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Qualcuno deve pagare

Tutti per la crescita, intanto negli States... [Raf Kurz]

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4 Luglio 2014 - 17.58


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di Raf Kurz

La vulgata neokeynesiana pro “crescita” ha su questa sponda dell’Atlantico il suo dogma incrollabile: gli Stati Uniti sono usciti dalla crisi grazie alla politica economica e monetaria espansiva dell’amministrazione Obama. Il suo profeta Paul Krugman, è vero, proclama in patria che la liquidità immessa non è ancora sufficiente per risollevare la middle class (anzi, ultimamente ha avanzato dubbi più “strutturali” ma i suoi adepti europei non sembrano aver preso nota). Nessuno comunque mette in dubbio che la strada giusta è quella.

Non importa che la “ripresa” Usa (tecnicamente, udite, data da metà 2009) sia stata a tutt’oggi la più lenta e asfittica del secondo dopoguerra; che i livelli di occupazione pre-crisi siano stati recuperati dopo cinque anni (!) ma con qualifiche e salari più bassi (vedi gli interessantissimi [url”grafici pubblicati”]http://www.nytimes.com/interactive/2014/06/05/upshot/how-the-recession-reshaped-the-economy-in-255-charts.html?smid=tw-upshotnyt&_r=0[/url] dal New York Times); che il livello di partecipazione al mercato del lavoro sia sul 60%, il peggiore da trentasette anni; che l’erogazione di food stamps sia a livelli storici; che la middle class sia in pieno deleveraging post-abbuffata da debito con riduzione dei consumi; eccetera, eccetera.

Con tutto ciò, negli ultimi mesi anche sul versante del Pil le cose paiono mettersi non bene. Inaspettato per gli esperti, il dato del primo trimestre ha segnato un -2,9% su base annua, il peggiore dal 2009.

Ora, un trimestre non fa primavera e neppure… autunno. La crisi globale – non solo un’eurocrisi da politiche restrittive, nb – è un processo profondo ancora in corso, non solo economico ma sociale, politico e geopolitico. Il Pil è solo uno dei numerosi “dati” macro (e lasciamo perdere calcolato su quali basi). Nessuno, quindi, ha l’intenzione di levare un dottorale l’avevamo detto. Del resto, l’andamento complessivo attuale sa più di stagnazione che di recessione.

Un elemento di ordine generale però salta agli occhi: dopo quattro trilioni di dollari gettati sui mercati dalla Federal Reserve in questi anni, ed è solo una parte della liquidità creata, l’economia non vuole ripartire. Non solo: stoppato il crollo dopo lo scoppio della bolla sub-prime, se ne è ricreata una nuova, e forse più d’una se è vero che, stranamente, sono in bolla sia le azioni di borsa che le obbligazioni. Se fossimo marxisti diremmo che la moneta fatica sempre più a funzionare come capitale…

Di fronte a questa situazione i nuovi vertici della Fed hanno un bel dilemma, fin qui aggirato prendendo tempo. O andare a concludere i programmi di Quantitative Easing (ovvero lo stampare moneta per sostenere l’indebitamento pubblico e i corsi di borsa permettendo nel frattempo alle banche di ripulire un po’ i bilanci) controllando le bolle e però facendo salire i tassi con le conseguenze del caso oppure continuare così mettendo però a rischio in prospettiva l’egemonia mondiale di un dollaro superinflazionato.

Intanto, la pressione sulla Ue perché adotti un corso di crescita allentando le redini della politica monetaria si fa forte, non a caso se la finanza americana a fronte di una nuova “correzione” dei mercati dovesse trovarsi nella necessità di nuovi [i]raid[/i] speculativi. La geopolitica obamiana della distruzione creativa – dall’Ucraina al Medio Oriente – prosegue. E qui da noi si aspetta di vedere se Mister 40%-dei-voti ce la farà, per il bene di tutti e con una spintarella a stelle e strisce, a lasciarsi alle spalle l’austerity imposta da quella cattivona… Come sempre, chi si accontenta gode.

(2 luglio 2014)

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