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Lezioni per tutti dalla crisi della Grecia

La Grecia ha avuto la sfortuna di trovarsi al crocevia di 3 elementi: bolla speculativa; democratizzazione del debito, rigidi comandamenti degli eurocrati [G. Colonna]

Lezioni per tutti dalla crisi della Grecia
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27 Luglio 2015 - 20.02


ATF

di Gaetano Colonna.




Dialogo fra sordi

Yanis
Varoufakis, il ministro greco defenestrato per permettere l”accordo con
l”Eurogruppo, ha descritto così le sue discussioni con i 19 ministri
delle finanze dell”Eurozona:

“Non è che la discussione
andava male, si rifiutavano proprio di discutere questioni economiche.
Punto e basta. Tu presenti una proposta a cui hai lavorato, ti assicuri
che sia coerente, e ti trovi davanti sguardi vuoti e inespressivi. È
come se non avessi parlato. Quello che dici è indipendente da quello che
dicono loro. Se avessi cantato l”inno nazionale finlandese, avrebbero
avuto la stessa reazione”.

Eppure Varoufakis non è affatto
quell”estremista paleo-comunista che la stampa italiana ha spesso
descritto: è un economista formatosi nelle migliori università
anglo-sassoni, dove ha anche insegnato; è uno dei massimi esperti
mondiali della “teoria dei giochi”, un sofisticato metodo
logico-matematico spesso utilizzato proprio nella simulazione di
trattative diplomatiche. Queste sue elevate competenze tuttavia gli sono
servite a ben poco: dovremmo chiederci perché.

Soprattutto dovremmo chiederci a cosa servisse quella trattativa fra
sordi intorno alla quale i media hanno creato tanta suspence, quasi che
da essa dipendesse il futuro della Grecia e dell”Europa intera. Fin
dall”11 luglio, infatti, cioè prima che l”accordo capestro con la Grecia
fosse raggiunto, lo stesso Fondo Monetario Internazionale, una delle
parti in causa, ha distribuito a quello stesso Eurogruppo il seguente
comunicato:

“Il debito pubblico greco è divenuto altamente
insostenibile. (…) Il fabbisogno finanziario fino alla fine del 2018 è
ora valutato in 85 miliardi di euro e ci si aspetta che il debito
[pubblico] giunga al 200 per cento del PIL nei prossimi due anni,
ammesso che vi sia presto un accordo su di un programma. Il debito greco
può ora diventare sostenibile grazie a misure di riduzione del debito
che vanno ben oltre ciò che l”Europa ha inteso prendere in
considerazione fino ad oggi”.

Come a dire: la Grecia è
comunque fallita; o si riduce il debito, oppure i giochi sono fatti. Ma
questo BCE, FMI, Unione Europea lo sapevano benissimo: da cinque anni,
infatti, i vertici politici e finanziari europei sono perfettamente
coscienti di quello che il FMI si è tardivamente sentito in dovere di
mettere ora per iscritto.

Dunque, se tutti gli attori del
dramma erano consapevoli che solo la riduzione del debito potrebbe
impedire la rovina della Grecia, allora i 325 miliardi di euro di aiuti
dati alla Grecia non vengono prelevati dalle tasche degli europei per la
salvezza del popolo greco. È quindi ben chiaro che questo denaro
semplicemente deve evitare che questa crisi aggravi quella generale del
sistema finanziario europeo ed internazionale.

Come si distrugge un”economia


La
Grecia, come tutti noi, ha avuto la sfortuna di trovarsi al crocevia di
tre micidiali elementi che hanno caratterizzato l”inizio del millennio
nelle economie europee:

– la bolla speculativa, nota come bolla dei mutui sub-prime, partita dagli Usa;

– la cosiddetta democratizzazione del debito, vale a dire la
spinta esercitata dal mondo finanziario su aziende e consumatori a
comprare, approfittando del basso costo del denaro, indebitandosi;

– i rigidi comandamenti imposti, senza alcuna reale giustificazione economica, dagli eurocrati.

