di Marco Travaglio
Il professor Giovanni Fiandaca (foto),
giurista “de sinistraâ€, ha ottenuto un’improvvisa notorietà con un
presunto “saggio†contro il processo sulla trattativa Stato-mafia,
rilanciato dal Foglio, dai Macalusi e da altri difensori – professionali
e d’ufficio – degli imputati di Stato. La sera prima della decisione
della Corte d’assise sulla competenza del processo – come avveniva nella
Palermo metà anni 80 con aulici simposii contro il maxiprocesso di
Falcone e Borsellino l’allegra brigata s’è ritrovata a palazzo Steri per
un rito propiziatorio che impetrava il trasloco verso le nebbie e le
sabbie romane. Purtroppo invano: l’indomani i giudici hanno spazzato via
tutte le eccezioni delle difese e delle teste d’uovo retrostanti. Così
come il gup Morosini aveva già sbugiardato le loro tesi giuridiche,
rinviando a giudizio tutti gli imputati. Ma il Fiandaca, sia pur un po’
provato, insiste. E, sempre sul Foglio di Berlusconi & Ferrara, mi
riempie di insulti, sostenendo che avrei criticato il suo “saggio†senza
leggerlo, e comunque se l’avessi letto non l’avrei capito, perché sono
“ignoranteâ€, “prevenutoâ€, “superficialeâ€, “giustizialistaâ€, financo
“perniciosoâ€.
Purtroppo il suo cosiddetto “saggio†l’ho letto e temo persino di
averlo capito. Lui mi accusa di “non argomentare†e di rivolgergli
“attacchi ad hominem†perché lo considero “un azzeccagarbugli
filomafiosoâ€. Si rassicuri: io lo considero semplicemente un orecchiante
molto sopravvalutato e disinformato. Infatti, nella sua pallosissima
dissertazione, non cita mai un solo atto d’indagine, e nemmeno
l’ordinanza di rinvio a giudizio del Gup: ma solo la memoria riassuntiva
dei pm (una ventina di pagine, poca fatica), esponendo così la sua
luminosa scienza giuridica a una serie impressionante di sfondoni,
figuracce e balle a volontà . Vuole che argomenti? Argomento.
Presunto sarà lei.
Fiandaca parla di â€cosiddetta trattativa†e “presunta trattativaâ€.
Cominciamo bene. La trattativa Stato-mafia è giudiziariamente
indiscutibile in quanto confermata da sentenze definitive della
Cassazione sulle stragi del 1992-‘93, oltreché dai diretti protagonisti e
testimoni, non solo mafiosi: Mori e De Donno parlano a verbale di
“trattativa†con i capi di Cosa Nostra tramite Vito Ciancimino, e non di
una semplice “presa di contattoâ€, come fa loro dire Fiandaca. Che deve
farsene una ragione: se vuol parlare di trattativa, si legga almeno le
sentenze. Ma per lui tutto è presunto. Infatti, riassumendo le tesi
dell’accusa, scrive: “Cosa Nostra avrebbe reagito (alla sentenza del
maxiprocesso, ndr) ideando e in parte realizzando un programma
stragistaâ€. Avrebbe? Dunque anche le stragi sono cosiddette e presunte?
Il gioco delle tre carte. L’assenza di reati nella trattativa sarebbe
“confermata dal fatto che altri uffici giudiziari, in particolare
Firenze e Caltanissetta… non hanno ravvisato ipotesi di reatoâ€. A
parte il fatto che, se due procure non trovano reati e una terza sì, non
si vede perché debbano avere ragione le prime due e non la terza, a
Fiandaca sfugge che Firenze e Caltanissetta sono competenti sulle stragi
e Palermo sulla trattativa: normale che Palermo contesti reati sulla
trattativa e le altre procure no.
Trattativa insindacabile.
