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Vanessa e Greta: le strane frequentazioni del giornalista Raineri

'Dietro il sequestro di Vanessa Marzullo e Greta Ramelli molti punti oscuri da chiarire. Una zona in cui i massacri sono opera degli uomini con rapporti ambigui con l''Italia'

Vanessa e Greta: le strane frequentazioni del giornalista Raineri
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19 Gennaio 2015 - 14.35


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di Francesco Gori

Con la liberazione di Vanessa
Marzullo e Greta Ramelli, le due attiviste rapite in Siria e rilasciate
qualche giorno fa dopo oltre cinque mesi di prigionia, si è rifatto vivo
anche Daniele Raineri, giornalista de Il Foglio, che ha accompagnato le
ragazze, attraverso il pericolassimo confine turco, nel viaggio che
sarebbe servito a consegnare i kit di primo soccorso ai combattenti dell’Esercito Libero Siriano. 

 La zona, come è noto, è quella vicino alla città di Aleppo, dove la
presenza di gruppi jihadisti, e in particolare del fronte al Nusra, è
particolarmente significativa. Daniele Raineri, che ha importanti
rapporti con i gruppi armati dell’opposizione, molti dei quali sono
considerati dagli esperti internazionali delle organizzazioni
terroristiche, ha raccontato i giorni del rapimento in un articolo
pubblicato sul giornale diretto da Giuliano Ferrara. 

Ovviamente la sua è
una versione completamente ripulita da tutte le circostanze che possono
mettere in cattiva luce le due ragazze.


Nel suo resoconto non c’è alcuna traccia delle reale intenzioni di
Marzullo e Ramelli, descritte come due volontarie che volevano portare
assistenza alla popolazione civile. Le intercettazioni del Ros dei Carabinieri,
così come riportate da Il Fatto Quotidiano, mostrano un’altra realtà:
nessun tipo di cooperazione e volontariato, il desiderio delle due
ragazze era prima di tutto quello di aiutare i combattenti, molti dei
quali sono pericolosi fondamentalisti che hanno compiuto nell’area
intorno ad Aleppo atroci crimini. Quello che le due ragazze non dicono,
dopo tutto ciò è che afferma Raineri nei suoi articoli, è che in quell’area non è il “regime” a commettere i massacri ma proprio gli uomini con i quali loro, a vario titolo, hanno intrattenuto rapporti pericolosi. Gli stessi uomini che le hanno rapite e che, presumibilmente, hanno intascato un riscatto di molti milioni di euro.


Raineri sostiene che a ordinare il rapimento sarebbe stato Abdallah
al Amni, comandante di al Nusra, ramo siriano di al-Qa”ida. Il racconto
di Raineri è pieno di punti interrogativi: non è vero che al momento del
rapimento si trovava con le due ragazze, nella casa del capo dei
ribelli della zona, ma a 25 chilometri di distanza, in compagnia di un
yemenita che afferma di essere il cugino di Anwar al Awlaki. Un yemenita
in Siria di questi tempi non può che svolgere azioni che poco hanno a
che fare con azioni umanitarie. È inquietante che un giornalista
italiano, che entra ed esce da quel paese con l’aiuto di brigate armate
in guerra, anche di matrice jihadista, si accompagni con un uomo che
oggi viene considerato, come ricorda giustamente Il Fatto Quotidiano,
l’ispiratore della tragedia di Charlie Hebdo in Francia.


Secondo il racconto del giornalista, le ragazze sarebbero anche
riuscite a scappare e avrebbero chiesto aiuto ad alcuni siriani. Riprese
da due gruppi ribelli, sarebbero state di nuovo consegnate nelle mani
di Jabhat al Nusra. Raineri è già stato sentito dagli inquirenti come
persona informata sui fatti.