Questi tre elementi hanno operato in modo fra loro
interconnesso: la democratizzazione del debito ha favorito, per esempio,
l”accesso al credito per consumatori che in realtà non guadagnavano
abbastanza per sostenere i debiti via via contratti; le grandi società
finanziarie, prime fra tutti la solita Goldman Sachs, hanno speculato
ben oltre i limiti del lecito (1) per fornire a molti governi, tra cui
proprio quello greco, gli strumenti finanziari che, alterandone i
bilanci, consentissero il raggiungimento dei parametri di Bruxelles;
questi limiti sono del tutto privi di senso, dato che oggi sappiamo che,
ad esempio, il mitico 3% del PIL fu indicato a spanne da due oscuri
funzionari che avevano il solo merito di aver studiato alla Scuola
Nazionale di Statistica ed Amministrazione Economica di Parigi (2).

A tutto ciò nel caso greco si è aggiunta l”oggettiva esiguità
delle dimensioni produttive di un Paese all”epoca di poco più di 11
milioni di abitanti (la regione Lombardia nel 2014 ne contava 10
milioni), con un PIL nel 2010 di 229 miliardi di euro (l”Italia nel 2010
aveva 1.548 miliardi di euro di PIL), con un consistente sbilancio
commerciale e un sistema politico-amministrativo caratterizzato da
clientelismo, inefficienza e corruzione. Ma tutto questo ancora non
spiega nulla, così come non lo spiega da solo il successivo aumento del
deficit pubblico, indicato come la colpa massima della Grecia.

Fin dai primi mesi del 2009, ben prima dello scoppio della crisi e
della “scoperta” delle alterazioni del bilancio pubblico greco, il
governo greco aveva iniziato a sostenere massicciamente le perdite del
proprio sistema bancario, come hanno fatto tutti i Paesi occidentali, a
seguito del crollo borsistico e bancario nord-americano. Da allora, i
governi greci hanno sborsato 82 miliardi di euro a sostegno alle banche,
come dimostra un accuratissimo studio di R&S Mediobanca (3).

E come è stato ripagato il governo greco dal sistema bancario nazionale? Molto semplicemente così:

“Le banche greche hanno trasferito 69 miliardi di euro ad una
lunga lista di Paesi, in testa alla quale si trovano Turchia e Cipro,
seguiti da Bulgaria, Romania, Regno Unito, Isole Marshall, Liberia,
Serbia, Germania, Albania, Ucraina, Panama e Isole Maldive. Inoltre,
furono effettuati probabilmente diversi trasferimenti di fondi a Paesi
non inclusi nelle statistiche della BIS [Banca dei Regolamenti
Internazionali, BRI]. Per esempio, alcune fonti affermano che i Greci
hanno parcheggiato in Svizzera 200 miliardi di euro” (4).

Non sono state da meno le banche internazionali, così prodighe fino a quel momento nel finanziare l”economia greca:

“negli ultimi tre mesi del 2009 le banche europee hanno
infatti mediamente ridotto l”esposizione sulla Grecia del 29%. Dopo lo
scoppio in ottobre della crisi, hanno “scaricato” sul mercato 79
miliardi di dollari di debiti targati Atene. Il piede più lesto l”hanno
avuto gli svizzeri, che in tre mesi hanno ridotto l”esposizione del 95%.
Ma si sono difesi bene anche gli istituti del Belgio (-54%),
dell”Austria (-24%) e dell”Italia (-20%)” (5).

Questa
ingente quantità di capitali, speculativi e non, tra i quali si trovano
ad esempio i lauti guadagni degli armatori greci, invece di essere a
disposizione dell”economia del Paese si sono quindi riversati nei due
grandi “depositi” dell”odierno capitale internazionalizzato: nelle isole
del tesoro, gli intoccabili paradisi fiscali nei quali queste somme
sono al sicuro, oltreché dal prelievo fiscale dei governi, dai controlli
di qualsiasi sistema pubblico, dalla Svizzera alle Isole Marshall (6);
negli strumenti speculativi (titoli, futures, derivati, CDS) che da
allora fino ad oggi continuano ad essere utilizzati senza regole, per
l”80% su mercati over-the-counter (vale a dire non regolamentati e non
controllati), permettendo ad esempio agli hedge fund, i fondi
speculativi ad alto rischio, dei vari George Soros, David Einhorn, Marc
Mezvinsky, John Paulson, Dan Loeb di realizzare altissimi guadagni in
tempi brevissimi, comprando ad esempio i titoli del debito greco a
diciassette centesimi per rivenderli a trentaquattro (7).

