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Il suo nome è obsolescenza programmata

Accorciare il ciclo di vita di una merce è una strategia produttiva (che serve a mantenere artificiosamente alta la domanda) vecchia quanto il marketing. [Paolo Cacciari]

Il suo nome è obsolescenza programmata
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2 Gennaio 2016 - 10.37


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di Paolo Cacciari

Serge Latouche ci ha scritto un libro (Usa e Getta, Bollati e Boringhieri, 2013). Cosima Dannoritzer ne ha tratto uno splendido documentario (Comprar, tirar, comprar, [url”disponibile su You Tube”]https://youtu.be/v3LMnJtrSvw[/url]). Ogni consumatore la teme. E’ la conseguenza più spregevole della logica economica della crescita fine a sé stessa. Si chiama obsolescenza programmata. E’ quell’insieme di accorgimenti tecnici messi in atto dai produttori per far durare le merci meno di quanto potrebbero. In pratica i progettisti inseriscono deliberatamente nei prodotti di largo consumo dei punti deboli destinati ad usurarsi o guastarsi entro un tempo massimo prestabilito e tali da non poter essere riparati o sostituiti.

Quante volte ci siamo sentiti dire: “Caro signore, le conviene comprarsi un prodotto nuovo (sia esso una lavatrice o la stampante del computer, un orologio o un l’ombrello, il rasoio e persino l’automobile), perché costa meno cambiarlo che aggiustarlo”. Per evitare il riciclo dei componenti dei computer perfettamente funzionanti, ad esempio, i costruttori li saldano in modo da impedirne lo smontaggio. L’artigianato di riparazione, che per definizione è labour intensive, è eliminato.

Accorciare il ciclo di vita di una merce è una strategia produttiva (che serve a mantenere artificiosamente alta la domanda) vecchia quanto il marketing. Sono noti i casi dei maggiori produttori di lampadine che si accordarono per mantenere basso il tempo di funzionamento medio delle lampadine, oppure della fibra in nailon della Dupont, praticamente indistruttibile, ritirata dal mercato.

Peccato che con l’obsolescenza programmata non buttiamo via solo oggetti, energia, risorse naturali, ma anche il tempo della nostra vita dedicato a produrre e a comprare merci-spazzatura. In una parola, rendiamo insignificante la nostra vita. Per essere precisi, la sacrifichiamo al fine della continuazione della produzione industriale di massa. Il consumatore, anche quello più attento e consapevole, spesso non ha gli strumenti informativi per difendersi e poter scegliere cosa comprare. Le normative europee sulla garanzia degli elettrodomestici e degli apparecchi elettronici non vanno oltre l’obbligo dei due anni. Nei fatti, una licenza a favore dell’obsolescenza.

Ma alcuni stati (la Svezia e la Gran Bretagna) hanno cominciato a pretendere dai produttori maggiori prestazioni. In altri (il Belgio e la Francia) ci si sta muovendo. Meritoria, quindi, l’iniziativa dei deputati Giulio Marcon e Luigi Lacquaniti (Sinistra ecologia libertà) che hanno depositato una proposta di legge “Disposizioni per il contrasto dell’obsolescenza programmata dei beni di consumo”. L’obiettivo è di fare emergere in etichetta anche la durata potenziale del prodotto, all’interno di un elenco di beni di consumo dove la obsolescenza sia calcolabile. Nonché la possibilità o meno di poterli riparare.

(25 dicembre 2015)

Paolo Cacciari (paolo.cacciari_49@libero.it) ha lavorato all’Unità ed è stato più di un semplice collaboratore del settimanale Carta. Consigliere comunale e assessore a Venezia, oggi collabora con la “Rete per la Decrescita” con cui è stato tra gli organizzatori della terza Conferenza internazionale sulla decrescita (2012). Tra le sue pubblicazioni Pensare la decrescita. Sostenibilità ed equità, Carta e Intra Moenia, 2006. Il comune non pensa solo all’immondizia, in: Cambieresti? La sfida di mille famiglie alla società dei consumi, i libri dell’Altreconomia, 2006. Decrescita o barbarie, Carta, 2008, ora disponibile gratuitamente su decrescita.it, e con altri La società dei beni comuni, Ediesse, 2011. Questo articolo è stato pubblicato anche su Left.

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