Verrà risentito ancora una volta perché sono molti gli interrogativi
legati alla sua presenza in Siria nei giorni del sequestro delle due
ragazze. Certamente Raineri è in possesso di una serie di informazioni
riservate (è un ottimo conoscitore dell’arabo a ha forti legami in
quella parte della Siria) che possono gettare nuova luce sul sequestro.
Bisogna vedere se la sua ricostruzione dei fatti coincide con quella
fornita dalle due ragazze all’indomani del rilascio. Qualcuno ha
tradito. E gli attori di questa vicenda, in cui si muovono strani
personaggi come il fabbro Roberto Andervill, hanno evidentemente ancora
molte cose da dire.

IL RACCONTO DI DANIELE RAINERI SU IL FOGLIO


Ma chi è la bionda e chi è la mora? La mora è Greta o è Vanessa?”.
Aeroporto militare di Ciampino, sono le quattro del mattino di venerdì
16 gennaio. Atterra l’aereo del governo che riporta Greta e Vanessa in
Italia dopo cinque mesi e mezzo di sequestro, nell’angolo riservato alla
stampa c’è una barriera di schiene, di flash, di telecamere, e oltre
c’è la pista con la delegazione della Farnesina ferma davanti alla
scaletta. Io so chi è la bionda e so chi è la mora, ma resto in
silenzio, basta vederle scendere.


L’uomo che ha ordinato la prigionia di Greta e Vanessa in Siria si
chiama “Abdallah al Amni” ed è un comandante della Jabhat al Nusra, il
fronte siriano di al Qaida. La seconda metà del suo nome di guerra, “Al
Amni”, indica che ha un incarico particolare, si occupa della sicurezza
interna: in pratica è come se fosse il direttore dell’intelligence di
quel gruppo armato, nell’area della città di Aleppo. “Secret jobs,
assassinations”, è una descrizione che viene data di lui da un contatto
in Siria. Questo crea ancora più ostacoli se si ha bisogno di
approcciarlo. La Jabhat è una fazione che ha una struttura segreta, ma
Al Amni si muove a un livello ancora più profondo di segretezza e non
risponde alla normale catena gerarchica cui sono sottoposti gli altri.


La gente del posto che vuole molto bene a Greta e Vanessa e vuole
rivederle libere (sì, esiste) prova a passare attraverso altri
comandanti dello stesso gruppo per raggiungere il capo dei
sequestratori, ma i tentativi vanno a vuoto perché è un “Amni”. Un
giorno si riesce a ottenere l’aiuto di un altro leader della Jabhat al
Nusra, è il comandante militare nella zona di Idlib, a ovest di Aleppo.
Lui si offre di provare a liberare le due italiane, anzi ostenta
sicurezza, “ve le libero anche domani”, ma due giorni dopo, quando
riesce ad andare ad Aleppo e si trova faccia a faccia con il carceriere,
quello non ammette nemmeno di averle, le italiane: “Noi non facciamo
queste cose, non entriamo nelle case di notte come volpi a rapire
donne”. E aggiunge: “Se non trovi qualcuno disposto a giurare sul Corano
che le ho davvero io, allora non venire più qui”.


Questi sono dettagli presi dalle conversazioni con alcuni contatti in
Siria tra agosto e gennaio, perché le ricerche e i tentativi non si
sono mai interrotti (e sono piccoli rispetto a quelli intrapresi dalla
squadra di specialisti italiani, che sono arrivati alla stessa
conclusione: Abdallah al Amni). Sono frammenti di informazioni che
arrivano e vanno messi assieme giorno per giorno, e poi verificati, e
confrontati mettendo assieme fonti diverse. A un certo punto, poche
settimane dopo il rapimento, circola la notizia che un siriano che vive
in Turchia appena oltre il confine sta provando a vendere un video delle
due rapite. Si capisce che non fa parte del gruppo di sequestratori, si
tratta piuttosto di una sua iniziativa personale per lucrare qualcosa
nel sottobosco di intermediari, contrabbandieri, guerriglieri e profughi
che vive a ridosso della Siria. Base d’asta per il video quattromila
euro (se davvero ne aveva uno), l’offerta però attira troppa attenzione
su di lui e la lascia cadere.