A
conti fatti, se i dati che abbiamo citato sono veri, quasi 150 miliardi
di euro di capitali a disposizione del sistema economico-produttivo
greco sono “spariti” proprio quando il Paese ne aveva maggior necessità,
proprio mentre il governo cominciava a prendere dalle tasche dei
cittadini, per salvare le stesse banche, altri 80 miliardi di euro, che
quindi venivano anch”essi a mancare all”economia reale greca. Come si
poteva pensare che, con la scomparsa di una simile massa di capitali,
per oltre 200 miliardi di euro, in Grecia si potessero attuare
investimenti in grado di rilanciare l”economia reale, permettendo di
ripagare i debiti e risanare i bilanci?

È questo, prima
del debito pubblico, il nodo delle crisi che hanno colpito le economie
reali dei Paesi industrializzati a seguito della crisi dei subprime: un
elemento cruciale, di cui solo ora pare ci si cominci ad accorgere anche
in Italia, grazie ad un recente studio (8) che documenta la riduzione
di oltre 100 miliardi di investimenti tra il 2007 ed il 2014, per oltre
il 60% ascrivibile alle imprese. Quando i capitali disponibili in un
sistema economico vengono tesaurizzati nei paradisi fiscali o utilizzati
dalla finanza speculativa ed i risparmi rastrellati dalla pressione
fiscale, è chiaro che non si alimenta più la creazione e lo sviluppo
delle attività economiche reali: il sangue cessa di circolare
nell”organismo economico.

A questo dobbiamo aggiungere
l”ulteriore spoliazione che la Grecia ha subito e subisce attraverso il
gigantesco piano di privatizzazioni che dal 2010 le è stato imposto come
collaterale degli aiuti europei. Merita davvero visitare il sito del
Fondo di sviluppo degli asset della Repubblica ellenica (Hradf),
l”authority delle privatizzazioni greche, che ha selezionato i 1.000
beni più appetibili tra i 3.000 messi a disposizione. Si tratta di
“centinaia di immobili e terreni lungo la costa, castelli e anche
meravigliose terme naturali, 22 infrastrutture pubbliche (porti,
autostrade, aeroporti) e 10 società che comprendono utility dell”acqua,
fornitori e gestori di energia elettrica e anche il giacimento di gas
naturale di Zalova” (9). Un patrimonio che doveva portare 50 miliardi di
euro ai creditori della Grecia ma che pare non sia arrivato nemmeno ad
8, poiché i potenziali acquirenti hanno buon gioco a tirare al massimo
ribasso. In questo modo, ovviamente, si contribuisce ad indebolire
ulteriormente le possibilità di ripresa del sistema economico della
Grecia, dato che gli introiti realizzabili, ad esempio, dalle
infrastrutture pubbliche, finiscono nelle tasche delle società estere
che li hanno rilevati.

A quel punto, visto che tutte le
ottimistiche previsioni di ripresa della Grecia sono saltate (è davvero
avvilente per la “scienza economica” rileggere a distanza di solo pochi
anni quante affermazioni di esperti sono state polverizzate dalla
realtà…), i grandi operatori finanziari, in primis il “fondo di
salvataggio” europeo EFSF di cui torneremo fra breve a parlare, sono
stati capaci solo di escogitare la grande soluzione finale, emettendo
5,5 miliardi di euro di nuovissimi titoli di debito greci con scadenza a
30 anni, maggioritariamente sottoscritti ovviamente da fondi
speculativi privati (10)

Come le banche socializzano le perdite


Detto
questo, potrebbe sembrare che la questione riguardi solo la Grecia: che
la disgrazia sia capitata solo a loro, insomma. Del resto, qualcuno ha
proprio insinuato che sia tutta colpa loro. Ma abbiamo già visto che non
è così: se di colpe dobbiamo parlare, le loro colpe infatti sono le
colpe di tutti – avere subito il dominio del capitalismo finanziario.
Siamo tutti Greci, dovremmo dire!

