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Paul Krugman: il grande equivoco del debito pubblico

Una famiglia indebitata deve soldi a qualcun altro, ma l’economia li deve a se stessa. Il debito non rende l’economia più povera, e rimborsarlo non rende più ricchi

Paul Krugman: il grande equivoco del debito pubblico
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17 Febbraio 2015 - 17.24


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di Paul Krugman 

Secondo
molti economisti, compresa la presidente della Federal Reserve
statunitense Janet Yellen, i guai dell’economia globale dal 2008 in poi
sono dovuti soprattutto al deleveraging o riduzione della leva
finanziaria (ovvero il tentativo simultaneo di ridurre il livello
d’indebitamento in tutto il mondo). Perché la riduzione della leva
finanziaria è un problema? Perché la spesa di Tizio è il reddito di Caio
e la spesa di Caio è il reddito di Tizio: perciò, se tutti tagliano la spesa nello stesso momento, il reddito cala in tutto il mondo.
Come ha detto Yellen nel 2009, “quelle che per i privati e le imprese
sono giuste precauzioni – e anzi, sono essenziali per riportare
l’economia alla normalità – purtroppo aggravano le difficoltà
dell’economia in generale”. Quanti progressi abbiamo fatto nel riportare
l’economia alla “normalità”? Nessuno.

Le autorità politiche e finanziarie hanno agito partendo da una lettura sbagliata del debito,
e i loro tentativi di ridimensionare il problema in realtà lo hanno
aggravato. Innanzitutto, i fatti: da un recente rapporto del McKinsey
global institute intitolato “Debito e (non molto) deleveraging” emerge
che il rapporto tra debito complessivo e pil non si è ridotto in nessun
paese del mondo. Il debito privato è calato in alcuni paesi,
specialmente negli Stati Uniti, ma è cresciuto in altri, e dove c’è
stata una significativa riduzione dell’indebitamento delle aziende e dei
cittadini il debito pubblico è cresciuto più di quanto è diminuito
quello privato.

Qualcuno
penserà che se non siamo riusciti a ridurre il rapporto tra debito e
pil è perché non ci abbiamo provato: famiglie e governi non si sono
impegnati abbastanza a stringere la cinghia, perciò ci vuole più
austerità. La realtà, però, è che non abbiamo mai avuto tanta austerità.
Come ha osservato il Fondo monetario internazionale, la spesa pubblica
reale al netto degli interessi è scesa in tutti i paesi ricchi: ci sono
stati pesanti tagli nei paesi indebitati dell’Europa meridionale, ma ci
sono stati tagli anche in paesi come la Germania e gli Stati Uniti, che
pure sono in grado di finanziarsi a tassi d’interesse vicini ai minimi
storici.

Tutta questa austerità ha peggiorato le cose.
Era prevedibile, perché l’invito a risparmiare si è fondato su un
fraintendimento del ruolo del debito nell’economia. L’equivoco è
evidente ogni volta che qualcuno si scaglia contro il deficit con slogan
come “Smettiamo di rubare ai nostri figli”. Apparentemente
suona bene: le famiglie che s’indebitano s’impoveriscono, perciò vale lo
stesso per il debito pubblico, giusto? Niente affatto. Una famiglia
indebitata deve dei soldi a qualcun altro, mentre l’economia deve dei
soldi a se stessa. È vero che i paesi possono indebitarsi con altri
paesi, ma dal 2008 l’indebitamento degli Stati Uniti con l’estero è
diminuito, mentre l’Europa è in credito netto con il resto del mondo.
Siccome sono soldi che dobbiamo a noi stessi, il debito non rende
direttamente l’economia più povera, e rimborsarlo non ci rende più
ricchi.

Il
debito può rappresentare una minaccia alla stabilità finanziaria, ma la
situazione non migliora se per ridurlo si spinge l’economia verso la
deflazione e la depressione. Il che ci riporta agli eventi delle ultime
settimane, perché c’è un collegamento diretto tra l’incapacità di
ridurre l’indebitamento e la crisi politica che sta emergendo in Europa.
I leader europei sono convinti che la crisi economica sia stata
provocata da un eccesso di spesa da parte di paesi che hanno vissuto al
di sopra delle proprie possibilità. La strada giusta, secondo la
cancelliera tedesca Angela Merkel, è il ritorno alla sobrietà. L’Europa,
ha detto, dev’essere parsimoniosa come la proverbiale casalinga sveva.

Questo ha provocato una catastrofe al rallentatore.
I debitori europei dovevano sì stringere la cinghia, ma l’austerità che
sono stati costretti ad adottare è stata incredibilmente brutale. Nel
frattempo, la Germania e altre grandi economie – che dovevano spendere
di più per compensare la contrazione nella periferia – hanno cercato a
loro volta di spendere meno. Così si è creata una situazione in cui
ridurre il rapporto tra debito e pil è diventato impossibile: la
crescita reale ha rallentato bruscamente, l’inflazione è scesa quasi a
zero e nei paesi più colpiti è arrivata addirittura la delazione. I
poveri elettori hanno sopportato questo disastro per un tempo
sorprendentemente lungo, credendo alla promessa che presto i loro
sacrifici sarebbero stati ripagati. Ma dato che le difficoltà
continuavano ad aumentare senza produrre risultati, la radicalizzazione è
stata inevitabile.

Chiunque
si sorprenda della vittoria della sinistra in Grecia o dell’avanzata
delle forze anti-establishment in Spagna non è stato abbastanza attento.
Nessuno sa cosa succederà ora, anche se i bookmaker considerano sempre
più probabile l’uscita della Grecia dall’euro. Forse i danni si
fermeranno qui, ma io non credo: l’uscita della Grecia minaccerebbe
l’intero progetto della moneta unica. E se l’euro fallirà, sulla sua lapide bisognerà scrivere: “Morto per un’analogia sbagliata”.

Fonte: Internazionale #1089 del 13 febbraio 2015.

Tratto da: http://fondazionepintor.net/economia/krugman/equivoco.

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