“Ai pm – scrive il Fiandaca – sfugge… la divisione dei poteri: la
tutela della sicurezza collettiva… spetta al potere esecutivo e
l’eventuale scelta politica di fare qualche concessione ai poteri
criminali non è sindacabile giudiziariamenteâ€. Se avesse letto almeno il
capo d’imputazione, saprebbe che qui il reato non è che la mafia tratti
con lo Stato e viceversa: il delitto contestato (art. 338 Cp, “violenza
o minaccia a corpo politicoâ€) è che la mafia, col delitto Lima e le
stragi, ricatta i governi in combutta con alcuni servitori dello Stato
veri o presunti, per estorcere scelte politiche e normative che mai quei
governi avrebbero adottato senza essere sotto scacco.
Infatti l’ex
ministro Conso che non rinnovò il 41-bis a 334 mafiosi non è imputato
per quello (anzi è anche lui vittima della minaccia): ma per aver
mentito ai giudici sui retroscena di quella decisione. Quindi non sono
in discussione le scelte politiche, ma il ricatto di chi le determinò.
Che il ricatto sia reato, è da dimostrare: per questo si fa il processo.
Noi non abbiamo mai scritto che il reato sia provato, ma che spetta ai
giudici decidere se i fatti, ormai straprovati, siano reato, e se il
reato sia quello contestato, e se i colpevoli siano gli attuali
imputati. È Fiandaca che sostiene, sostituendosi ai giudici, che il
reato non c’è. Il “giustizialista†è lui, non noi.
Trattativa a fin di bene.
Dopo aver messo in forse la trattativa con condizionali e aggettivi
dubitativi, Fiandaca la dà per certa, ma con finalità buone, anzi
“salvificheâ€: “L’obiettivo di far cessare le stragi mai potrebbe essere
giuridicamente qualificato come illecito; al contrario esso può apparire
doverosoâ€, una “scelta politica penalmente non censurabileâ€. Intanto,
come ben sa chiunque abbia letto qualche atto dell’inchiesta, la
trattativa – secondo l’impostazione accusatoria già vagliata dal Gup –
non partì “per arginare il rischio stragista†o “per far cessare le
stragiâ€, semplicemente perché partì quando non c’era stata ancora alcuna
strage: e cioè dopo il delitto Lima e prima di Capaci. Lo scopo era
salvare la pelle ai politici i cui nomi erano in una lista di morituri
dopo Lima: Mannino, Andreotti (o parenti), Vizzini, Andò, Martelli. I
quali puntualmente si salvarono grazie a un cambio di programma di Cosa
Nostra, che dopo Capaci abbandonò le vendette sui politici (servivano
vivi per recepire il “papelloâ€) e virò su Borsellino, che si opponeva
alla trattativa. Dunque, come si legge nella sentenza definitiva di
Firenze sulle stragi del ’93, la trattativa non solo non fermò, ma
moltiplicò e rafforzò lo stragismo. Distogliendolo dai politici e
indirizzandolo su Borsellino (a proposito: chi è il “servitore dello
Stato†che avvertì i boss che il giudice ostacolava la trattativa? E chi
spiega ai parenti delle vittime di Firenze e Milano che i loro cari
dovevano morire ammazzati perché lo Stato perseguiva il “doveroso†e
“salvifico†obiettivo di fermare le stragi incentivandole?). In ogni
caso, che ogni scelta politica sia di per sé insindacabile per chi la fa
e chi la chiede è una fesseria: se io pago un politico in cambio di una
legge, è corruzione; se minaccio un politico per avere una legge, è
estorsione; se minaccio un governo a suon di bombe per ottenere “scelte
politiche†elencate in un papello che poi guardacaso diventa legge, è
minaccia a corpo politico; se mento al giudice, è falsa testimonianza.
Trattativa all’insaputa.