Poco oltre la metà di ottobre i contatti entrano in fibrillazione.
“Libere domani”, dicono. “Libere entro tre giorni”. “Libere, al massimo
entro una settimana”. Queste notizie certissime e che poi invece
sfioriscono nel giro di ventiquattr’ore sono una prova di pazienza per
chi sta in Italia, figurarsi per chi è prigioniero in Siria. Raccontano
che Greta e Vanessa sono riuscite a scappare dal loro carcere, che hanno
chiesto aiuto ai siriani che hanno incontrato all’esterno, che sul
posto sono arrivati almeno due gruppi ribelli. Però poi è arrivata anche
la Jabhat al Nusra. Ha chiesto le due rapite indietro e le ha riavute.
Tutte le voci sulla liberazione imminente erano dovute alla convinzione
che i due gruppi avrebbero infine imposto al fronte siriano di al Qaida
di lasciarle libere. Non succede. Arrivano anzi due versioni: una è che i
gruppi non vogliono sfidare apertamente il Fronte, l’altra è che i
gruppi hanno trovato un accordo su una richiesta di denaro. Si cerca una
conferma a queste versioni, non c’è.


Altre volte va pure peggio e dicono cose come: se non succede nulla
entro una settimana, allora tocca passare all’azione militare,
attacchiamo il posto dove le tengono e le liberiamo. Cominciano
discussioni, che durano fino a quando non arriva il frammento di
informazione successivo.


***


Di cosa parlano Greta e Vanessa? Sui giornali sono rimaste
immortalate in quella foto della manifestazione a favore della
rivoluzione siriana con le guance impiastricciate di colori, oppure in
quella in cui s’abbracciano sorridendo. Non puoi controllare le immagini
di te su internet nel momento in cui ti rapiscono, resti in quella
posa, anche se non è fedele al vero. Chiunque abbia ascoltato una loro
conversazione può confermare questo: parlano di logistica e di soldi, di
soldi e logistica, tra loro oppure con altri, al telefonino, su Viber,
WhatsApp, Messenger e altri mezzi di comunicazione. Perché il denaro è
al centro di ogni possibile iniziativa di assistenza, è quello che fa
funzionare gli aiuti in un paese straniero, anche con microdonazioni da
dieci euro.


“Quanto costa far passare il latte in polvere dalla Turchia?

Quanto possiamo fare con una cena di autofinanziamento lì vicino a Milano?

A quanto vendere queste foto che ci hanno spedito dalla Siria?

Quanto ricaviamo?

Quanto ci vuole per aggiustare un pozzo di acqua potabile?

C’è il siriano Tizio, in stazione centrale, che aspetta aiuto.

Quanto medicinale X possiamo portare?

C’è il siriano Caio, che vorrebbe andare in Svezia come rifugiato politico e non sa come fare.

Conviene comprare il medicinale X in Turchia?

Chi ha una lista dei medicinali che servono di più in quella zona?

E invece in quell’altra?”.

Una volta ho sentito Vanessa dire: “Io non so di cosa parlare con molti ragazzi della mia età. Uno mi ha chiesto:

– Ti posso invitare a cena?

– Perché?

– Be’, magari così possiamo parlare.

– Ma parlare di cosa?

Io con quello non avrei saputo di cosa parlare”.


A volte c’era anche una punta di bruschezza, se qualcuno coinvolto
nell’assistenza mancava di praticità e prendeva tempo inutilmente. “Noi
stiamo offrendo aiuto, se non vuoi non perdiamo tempo”.


Greta e Vanessa parlano anche di persone in Siria, perché fare
volontariato è una questione complicata, hai bisogno di raggiungere una
moltitudine di contatti, e loro ne hanno decine in tante province del
paese, da Aleppo a Damasco. Ci sono persone che, chiamate da loro in
Italia, sono state disponibili a spostare medicinali e a visitare
cliniche. Dopo il sequestro, sono arrivate offerte di aiuto da persone
sparse in un’area vasta centinaia di chilometri.