Questo è vero anche in
un altro senso: i numeri dimostrano in maniera inequivocabile che nel
corso del 2014 il “rischio” Grecia si è poco a poco trasferito dalle
banche agli altri Stati. Le perdite del sistema finanziario
internazionale inerenti alla crisi greca sono state in questo modo
rapidamente “socializzate” tra i cittadini europei e anglo-sassoni.

Nel dicembre 2009 le banche di Francia e Germania, per fare
gli esempi più significativi, erano esposte rispettivamente per 78,8 e
45 miliardi di dollari. Nel 2014 la situazione muta completamente dal
momento che i soldi stanziati sono principalmente pubblici. “Lo Stato
tedesco ha ridotto notevolmente l”esposizione bancaria (13 miliardi di
dollari), aumentando decisamente quella pubblica (61,7 miliardi di
euro), così come lo Stato francese, esposto per 46,5 miliardi di euro.
L”Italia, infine, ha aumentato la sua esposizione del 510%: dai 6,86
miliardi delle banche nel 2009, ai circa 42 miliardi attuali, quasi
esclusivamente pubblici” (11).

Sono dati impressionanti
dei quali nessun governo europeo, tanto meno quello italiano, hanno reso
conto alle opinioni pubbliche; sui quali non è stata fornita alcuna
giustificazione o motivazione di interesse generale, a parte quella
generica e, come abbiamo visto, falsa, di voler salvare la Grecia.

Un altro aspetto molto significativo di cui si è sentito ben
poco parlare, è il mutamento intervenuto negli ultimi mesi anche nella
distribuzione geo-politica del rischio greco. Risulta infatti che
l”esposizione bancaria di Gran Bretagna e Stati Uniti è oggi divenuta
superiore a quella tedesca, la più alta d”Europa: a fronte degli attuali
già visti 13 miliardi di dollari tedeschi, infatti, UK e Usa contano
insieme ben 24,9 miliardi di dollari (di cui 12,7 Usa e 12,2 UK) di
esposizione delle banche verso la Grecia (12)

Questo mutamento spiega
dunque l”insistenza anglo-americana perché si arrivasse a tutti i costi
ad un accordo con il governo greco e le pressioni esercitate su
quest”ultimo, ovviamente nei termini della completa accettazione delle
condizioni imposte dall”Eurogruppo. Mostra anche, se ce ne fosse
bisogno, la perdurante dipendenza delle scelte europee dai desiderata
della finanza anglo-sassone che rappresenta comunque oggi il propulsore
mondiale dell”intero sistema.

Del resto, la reazione di
questo sistema alla crisi è stata tanto semplice quanto conservativa. Da
un lato, come si è appena detto, il massiccio ricorso all”aiuto
pubblico: secondo uno studio autorevole, esso vale per il 34%-35% di
tutti gli aumenti di capitale eseguiti per cassa dalle maggiori banche
mondiali nel decennio 2003-12, dunque per oltre un terzo. Dall”altro
lato, con un gigantesco processo di concentrazione che ha portato alla
riduzione da 90 a 61 del numero dei maggiori istituti bancari nello
stesso arco di tempo. Tutto ciò mentre il 48% del portafoglio titoli
delle banche Usa risulta ancora composto da “titoli strutturati, cioè
rivenienti da operazioni di cartolarizzazione”, e mentre “il tasso di
copertura dell”esposizione massima al rischio di credito (che comprende
sia le attività rischiose in bilancio che quelle “fuori bilancio”) da
parte del capitale netto tangibile” a fine 2012, era del 4% in Europa,
del 5,4% delle principali banche giapponesi e del 6,1% delle banche
degli Stati Uniti, in spregio ai tanto decantati parametri di Basilea
(13)!

Il che vuol significa che il sistema bancario
internazionale è sempre più concentrato ma sempre più esposto ad elevati
rischi globali, in quanto ancora e sempre basato sulla creazione di
moneta e debito dal nulla. Niente in sostanza è dunque cambiato rispetto
a prima della grande paura dei subprime! 