Nella sua rocciosa incoerenza, Fiandaca ipotizza che i “servitori dello
Stato†che trattarono con la mafia (ma la trattativa non era presunta?)
non siano punibili perché manca “l’elemento soggettivoâ€, “il doloâ€,
l’“autentica coscienza e volontà di concorrere coi mafiosi nelle
violenze e minacce ai danni del governoâ€. Cioè, politici navigati e
ottimi conoscitori della mafia e ufficiali specializzati nella lotta
alla mafia trattarono con la mafia, poi si prodigarono per ammorbidire
il 41-bis come da papello , ma a loro insaputa. Un caso Scajola ante
litteram, e al cubo. Fiandaca, restando serio, domanda perché i pm non
abbiano contestato i reati di concorso esterno in associazione mafiosa o
addirittura concorso in strage. La risposta è banale: perché le stragi
furono decise da uomini di mafia e non di Stato, o almeno non c’è prova
del contrario. Complimenti comunque al grande giurista per il trucchetto
di negare il reato già vagliato dal gup ipotizzandone di più gravi e
iperbolici. Il solito gioco delle tre tavolette.
Movente e contropartita.
Per Fiandaca, al Grande Ricatto mancano il movente e la contropartita.
Ma il movente, pienamente realizzato, era salvare la pelle ai politici
candidati a finire come Lima. Quanto alla contropartita, è inutile (?)
ricordare al giurista di chiara fama che l’estorsione e la minaccia sono
reati anche se non sortiscono effetti. Qui comunque gli effetti ci sono
eccome, anche se Fiandaca scrive che “la montagna ha partorito il
topolino†perché i pm sono riusciti a provare “solo†la “revoca di
alcuni 41-bisâ€. Alcuni? Il 26 giugno ‘93 il nuovo capo del Dap Adalberto
Capriotti (che ha preso il posto di Niccolò Amato, inviso ai boss e
subito licenziato) invita Conso a revocare centinaia di 41-bis come
“segnale di distensione†alla mafia. Conso, cinque mesi dopo, obbedisce
ribaltando le indicazioni della Procura di Palermo e regalando il
carcere molle a 334 detenuti: capi-mandamento come Antonino Geraci sr.,
Vito Vitale e Giuseppe Farinella, pezzi da 90 come Spadaro, Di Carlo
jr., Prestifilippo sr., i fratelli Ferrara e Calafato, Giuliano, Miano,
Di Trapani, Grassonelli, Spina, Fidanzati jr. Quasi tutti i maggiori
mafiosi allora detenuti, a parte l’appena arrestato Riina che, se fosse
uscito pure lui dal 41-bis, avrebbe suscitato un pandemonio. E questo
sarebbe il topolino? In ogni caso, per i pm, era già partita una seconda
trattativa con la nascente Forza Italia sul resto del papello, con
garanzie così solide da indurre Cosa Nostra a interrompere di botto le
stragi e ad annullare quella già decisa allo stadio Olimpico. Ma tutto
questo Fiandaca non lo sa. O non lo dice.
Il can per l’aia.
Anziché approfondire fatti e documenti contenuti nei 120 faldoni
dell’inchiesta (col rischio di disturbare le sue opinioni fondate sul
nulla), il Fiandaca dedica la seconda parte del “saggio†a stigmatizzare
la raccolta di firme del Fatto per i pm attaccati e trascinati al Csm,
le esternazioni di Ingroia, le sue scelte politiche, le intercettazioni
indirette di Napolitano sul telefono con Mancino (ma sì, dà i, un posto
alla Consulta non si nega a nessuno), e persino a commentare
l’insuccesso elettorale dell’ex pm, come se tutto questo c’entrasse
qualcosa col processo. Il finale è strepitoso: processare politici
sospettati di delinquere significa “processare la politicaâ€, con la
“tendenza populistico-giustizialista†già emersa con Mani Pulite di
innescare “quel conflitto fra politica e giustizia che nell’ultimo
ventennio ha disturbato il funzionamento della democraziaâ€. Ma certo, se
i politici rubano o trescano con la mafia, non vanno processati per non
“disturbare†la democrazia. Berlusconi non avrebbe detto meglio.
Ps.
Casomai Fiandaca volesse confrontarsi in pubblico, a Palermo o in tv o
dove vuole lui, io sono pronto. Troverà pane per la sua dentiera.
Fonte: Il Fatto Quotidiano.
Tratto da: http://www.antimafiaduemila.com/2013070743888/marco-travaglio/un-eroe-dei-nostri-tempi.html.
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