di Guido Salerno Aletta.
Si parla sempre e solo delle banche italiane, in difficoltà perché avrebbero ancora troppi crediti non performanti, e per il loro investimento massiccio in titoli di Stato italiani. Sarebbe un impiego pericoloso, secondo molti economisti tedeschi che chiedono che venga posto un limite prima di potere procedere con il completamento della Banking Union ed ai meccanismi di salvataggio bancario su base europea.
Ancora più assurdo è quello che accade con la valutazione dei titoli di Stato detenuti dalle banche per valutarne la solidità: viene dato peso all’andamento dello spread, facendo il gioco della speculazione. Basta mettere in giro pochi euro, scommettendo allo scoperto, per attivare meccanismi automatici che indeboliscono artificiosamente il valore delle nostre banche.
Mai, invece, una normativa sugli impeghi di “livello 3”, quelli per i quali non ci sono né prezzi di mercato per asseverarne il valore, né modelli di valutazione: sui contratti derivati, di cui le banche tedesche sono zeppe, c’è sempre un omertoso silenzio. Non se ne deve parlare, valgono quello che afferma la banca che li ha in bilancio. Un giudizio incontestabile, con risultati che ormai sono pericolosi per la stessa stabilità finanziaria dell’Europa.
Non solo a Bruxelles, ma anche a Francoforte dove ha sede la Vigilanza bancaria accentrata, si chiudono entrambi gli occhi. Tutti gli esercizi prudenziali si fanno sull’esercizio del credito, che rappresenta la attività fondamentale per le banche italiane, e mai sugli investimenti finanziari in derivati, che rappresentano invece il tallone di Achille per le banche tedesche.
Le perdite catastrofiche registrate in questi anni dalla più grande banca tedesca, Deutsche Bank, meritano appena una alzata di spalle: 7 miliardi di euro nel 2015, 1,4 miliardi nel 2016, 497 milioni nel 2017. Nel 2017, l’istituto tedesco ha visto perdite nel settore dei derivati pari a 124,1 miliardi di euro. I profitti negli impieghi tradizionali non riescono a coprire le esposizioni sui derivati.
Anche il 2018, per Deutsche Bank sarà un altro calvario, con perdite di 6,01 miliardi di euro già annunciate nel terzo trimestre dell’anno. La cura da cavallo per ridurre i costi prevede un taglio di 35 mila posti di lavoro in due anni, dei quali 9 mila a tempo indeterminato e 20 mila provenienti dalla vendita di alcuni specifici business.
Si guarda solo ai titoli di Stato italiani, mai ai contratti derivati.
Italia-Germania: anche per le banche, due pesi e due misure.