Le allucinazioni della sinistra europea


Tutto
questo fa capire che la questione euro sì-euro no con cui si è
distratta l”opinione pubblica della Grecia, portandola ad un referendum
il cui esito è stato poi platealmente contraddetto dalle scelte del
governo Tsipras, è in definitiva nient”altro che un utilissimo
specchietto per le allodole, che mobilita la gente intorno a falsi
obiettivi. La questione di fondo è la battaglia contro la finanza
globalizzata, che opera senza alcuna possibilità di controllo da parte
degli Stati e delle economie reali, pur esercitando su di esse un potere
costrittivo e condizionante. Da questo punto di vista, bisogna dire che
la sinistra europea ha dato di sé la peggior prova possibile,
dimostrando di non aver né strumenti di lettura né metodi di
interpretazione adeguati alla realtà. Essa si è mossa e si muove con
un”approssimazione ed un”ambiguità che arrivano a far pensare, nel
migliore dei casi, ad un”ormai costitutiva incapacità di comprendere
come opera oggi quel capitalismo globalizzato contro il quale tanto ci
si scaglia a parole.

Infatti, accanto
all”inutile diatriba sull”euro, vi è una forse ancor più ottusa
santificazione del ruolo dello Stato, una fascinazione che rischia di
coltivare un”altra delle peggiori illusioni del presente. Il crescente
potere delle istituzioni europee non democraticamente elette
(Commissione, Eurogruppo, BCE) dimostra quanto lo Stato-nazione così
come modernamente concepito sia ormai inadeguato di fronte alla volontà
di potenza esibita dai grandi conglomerati speculativi della finanza
internazionale ed alla soggezione totale a quei centri di potere delle
classi dirigenti politico-economico-culturali che reggono i nostri
Paesi. Abbiamo visto che l”Eurogruppo è stato capace di infrangere le
stesse regole stabilite al momento della creazione dell”euro, come
quella dell”art. 125 del Trattato dell”Unione Europea che vieta che uno
Stato membro debba rispondere del debito di un altro Stato membro.

Lo
stesso si deve dire di chi continua a illudere il pubblico con l”idea
del rafforzamento delle Banche centrali degli Stati. Ci si tolga per
questo lo sfizio di andare a vedere la composizione odierna del capitale
della Banca di Grecia: il 33,3% è di istituzioni bancarie private, il
57,2% è dello Hellenic Finace State Fund (HFSF) il quale è interamente
finanziato coi titoli dello European financial Financial Stability Fund
(EFSF), il cosiddetto organismo di salvataggio europeo, il quale ha lo
status giuridico, si osservi, di società privata di investimenti, di
diritto lussemburghese. In essa, attraverso l”EFSF Market Group,
investono le 39 maggiori istituzioni bancarie internazionali, tra le
quali ritroviamo i grandi gruppi finanziari mondiali: da Citigroup a
Deutsche Bank, da Goldmans Sachs a J.P. Morgan, da Barclays a Nomura a
Unicredit… (14).

Non diversamente, la Banca d”Italia è posseduta dalle
maggiori banche di cosiddetto “interesse nazionale”. Ma anche qui non
tutto è così semplice. Intesa San Paolo possiede il 31,22% della Banca
d”Italia e Unicredit il 22,11%: da sole quindi hanno una più che
ragguardevole quota proprietaria dell”istituto. Ma, tra i pacchetti
azionari nelle due banche di “interesse nazionale” troviamo ad esempio
un gigante del private equity, la società di investimenti Blackrock, di
cui ci siamo più volte occupati (15), che possiede il più importante
singolo pacchetto azionario di Unicredit (5,24%) ed il secondo maggior
pacchetto azionario (4,897%) di Intesa San Paolo, dopo la Compagnia di
San Paolo. Se questo spiega perché il premier Renzi, tra i suoi primi
atti di governo, è andato a cena con il Ceo di Blackrock, Larry Fink
(16), dovremmo esprimere dei dubbi che la Banca d”Italia risponda ancora
ad interessi italiani. 

