di Aldo Giannuli.
Caro Beppe Grillo,
le sue posizioni sulla questione dello
ius loci, in base al quale riconoscere la cittadinanza ai figli degli
immigrati, stanno suscitando reazioni molto vivaci a sinistra e non
manca chi la accusa di fascismo o, quantomeno, di convergenza con
Larussa, Storace, la Lega. Vorrei tentare una strada diversa, per
discutere nel merito della cosa, abbassando i toni. Partiamo da un dato
di fatto: gli immigrati ci sono, sono quasi 4 milioni e mezzo più i
circa 600.000 clandestini che sono un problema a parte. Per ora parliamo
di quelli regolarizzati in qualche modo: di essi fanno parte circa
250.000 (i dati variano) minori nati in Italia, dunque immigrati di
seconda generazione. E’ facile prevedere che, entro una quindicina di
anni, il problema riguarderà poco meno di un milione di persone (circa
800.000 secondo stime prudenziali). Che ne facciamo?
Lasciamo da parte questioni di ordine
morale –a me care, ma che non posso pretendere condivise da altri- e
parliamo degli aspetti “praticiâ€, “politici†della questione.
Se non introduciamo lo ius loci, al compimento del 18° anno di queste persone, possiamo fare tre cose:
a- se non hanno i requisiti previsti
dalla legge per essere regolarizzati, li espelliamo dal paese e li
rimandiamo nel paese di provenienza dei genitori.
b- li regolarizziamo, magari semplificando e riducendo i requisiti, ma senza riconoscere la cittadinanza italiana,
c- gli riconosciamo, più tardi, la cittadinanza applicando più o meno l’attuale normativa.
La terza soluzione sembra subito la meno
logica: se dobbiamo dargli la cittadinanza, perché procedere in modo
così inutilmente complicato? Tanto vale, dargliela subito alla nascita.
La soluzione più coerente della
negazione dello ius soli è quella di trovare il modo di sbatterli fuori
appena possibile. Però occorre tener presente che, in primo luogo,
questo rappresenta una perdita economica secca: avremmo centinaia di
migliaia di persone che abbiamo mandato a scuola, assistito con il
nostro sistema sanitario ecc e, quando queste possono iniziare a
lavorare e, in qualche modo, far fruttare l’investimento fatto su di
loro, noi li sbattiamo fuori. Non mi sembra un’ idea molto intelligente.
Ed ancor meno intelligente mi sembra
quando si tenga conto che, per i diversi tassi di fertilità degli
italiani “stanziali†e degli immigrati, questo significherebbe
indebolire le fasce giovanili ed accentuare l’invecchiamento della
società italiana. Peraltro, la cosa avrebbe senso se,
contemporaneamente, noi bloccassimo del tutto l’immigrazione (ammesso
che si riesca a farlo), chiudendo le frontiere alle nuove possibili
ondate di immigrati. Infatti, che senso avrebbe espellere dal paese
degli immigrati di seconda generazione, già ampiamente socializzati alla
lingua ed alla cultura del nostro paese, per accettare nuovi immigrati
di prima generazione totalmente estranei ad essa, per ricominciare a
cercare di istruirli?
Ma poi, siamo sicuri che i paesi di
provenienza sarebbero disposti a riprendersi persone che sono loro
cittadini solo sulla carta, che probabilmente non parlano più neppure la
lingua del posto e che, per paradosso, sarebbero immigrati nel loro
paese di provenienza.
Ma, la cosa più probabile sarebbe quella
di una esplosione della clandestinità : teniamo presente che queste
persone non devono entrare in Italia perché già ci stanno. La reazione
più probabile sarebbe quella di restare come clandestini, precari che
vivono nell’illegalità . Così, in breve le schiere dei clandestini
crescerebbero al ritmo di 50-60.000 all’anno, senza contare quelli che
continuerebbero a venire da fuori. Il che prospetterebbe un magnifico
affare per la mala vita che troverebbe manovalanza a volontà ed a prezzi
stracciati. E’ quello che vogliamo?
Alla fine, la soluzione finirebbe per
essere la classica soluzione all’italiana: un po’ di sanatorie sui
permessi di soggiorno. Insomma, regolarizzarli senza cittadinanza
(tornando indietro anche rispetto alle limitate aperture attuali) che
vorrebbe dire solo istituire una cittadinanza di serie B: ci sono
persone nate in Italia, che hanno frequentato scuole italiane e parlano
italiano, che lavorano e pagano le tasse, ma che non possiedono i
diritti riconosciuti ai cittadini di serie A (essenzialmente i diritti
politici). In poche parole, i moderni metechi. Ma, storicamente, la
metecìa fu un elemento di debolezza delle città greche che contribuì
alla loro decadenza. In ogni caso, quanto sarebbe sostenibile una
soluzione del genere? E’ pensabile che possano esserci persone che, a
vita, non godano dei diritti pieni di cittadinanza se non di quella di
un paese nel quale non vivono e che forse neppure conoscono?