***


La notte in cui Greta e Vanessa sono state rapite ero a circa
venticinque chilometri dalla casa dov’erano loro. In giro è circolata la
notizia di una fuga rocambolesca, ma semplicemente non ero lì, ero in
una base di ribelli a sud di Aleppo, il fronte assadista era a circa
cinque chilometri a est. Ho scritto “base”, ma era una casa di campagna
abbandonata e usata dai ribelli. Niente elettricità, niente telefono né
internet. Il capo della casa era un ex soldato delle forze speciali di
Assad, assai ricercato per la sua abilità nell’insegnare l’uso delle
armi leggere. Fuggito due anni fa da una base dell’esercito siriano,
colpito finora cinque volte da proiettili in combattimento, se l’è
sempre cavata.


Quella notte si stava seduti su materassi di gommapiuma fuori dalla
casa, al buio. C’è sempre una lieve pausa, un momento di imbarazzo
collettivo prima di cominciare a parlare, poi quando si inizia non si
smette più. Dopo la mezzanotte è passato a trovarci un muhajir, un
combattente straniero, in quel caso uno yemenita che diceva di essere
cugino di Anwar al Awlaki. Awlaki è un predicatore americano ucciso dai
droni nel 2011 ed è considerato l’ispiratore del massacro nella
redazione parigina del giornale di Charlie Hebdo della settimana scorsa
(nota bene: le guerre arabe sono un club senza selezione all’ingresso).
Il cugino si è lanciato in un discorso poetico sul firmamento che si
vedeva nitidissimo causa l’assenza di luci, poi in un discorso assai
meno poetico su Israele.

Foto scattata da Daniele Raineri ad Aleppo

Alle cinque del mattino ci sono stati colpi alla porta. Sono entrati due
siriani, hanno detto: “Hanno sequestrato le due italiane. Stanno
cercando anche te”. Come fate a sapere che stanno cercando anche me? “Ci
hanno chiesto se sapevamo dov’eri”. Sono uomini appartenenti a qualche
grande gruppo della guerriglia, avevano qualche tipo di stemma, oppure
erano una banda di armati qualsiasi? “Non lo sappiamo. Avevano i
passamontagna, quasi tutti. Ci hanno puntato le armi in faccia”. A quel
punto l’unica cosa rimasta da fare era andare verso il confine con la
Turchia, dove il telefonino non è più inutile e può prendere di nuovo
campo. I ribelli hanno prestato una macchina e una scorta di uomini
armati, in modo da essere un bersaglio meno appetitoso per eventuali
sequestratori. Un’ora dopo ho chiamato l’unità di crisi del ministero
degli Esteri.


***


Quel giorno ho incontrato la squadra mandata dalla Farnesina per
occuparsi del caso, perché qualsiasi informazione poteva essere utile.
Eravamo ad Antakya, che è una città turca a una quarantina di chilometri
dal confine siriano che fa da centrale più o meno clandestina per tutti
i traffici che contano nella guerra che si combatte dall’altra parte.
Ricordo che uno di loro masticava una pipa e raccomandava: “Ora è
importante il silenzio più assoluto, nessuna notizia in giro, sul
giornale, o chessò, sul blog – gesto con la mano a indicare quelle cose
là su internet – per facilitare il rilascio delle ragazze. Massimo,
assoluto riserbo”.


Si tratta di una procedura standard in caso di sequestri, e non c’era
necessità di aggiungere altro. A volte tacere aiuta a risolvere la
situazione subito, prima che s’irrigidisca, quasi come se fosse stato un
malinteso. In generale, aiuta chi deve negoziare. Ma la squadra
aggiunse un incentivo al silenzio che mi fece capire quanto è caduta in
basso la considerazione per il mestiere di giornalista: “Se ci aiuti a
tenere la notizia segreta, ti terremo informato su cosa succede, per il
tuo lavoro”. Pensai: qui credono che io voglia scrivere un articolone su
questo doppio sequestro in Siria. Come se la situazione non fosse già
complicata.


Giovedì è arrivata da due fonti diverse la notizia della liberazione.
Il tempo di fare qualche verifica, e nel primo pomeriggio c’è stata
anche la certezza.

Fonte: http://spondasud.it/2015/01/dietro-il-sequestro-di-vanessa-e-greta-le-strane-frequentazioni-del-giornalista-raineri-6592.

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