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Il Pil non basta

La Cina manda in pensione il Pil: ambiente e povertà per misurare la qualità della vita. [Alessandra Baduel]

Il Pil non basta

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24 Agosto 2014 - 09.23


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di Alessandra Baduel

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Che la ricchezza non basti a misurare il benessere non è una novità, né lo sono vari tentativi, nel mondo, di sostituire il Pil con altre misurazioni, come quella della “felicità” scelta dal Buthan. Ma ora è la Cina a muoversi, con oltre 70 città e distretti che hanno abbandonato il Prodotto interno lordo come misura della performance locale. I vertici del partito l”hanno stabilito alla fine dell”anno scorso e il premier Xi Jinping l”ha ribadito in giugno: “Non possiamo più usare il semplice Pil per decidere chi sono i più bravi”.

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I funzionari governativi stanno assimilando il contrordine: ora chiedono cose come l”attenzione all”ambiente e la riduzione della povertà. E proprio mentre l”Ocse progetta di sostituire il Pil con il suo Better Life Index, arrivano i primi segni concreti, a parere del Financial Times, del fatto che la Cina stia davvero lasciando il mantra della crescita economica a ogni costo per incoraggiare una miglior qualità della vita.

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Fujian, provincia costiera finora concentrata sulla movimentazione delle esportazioni e il manifatturiero, è uno degli esempi: questo mese ha annunciato che sostituirà il Pil con indici sull”agricoltura e la protezione dell”ambiente in 34 dei suoi distretti. Nei mesi scorsi è stata la volta di Hebei, distretto siderurgico a nord di Pechino, e Ningxia, regione povera del nord est della Cina. A Hebei l”obiettivo è ora quello di ridurre le fabbriche che producono smog (lo smog che affligge anche Pechino, a un centinaio di chilometri, che a sua volta sta chiudendo i suoi impianti più inquinanti).

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Via dunque cementifici, acciaierie e centrali elettriche. In più, c”è un piano di lotta alla povertà e per lo sviluppo rurale, con l”obiettivo di ridurla a zero entro il 2020, mentre la Agricultural University di Hebei produce tesi su povertà e turismo, che studiano come mettere a frutto il patrimonio rendendolo fruibile (con migliori infrastrutture, più cooperazione regionale e più pubblicità) ai “turisti ecologici e al Turismo Rosso”, come scrive lo studioso Zhang Pengtao.

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Le aree di Guangxi, Guangdong e Jiangxi hanno a loro volta rallentato la corsa alla crescita del Pil e incoraggiano terziario e primario, con servizi, allevamenti e trasformazione non industriale dei suoi prodotti. Nel distretto di Tiannan, provincia di Jiangxi, per inseguire il Pil hanno introdotto tre fabbriche di ceramica e un impianto di trasformazione non ferrosa dei metalli. Ma ora che il Pil non è più un “dovere primario”, come ha spiegato il segretario locale del partito Sheng Hengda all”agenzia Xinhua, “abbiamo equipaggiato le fabbriche con strutture che trattano l”inquinamento”.

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Nella provincia del Sichuan, la più popolata della Cina, il governo locale ha diviso città e campagne in due differenti gruppi di valutazione. Il regolamento, pubblicato a fine giugno, spiega che 58 distretti con buoni ecosistemi sono stati esentati dalla valutazione del Pil. Le prossime valutazioni del progresso locale verranno fatte su due parametri: la misurazione degli acri di foresta conservati e quella della diminuzione del tasso di povertà conseguita. Nel frattempo, la regione iugura del Xinjiang ha cambiato obiettivi: protezione della natura, anche lì.

La stessa Pechino ora si vanta di aver chiuso nel primo semestre dell”anno ben 213 aziende inquinanti. In più, settori “puliti” come tecnologia informatica e servizi finanziari hanno coperto più del 50% della crescita del Pil cittadino, che lì è in vigore ma sta cambiando contenuti, appunto.

Tutto procede secondo la nuova linea decisa dal partito, dunque. Anche se un dubbio resta. Come segnala il Financial Times, la corsa al Pil e alla ricchezza, anche personale, ha creato ottimi rapporti fra i rappresentanti del governo e le inquinanti industrie tradizionali: intere carriere costruite sui trionfi del Pil della propria area, come nel caso di Zhang Gaoli, membro della Commissione permanente del Politburo da fine 2012, dove è arrivato anche per la crescita del Pil della megacittà di Tianjin negli ultimi anni, da quando lui ne è diventato segretario locale del partito, nel 2007. Come ha fatto? Appoggiando grandi imprese di costruzione che hanno prodotto, fra l”altro, la “risposta cinese a Manhattan”, cioè i grattacieli del distretto finanziario di Yujiapu. Oggi buona parte dei palazzoni resta vuota, ma lui è vice premier, appena nominato anche a capo dell”ufficio che promuoverà lo “sviluppo sinergico” di Pechino, Tianjin e la provincia di Hebei.

Pubblicato su [url”la Repubblica”]www.repubblica.it[/url] del 18 agosto 2014.

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