Emancipare l”economia reale

Continuare a far credere quindi alla gente che sia lo Stato politico
la forza in grado di riscattare la sovranità economica dei popoli
rischia di evocare un “fantasma della libertà” dietro il quale possono
comodamente lavorare gli odierni “padroni delle ferriere”. Lo dimostra
ad esempio l”ottuso trionfalismo con cui la sinistra sindacale italiana
ha accolto il recentissimo accordo tra il governo italiano e Whirlpool,
un passo che in conclude degnamente una delle vicende più vergognose del
capitalismo e del sindacalismo triplicista italiano: dopo essere stato
decantato per decenni come fiore all”occhiello del “modello adriatico”
nostrano e dopo aver percepito per decenni miliardi di aiuti di Stato
pagati dai contribuenti italiani, un celebre gruppo imprenditoriale
italiano ha ceduto ad una multinazionale il know-how e il lavoro delle
maestranze italiane, nell”acquiescenza più totale del governo regionale e
nazionale, e dei sindacati. I prossimi anni ci diranno se è davvero in
questo modo che si tutela il lavoro degli Italiani.

È
tempo di liberarsi di queste abitudini di pensiero e di cominciare a
concepire in modo realmente nuovo la questione sociale che oggi, come
già agli inizi del XX secolo, torna prepotente alla ribalta. L”economia
deve essere emancipata dal nuovo potere feudale dei “padroni
dell”universo” (come gli speculatori non a caso possono auto-definirsi) e
dalle classi dirigenti che li servono in obbedienza assoluta.
Imprenditori, lavoratori e consumatori devono insieme esigere la piena
sovranità economica nell”ambito dell”organizzazione sociale,
sottraendola al potere della finanza ed alla pressione della
partitocrazia. In quanto protagonisti del ciclo di produzione,
circolazione e consumo, devono assumere poteri di direzione
dell”economia, di gestione del credito e dell”allocazione dei capitali e
dei mezzi di produzione. Per far questo esistono già sufficienti
strumenti giuridici: associazioni interprofessionali di imprenditori,
tecnici, lavoratori, consumatori e risparmiatori potrebbero per esempio
rilevare le aziende in crisi, o entrare in lizza quando si privatizzano
patrimoni pubblici. Alcuni esempi non mancano: occorre trasformarli in
una procedura consolidata e ampliarne le potenzialità, ricorrendo a
strumentazioni già esistenti: accordi di area, accordi di rete,
eccetera. Non sono utopie, sono possibilità d”azione reali.

A fianco
a questa economia emancipata, i parlamenti politico-amministrativi, una
volta sottratti alla partitocrazia, devono fissare regole semplici e
chiare che garantiscano come fondamentali principi democratici di
responsabilità sociale la non-mercificazione del lavoro e della moneta.
La cultura, la scuola, l”arte, fuori dai vincoli imposti dai programmi
di Stato e dai condizionamenti dei partiti, devono alimentare l”intero
organismo sociale, fornendo al Paese idee e competenze che lo rafforzino
e gli conferiscano prospettive di lungo termine.

Questa
grande trasformazione, di cui tutti i popoli avvertono sempre più forte
l”esigenza, è da tempo a portata di mano: occorre solo acquisirne una
piena consapevolezza, forgiare gli strumenti operativi e formare gli
uomini in grado di metterla in pratica. 

Anche la crisi della Grecia,
nella sua lampante e devastante chiarezza, potrebbe diventare allora,
come avvenne ai primi decenni dell”Ottocento, stimolo al risorgimento
dell”Europa. 

NOTE
(1) http://www.monde-diplomatique.fr/2010/03/HALIMI/18882 (marzo 2010).

