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di Giorgio Bongiovanni.
Il pm di punta del processo sulla trattativa Stato-mafia rischia seriamente di essere assassinato con tutta la sua scorta.
Come
è noto il pm Nino Di Matteo continua ad essere uno dei soggetti più
esposti tra i magistrati che si occupano del processo sulla trattativa
Stato-mafia (iniziato proprio questa mattina). Una nuova lettera anonima
è stata recapitata al sostituto procuratore palermitano. La notizia,
rilanciata dal quotidiano Repubblica, riporta preoccupanti avvertimenti
sulle pericolose condizioni di Di Matteo in termini di sicurezza.
La
redazione di Antimafia Duemila ha seguito con seria preoccupazione le
vicende che hanno visto coinvolto il magistrato Antonino Di Matteo,
precedentemente minacciato in altre due lettere anonime da un
personaggio presumibilmente appartenente ad ambienti istituzionali
“deviati†legati a Cosa nostra. A seguito di questi episodi gli
inquirenti hanno sufficientemente provato che non si trattava delle
lettere di un pazzo, ma di una grave e seria minaccia ai danni di uno
dei magistrati di punta del nostro Paese. Nelle missive, recapitate allo
stesso Di Matteo e alla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo,
vengono infatti citati gli spostamenti quotidiani del giudice e i punti
deboli della sua protezione.
La prefettura aveva immediatamente
tenuto una riunione con il comitato provinciale per la sicurezza
pubblica per aumentare la sua protezione, annunciando che la scorta di
Nino Di Matteo sarebbe stata debitamente potenziata.
Ma la verità è
che è stata potenziata solo apparentemente. Di Matteo non è davvero
protetto dallo Stato, lui e i suoi agenti possono essere uccisi in
qualsiasi momento.
La sua protezione, infatti, non è mai passata dall”attuale livello 2
al livello 1, il massimo sistema di protezione esistente. Le forze
impiegate per tutelare il pubblico ministero palermitano comprendevano
l”assegnazione di due macchine blindate con cinque uomini armati, e una
macchina che si occupi della bonifica lungo il tragitto percorso per
scongiurare la presenza di eventuali ordigni. Il potenziamento è solo
apparente, in quanto ci si è limitati ad aggiungere altri due uomini
armati e una macchina non blindata, che quindi può essere facilmente
annientata da un eventuale attentato anche con pistole e mitragliatrici.
Non
solo. Sotto la casa della madre di Di Matteo viene eseguita la bonifica
dinamica, ma non c’è alcuna telecamera che vigili la zona, né tanto
meno è presente una zona di rimozione (così come non c”era in via
D”Amelio, dove abitava la madre di Paolo Borsellino). La protezione
garantita dallo Stato è quantomeno carente, dato che i tombini, anche
quando controllati dalla bonifica come quelli intorno all”abitazione del
pm, sono piombati in modo del tutto insufficiente, dopo che vengono
controllati chiunque può avvicinarsi, manometterli e infilarci un
ordigno. Noi stessi siamo andati a controllare quei tombini, aspettando
poi che passasse il pm Di Matteo. E se al nostro posto ci fosse stato un
commando mafioso che una volta aperto il tombino ci avesse infilato una
bomba?! La macchina del dottore Di Matteo sarebbe saltata in aria e
un”ennesima strage avrebbe scosso le fondamenta già precarie del nostro
Paese. Ecco perché servono obbligatoriamente telecamere piazzate nei
punti sensibili frequentati dal magistrato.
Ma c”è un”altra
gravissima mancanza da parte dello Stato, ed è il fatto che la scorta
del pm del processo sulla trattativa Stato-mafia, come sicuramente
quella di altri magistrati, è priva del dispositivo jammer. I “bomb
jammersâ€, solitamente utilizzati da corpi militari e forze armate, sono
degli abbattitori di segnale che neutralizzano i dispositivi
radio-controllati (come per intenderci quelli che fecero saltare in aria
Capaci e via D”Amelio) e quindi ottime soluzioni per prevenire un
attentato terroristico. È probabile che lo stesso Falcone ne fosse a
conoscenza, dato che si teneva sempre aggiornato sulle ultime novitÃ
della tecnologia. Sembrerebbe anche che ne avesse fatto espressamente
richiesta, all”indomani dell”attentato all”Addaura, per scongiurare
l”ennesima bomba che avrebbe sventrato le strade di Palermo dopo la
strage Chinnici nel 1983. La storia ci insegna che il jammer non venne
mai preso in considerazione, ieri per Falcone e Borsellino, oggi per Di
Matteo e per tutti quei magistrati ritenuti dal potere mafioso una
pericolosa e seria minaccia.
Perchè, dunque, lo Stato non vuole
spendere quei 150-200 mila euro (tali sono le spese per l”utilizzo del
bomb jammer) per proteggere questo magistrato? Perchè ci sono delle
pericolose falle nella scorta di Nino Di Matteo, su cui bisognerebbe
indagare subito e a fondo? Noi auspichiamo che questo non sia il segnale
di un”ennesima trattativa tra la mafia e quella parte di Stato disposta
a sacrificare i suoi uomini migliori, come già ha fatto partecipando al
massacro che culminò con la morte di Falcone e Borsellino. Confidiamo
piuttosto che si tratti della negligenza di personaggi poco
professionali ai vertici degli uffici preposti alla tutela dei
magistrati, ai quali ci rivolgiamo affinchè vengano colmate queste
terribili lacune. Sarebbe loro la responsabilità qualora dovesse
succedere qualcosa al magistrato titolare di processi contro la mafia ed
esponenti dello Stato collusi con essa.
La scorta di Antonino Di
Matteo, attualmente del tutto insufficiente rispetto al reale pericolo,
ha bisogno di fucili mitragliatori più potenti, di fucili a pompa che
non hanno, di un”altra macchina blindata. Avrebbe bisogno di una
vigilanza costante nei punti più sensibili, e di telecamere che ne
monitorino i movimenti ventiquattro ore al giorno per scongiurare il
pericolo di quegli attentati dinamitardi di cui dicevamo prima. Avrebbe
inoltre bisogno di un elicottero e, ovviamente, di un dispositivo
jammer.
Questa sì, sarebbe una risposta seria da parte dello Stato,
che non ingannerebbe più i cittadini con il potenziamento di una scorta
che, in sostanza, è solo una copertura dietro alla quale si nasconde una
debolezza e una mancanza di presa di posizione che rischia di mettere
in serio pericolo uno dei magistrati in questo momento più esposti.
Foto © ANSA
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