Ovviamente, un trattamento
discriminatorio del genere, non favorirebbe affatto l’integrazione di
queste persone, ma, al contrario, consoliderebbe un nucleo estraneo e
–inevitabilmente- ostile al resto del paese. Non faremmo altro che
introdurre una linea di frattura che non sarebbe neppure di classe ma di
casta. Infatti, renderemmo l’appartenenza a questa nuova metecìa un
vincolo ascrittivo e non modificabile, con conseguenze devastanti sul
piano di uno scontro sociale sempre meno mediabile e sempre meno
governabile. Ed i figli di questi immigrati di seconda generazione
sarebbero anche loro cittadini stranieri? A quale generazione
diventerebbe automatica l’acquisizione della cittadinanza? E’ una
soluzione auspicabile? E per cosa?
L’obiezione più “consistenteâ€allo ius
soli è quella del pericolo per l’identità culturale nazionale: anche Lei
ha parlato della legge come di qualcosa che “cambia la geografia†(la
geografia umana ovviamente). Ma è proprio così? In primo luogo teniamo
presente i numeri: 4 milioni e mezzo di persone sono meno del 10% della
popolazione nazionale e, se è vero che giungeranno altre ondate di
migranti, è anche vero che il fenomeno (già in parte fermato dalla
crisi) è destinato a calare nei prossimi anni e decenni sia per il
modificarsi delle tendenze demografiche nei paesi del sud del mondo, sia
per la modificazione della struttura economica mondiale, sia, infine,
per il saturarsi delle capacità di accoglienza dei paesi europei e del
Nord America.
Considerando anche i flussi di ritorno, è
plausibile che il fenomeno non crescerà oltre certi limiti molto, molto
lontani dalla maggioranza della popolazione.
In secondo luogo, qui stiamo parlando
degli immigrati in astratto come se rappresentassero una nazionalitÃ
compatta ed agguerrita. Ma la realtà dice che l’immigrazione è
frammentata in moltissimi rivoli culturalmente molto distanti fra loro:
cinesi, arabi, senegalesi, etiopici, eritrei, ghanesi, arabi, indiani,
indonesiani, filippini, brasiliani, peruviani ecc. cc. Mi vuol spiegare
come questo variegatissimo mélange etnico dovrebbe minacciare la nostra
cultura nazionale?
Anche perché, ovviamente, gli immigrati
sono prevalentemente persone di estrazione sociale bassa e spesso con
una cultura solo di base (diverso è il caso degli studenti stranieri
che, però, poi prevalentemente tornano nei loro paesi). Mentre tutte le
leve del sistema culturale del nostro paese (università , giornali e tv,
teatri, cinema ecc) sono saldamente in mano ad italiani. E, come se non
bastasse, la nostra (come quelle di tutti i paesi di mare e tutti quelli
che hanno avuto forti flussi migratori) è una cultura che ha sempre
vissuto delle più diverse influenze che ha poi contaminato: nella nostra
letteratura, musica, pittura e persino cucina si distinguono
chiaramente i debiti verso arabi, tedeschi, francesi, slavi, greci,
spagnoli, ebrei, portoghesi ed, in epoca più recente, americani.
E infine: i figli degli immigrati che
sono qui, studiano e studieranno in scuole italiane, parlano italiano,
vedono la televisione italiana, ecc.
Non avendo l’auto, prendo spesso tram e
metro dove mi capita spesso di vedere gruppi di teenagers misti di
italiani e figli di immigrati e constato come, nel modo di vestire, di
usare il telefonino o di parlare sono del tutto indistinguibili gli uni
dagli altri. Più di una volta ho sentito ragazzi nero caffè che
parlavano con spiccato accento milanese. E questi sarebbero quelli che
potrebbero farci rischiare di perdere la nostra identità culturale?
Siamo seri…
Ed allora, possiamo capire per quale
motivo dovremmo opporci a quella che è una semplice misura di buon
senso, per integrare queste persone che, ci piaccia o no, ormai sono
italiani come noi.
Ma poi, se la sente si sommare i voti
dei suoi parlamentari (sempre che la seguano) con quelli della Lega e di
Berlusconi? Per di più, accollandosi la responsabilità di legittimare
le loro posizioni, consentendogli di dire: “Non siamo xenofobi. Anche
Grillo…â€. Le conviene?
Non pretendo di convincerLa, e né che
risponda a questa lettera (sempre che abbia modo di leggerla), ma mi
farebbe piacere che, prima di partire in quarta, si fermasse un attimo a
pensarci su.
Ma soprattutto, mi farebbe piacere che
consultasse i suoi sostenitori: non credo che la maggioranza condivida
le sue posizioni e temo, anzi, che questo possa seriamente incrinare il
successo elettorale del M5s.
Ci pensi…
Cordialmente
Aldo Giannuli
Fonte: http://www.aldogiannuli.it/2013/05/lo-ius-loci-lettera-aperta-a-beppe-grillo/#more-2847.