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Tutte le contraddizioni di Bini Smaghi

Non è cosa di tutti i giorni vedere un ex membro del comitato esecutivo della BCE arrampicarsi sugli specchi dinanzi ad una serie di critiche puntuali.

Tutte le contraddizioni di Bini Smaghi
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19 Maggio 2013 - 17.03


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di Stefano Lucarelli.

CON DUE VIDEO IN CODA ALL”ARTICOLO.

Non è cosa di tutti i giorni vedere un ex membro del comitato
esecutivo della BCE arrampicarsi sugli specchi dinanzi ad una serie di
critiche puntuali. Mercoledì scorso ad Ancona, Lorenzo Bini Smaghi ha presentato e discusso con alcuni degli economisti italiani più capaci di criticare le ricette mainstream per uscire dalla crisi, il suo ultimo libro Morire di austerità. L’incontro era organizzato dal Mofir,
un gruppo di ricerca estremamente vivace, attento all’analisi empirica
delle principali variabili di politica monetaria e fiscale senza essere
incline alla baloccometria (pericolo denunciato da de Finetti
ben prima dello scandalo Reinahrt-Rogoff) e capace anche di aprirsi ad
un pubblico di non specialisti.

Bini Smaghi ha riportato un aneddoto significativo: qualche eminente
economista statunitense gli ha chiesto: “Come mai è così complicato per
voi in Europa risolvere questa crisi? Non potete fare come noi?”
L’attuale presidente di Snam Rete Gas ha risposto segnalando che la
tutela della democrazia in Europa, un insieme di grandi nazioni diverse,
non consente di attuare le ricette messe in campo negli Stati Uniti. Ha
poi continuato dando una chiave di lettura della crisi attuale che
testimonia le difficoltà teoriche in cui si dibatte un economista con
importanti compiti istituzionali, che deve – per dignità – riconoscere le nefandezze prodotte dalle politiche di austerity ma che non vuole mettere in dubbio né il principio secondo il quale la BCE non
debba fungere da prestatore di ultima istanza sostenendo direttamente i
governi in difficoltà, né la superiorità delle politiche strutturali
messe in campo dai Paesi del Nord Europa. I PIIGS e i loro politici
sarebbero allora colpevoli di ritardare le riforme strutturali. In tal
modo, di fatto, Bini Smaghi legittima l’erronea convinzione che gli
equilibri di finanza pubblica non dipendano per lo più dalle debolezze
istituzionali dell’UME, dunque dal mancato controllo sui tassi di
interesse, né denuncia le politiche mercantiliste tedesche, consolidando
la sua fama di falco della politica fiscale.

Nella discussione Piero Alessandrini ha sottolineato
che il libro parla di un delitto annunciato, ricordando tra l’altro che
il primo Paese ad aver beneficiato delle deroghe rispetto ai parametri
europei fu la stessa Germania, ha riportato al centro del discorso gli
squilibri commerciali (punto che, nel libro, Bini Smaghi riconosce
mostrando di cambiare idea rispetto a quanto in passato ha sostenuto nei
suoi contributi scientifici), sottolineando come non è detto che questi
squilibri debbano essere assorbiti necessariamente e criticando
l’autore poiché trascura il tema della golden rule (cioè piani
di investimento attraverso spesa pubblica in deficit). Il fantasma di
Keynes ha iniziato ad aleggiare nell’aula ed è apparso in tutta la sua
imponenza quando Alessandrini ha ricordato come il surplus tedesco non
sia necessariamente un merito, ma il segnale di un’Europa che funziona
male e che dovrebbe assumersi la responsabilità di politiche fiscali
redistributive.

Emiliano Brancaccio [in fondo all”articolo  il video dell”intervento]
si è concentrato sulle rilevanti contraddizioni analitiche di Bini
Smaghi e sui dubbi che emergono da un libro che non offre una chiara
soluzione politica per la crisi europea: l’autore riconosce che gli
effetti dell’austerity possono prolungarsi nel tempo, ma ciò lo
dovrebbero condurre, come invece non fa, a riconoscere la rilevanza
della carenza di domanda effettiva nel lungo periodo anche nell’analisi
dei problemi di solvibilità che affliggono i sistemi creditizi in
Europa. L’austerity produce insolvenza nei PIIGS, ma allora la
BCE che ruolo dovrebbe assumere dinanzi a prevedibili dinamiche di
acquisizioni delle banche dei Paesi europei in difficoltà da Parte delle
banche di Paesi forti? Le politiche strutturali che Bini Smaghi
consiglia si riducono sostanzialmente alla flessibilità dei salari, ma i
dati del caso irlandese, che Brancaccio richiama, mostrano come queste
politiche aggravino la crisi.

Contraddizioni istituzionali a livello UME che, secondo il buon senso dell’uomo degli affari, ha rilevato anche l’ingegner Pieralisi,
ricordando come le nazioni europee sono innanzitutto sistemi in
concorrenza, che le industrie italiane non sono in grado di ridurre
ulteriormente i costi della produzione, che il sistema bancario italiano
non sostiene le imprese italiane, e che le riforme strutturali
necessarie non riguardano la flessibilità del mercato del lavoro.

Le ipotesi su cui sono costruite le politiche di austerity, ma anche lo statuto della BCE, sono sbagliate, come Andrea Presbitero [in fondo all”articolo  il video dell”intervento] ha
mostrato numeri alla mano chiamando in causa anche la responsabilità
degli organi di informazione che, banalizzando, continuano a legittimare
l’idea sbagliata che il debito pubblico sia causa della bassa crescita.
La buona ed onesta analisi empirica mostra che le politiche di
austerità hanno effetti recessivi, che occorre coordinare politiche
monetarie e fiscali per ridurre l’incertezza sistemica, che il credit crunch in Italia è un problema causato dal lato dell’offerta, cioè dalle banche. C’è anche chi fa notare che l’austerity è associata a un aumento dei suicidi.

Dinanzi a questa mole di critiche Bini Smaghi ha replicato svelando
che dietro all’accattivante titolo del suo libro c’è solo l’idea che il
problema non sta nell’erroneità delle politiche di austerità, ma nel
fatto che in Italia queste stesse politiche sono state fatte in ritardo e
male. Un punto di vista contro il quale dovremo continuare a lottare.

Video completo della presentazione: http://docs.dises.univpm.it/dnl/BiniSmaghi/

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