friabile. Non si riscontra alcuna collaborazione significativa tra l’esercito siriano e le forze di sicurezza, né una resistenza organizzata e concreta. Di fatto, queste ultime non stanno proteggendo il territorio nazionale. Gli sporadici episodi di difesa non fanno altro che accentuare il quadro complessivo di decadimento. Che il collasso sia avvenuto spontaneamente o sia stato causato da un tradimento non conta più: ciò che pesa è il risultato tangibile. La Siria, nella sua configurazione precedente, è prossima alla fine. Anche qualora fosse stata prevista un’azione di sostegno, non ci sarebbe il tempo necessario per attuarla: lo Stato e l’apparato militare siriano stanno implodendo più rapidamente di qualsiasi soccorso esterno.
La Russia cercherà di salvare il salvabile per quel che la riguarda: assicurarsi – se ci riesce – la permanenza delle sue installazioni militari nella regione di Latakia; procedere all’evacuazione dei suoi cittadini e del personale militare presenti a Damasco, minimizzare i costi legati alla crisi cercando un compromesso che coinvolga i triplogiochisti turchi, l’Iran, i paesi del Golfo con cui ha migliorato le proprie relazioni e, per alcune questioni, anche Israele. Molto, forse troppo lavoro, per il ministro degli esteri russo Lavrov.
Simmetricamente, l’Iran va a perdere il corridoio terrestre strategico costruito nel 2017 sotto la guida di Soleimani, un evento che cambia la postura di Teheran nella regione, abbastanza da far pensare che un pezzo della sua classe dirigente disposto a pagare un prezzo elevato abbia lavorato in mille modi contro altri dirigenti iraniani per uscire da questo complicato gioco strategico, ritenendolo non più sostenibile. La decapitazione di Hezbollah, storico alleato dell’Iran in Libano, potrebbe non essere opera solo di Bibi il genocida.
Il futuro della Siria è confuso, senza un “centro di gravità”, il che pone le premesse di un conflitto prolungato da “stato fallito”, simile a quanto accaduto in Libia o in Afghanistan, con uno scenario dominato dalla frammentazione dello Stato e l’accendersi di rivalità incomponibili.
L’esodo di milioni di rifugiati – come già in passato – e la diffusione di gruppi terroristici che trovano in Siria la loro Tortuga, l’isola dei pirati senza regole e senza scrupoli, rappresentano un rischio concreto per l’intera regione. Inoltre, il radicalismo islamico, utilizzando come base i territori sotto il suo controllo, potrebbe espandere la propria influenza, generando gravi ripercussioni in numerosi Paesi, su un raggio vastissimo.
«Hanno forse capito che quelle guerre non hanno provocato altro che il caos e l’instabilità in Medio Oriente e in altre regioni? A quei politici vorrei spiegare che il terrorismo non è una carta vincente che si possa estrarre e utilizzare in qualsiasi momento si voglia, per poi riporla in tasca come se niente fosse. Il terrorismo, come uno scorpione, può pungerti inaspettatamente in qualsiasi momento» (Bashar Al-Assad, 2013).
Ha dunque il suo primo trionfo questa sorta di legione di avventurieri addestrati in modo moderno (adesso usano perfino i droni con addestratori ucraini), spedita su vari fronti geopolitici, in grado di essere utilizzata per scardinare interi Stati, ma con coperture e finanziamenti statali e la prontezza per ogni tipo di ricatto. Lo scorpione pungerà ancora in Europa. I governanti europei, fra i più ricattati, subiranno pressioni enormi contro gli interessi dei propri paesi, ma sono abituati. È l’Impero del Caos che bussa, non l’Islam.