(2) V. Lops, “Parla l”inventore della formula del 3% sul
deficit/Pil: «Parametro deciso in meno di un”ora, senza basi teoriche»”,
Sole 24 Ore, 29 gennaio 2014.
(3) Mediobanca Ricerche e
Studi, Interventi dei Governi nazionali a favore delle banche e degli
Istituti finanziari in Europa e negli Stati Uniti dal settembre 2007 al
dicembre 2013 (aggiornamento al 31 dicembre 2013). Scaricabile dal sito
di Mediobanca Ricerche e Studi. Per inciso, da questo studio si rileva
che l”Italia ha “speso” 127 miliardi di euro, nello stesso periodo, in
favore del suo sistema bancario. Gli Usa, al netto dei rimborsi, 2.000
miliardi di euro.
(4) Hans-Werner Sinn, The Euro Trap: On
Bursting Bubbles, Budgets, and Beliefs, Oxford University Press, 2014,
p. 145.
(5) Moriya Longo, “Banche UE in fuga da Atene: esposizione tagliata del 29%”, Sole 24 Ore, 29 aprile 2010.
(6) N. Shaxon, Le isole del tesoro, Feltrinelli, Milano, 2012.

(7) “nel febbraio 2010 gli hedge fund speculavano sui Credit
default swaps o Cds, contratti derivati per proteggersi da un default,
ma usati dai fondi per guadagnare sull”incapacità del governo di Atene
di onorare i suoi debiti. Verso la fine del settembre 2011, i bond greci
andavano a ruba tra gli hedge fund, che pagavano appena 36 centesimi
per ogni euro di valore nominale. Una scommessa dopo il primo
salvataggio da 110 miliardi da parte della Commissione Ue, della Bce e
del Fondo monetario internazionale, la famigerata troika, nel maggio
2010, per evitare il rischio dell”uscita di Atene dall”eurozona, che
avrebbe avuto conseguenze imprevedibili sulla tenuta dell”unione
monetaria, e puntando su un nuovo bailout da 130 miliardi, poi
ratificato a febbraio 2012. Atene sprofondava, contagiando anche i Paesi
della periferia dell”eurozona, ma grazie alla crisi greca l”americano
Daniel Loeb, 1,3 miliardi di patrimonio stimato da Forbes, con il suo
hedge fund Third Point ha guadagnato 500 milioni in meno di 6 mesi. Loeb
ha cominciato a comprare bond ellenici all”inizio di luglio ad appena
17 centesimi, accumulando una posizione da circa un miliardo di dollari,
mentre la maggioranza degli investitori scappava. E quando il 3
dicembre 2012 il governo di Antonis Samaras ha annunciato un riacquisto
(buyback) di titoli greci a un valore di 34 centesimi, finanziato dagli
Stati dell”eurozona, Loeb ha fatto jackpot”. Giuliana Ferraino, Corriere
della Sera, 8 gennaio 2015.
(8) Studio dell”Associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre. Lo studio è scaricabile a questo indirizzo:
http://www.cgiamestre.com/wp-content/uploads/2015/07/Investimenti25-07-2015.pdf
(9) G. Faggionato, Lettera 43, 25 febbraio 2015.
(10) Si veda la presentazione agli investitori dello stesso EFSF:
http://efsf.europa.eu/attachments/EFSF%20ESM%20New%20Investor%20presentation%20July%202015.pdf
Sull”allungamento del debito come tendenza generale del sistema, vedi anche il mio:
http://www.clarissa.it/editoriale_n1936/La-missione-della-finanza-internazionale-un-debito-perpetuo
(11) Infodata, Il Sole 24 Ore, 18 febbraio 2015.
(12) J. Defterios, CNN Money, 29 giugno 2015.

(13) Le cifre sono dell”ottimo studio del centro Ricerche
& Studi di Mediobanca, “Dati cumulativi delle principali banche
internazionali 2014″, scaricabile dal sito della società.
(14) si veda qui il dettaglio dei 39 gruppi finanziari:

https://www.bundesbank.de/Redaktion/EN/Downloads/Service/Service_fuer_Banken_und_Unternehmen/EBS/members_of_efsf.pdf?__blob=publicationFile.
(15) si veda per esempio:
http://www.clarissa.it/editoriale_n301/Padroni-dell-universo-e-sovranita-dei-popoli-il-caso-BlackRock
(16) per questo episodio si veda:
http://www.clarissa.it/editoriale_n1922/Primo-Maggio-con-la-BlackRock

Fonte: http://www.clarissa.it/editoriale_n1943/Lezioni-per-tutti-dalla-crisi-della-Grecia.

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