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Da grande voglio fare il #BlackBloc

Salve, sono un black bloc. E niente, vorrei parlarvi un po’ del mio lavoro, che mi dà tante soddisfazioni, soprattutto in Italia... [Marco Travaglio]

Da grande voglio fare il #BlackBloc
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3 Maggio 2015 - 18.57


ATF

di
Marco Travaglio
.

Salve,
sono un black bloc. Vengo da fuori, ma non vi dico da dove, tanto lo
sapete benissimo (mi riferisco all’intelligence italiana, che è
sempre molto intelligente).

E
niente, vorrei parlarvi un po’ del mio lavoro, che mi dà tante
soddisfazioni, soprattutto in Italia. È un bell’impiego, non c’è
che dire, specie con questi chiari di luna. Ben pagato, anche.

Io
peraltro sono una vocazione precoce: sognavo di spaccare tutto fin da
piccolo. I miei matusa, ingenui, mi dicevano: “Così non vai da
nessuna parte, devi smetterla di sfasciare ogni cosa che vedi, fatti
una posizione”. Ho fregato anche loro: mi son fatto una posizione
sfasciando tutto. Sono richiestissimo, indosso una divisa strafica
(il nero della tuta mi slancia e acchiappo un casino), giro il mondo.

Prima,
ai tempi del G8 di Genova, avevo un contratto Co.Co.Co (acronimo di
Cosa Colpire a Cottimo), poi trasformato in Co.Co.Pro (Cosa Colpire a
Progetto). Ora invece, grazie al Jobs Act, mi han fatto un tempo
indeterminato a tutele crescenti: più vetrine sfascio, più macchine
incendio, più negozi devasto, più poliziotti meno, più le autorità
italiane mi proteggono.

Avete
mai visto un black bloc manganellato o arrestato in Italia? Io mai
(parlo di noi col marchio Doc, diffidate dalle imitazioni e dai
franchising). È una sensazione eccitante: accendi un fumogeno, ti
cambi d’abito nella nuvola di gas, metti a ferro e a fuoco la
città, e sfili indisturbato fra due ali di folla, di polizia, di
cameramen e di fotografi professionisti e dilettanti: nessuno ti
tocca, neppure una pieghina sulla tuta, bello lindo e liscio come
l’olio. Meglio di Mosè tra le acque del Mar Rosso.

Nel
2001, quando ho debuttato a Genova, non ci volevo credere. I miei
istruttori mi avevano detto: “Andiamo là, sfasciamo tutto, non ci
fanno niente e torniamo a casa”. Parlavano anche di un contratto
nero su bianco, ma io quando vidi tutta quella polizia in tenuta
antisommossa pensai a una frottola per convincermi a partire. Invece
avevano ragione loro: la polizia menava i ragazzini, i vecchietti,
persino qualche suora, ma a noi non ha torto un capello.

Non
per nulla avevamo la divisa: per farci riconoscere. Alcuni dei nostri
entravano e uscivano dalla Questura e fuori le solite zecche coi
telefonini filmavano la scena. Ho detto: “Siamo fritti”. Invece
poi le zecche sono andate a dormire alla Diaz e la polizia ha
distrutto tutto: crani, nasi, ossa, cartilagini, braccia, gambe,
toraci, e naturalmente cellulari e filmati.

Un
lavoro da manuale, roba che mi son sentito un dilettante: però ho
imparato molto. Da allora, con un po’ di amici, abbiamo messo su
un’agenzia, la GEPI: Grandi Eventi Pronto Intervento. Siamo
richiestissimi.

In
Italia facciamo sempre comodo a qualcuno per sputtanare quelli che
nei movimenti antagonisti si battono pacificamente (pensa quanto sono
coglioni) contro le mafie e le bande nascoste dietro le sigle Tav
Torino-Lione, Expo Milano 2015, Mose, ecc. Appena si muovono,
arriviamo noi e sfasciamo tutto.

All’inizio
era un secondo lavoro, ora è diventato il primo: abbiamo proprio una
tessera-coupon con lo strappino da staccare di volta in volta.

E
i capi dei No-Qualcosa ci lasciano fare. Un po’ perché non hanno
ancora capito che a noi non frega una beneamata cippa del Tav, di
Expo, del Mose (veniamo da Belgio, Germania, di qua e di là e manco
sappiamo che roba è, quella). Un po’ perché non hanno ancora
capito che noi lavoriamo contro di loro. O, se l’hanno capito,
fanno pippa perché hanno paura di noi, o perché gli facciamo
comodo, li facciamo sentire importanti e temuti, con tutti quei
titoli sui tg e i giornali. Se sfilassero pacificamente, non se li
filerebbe nessuno. E la stampa parlerebbe d’altro: dei disoccupati
che aumentano, delle bugie del governo sulla crescita, dell’Expo
tutto calcinacci e cartongesso per nascondere i cantieri mai finiti,
degli inquisiti candidati alle Regionali.

Noi
siamo l’offerta a una domanda di mercato: facciamo comodo a tutti,
al governo e agli antagonisti. Non c’è neppure bisogno che ci
chiamino: lo sappiamo noi quando serviamo, partiamo da soli
senz’avvertire nessuno. Tanto lo sanno tutti che arriviamo: gli
antagonisti come il governo. Scusate, ma che altro han mai fatto i
servizi segreti italiani dagli anni 60 a oggi se non infiltrare i
gruppi antigovernativi di destra e di sinistra?

Nel
1969 sapevano che i fascisti avrebbero piazzato la bomba in piazza
Fontana, e gliela lasciarono piazzare. Nel 1978 sapevano che le Br
avrebbero rapito Moro, e glielo lasciarono rapire. Nel 2001 sapevano
che avremmo distrutto Genova, e ce la lasciarono distruggere. È una
tecnica vecchia come l’Italia: si chiama “destabilizzare per
stabilizzare”. E funziona ancora: dopo 50 anni, la “pista
anarchica è un evergreen. L’altro ieri lo sapevano benissimo che
avremmo fatto quei danni a Milano, e ce li hanno lasciati fare.

Non
parlo dei poveri e ignari poliziotti da strada, mandati allo
sbaraglio con l’ordine di non caricare (tant’è che sono riuscito
a incendiarne uno così, en passant). Parlo di chi, dietro e sopra di
loro, sapeva da mesi del nostro arrivo, e l’ha pure fatto scrivere
dai giornali e dire dai tg per fare bella figura, poi ci ha spianato
la strada come sempre. Con la differenza che con Berlusconi l’ordine
era di menare qualcuno purchessia, a caso (esclusi noi, ci
mancherebbe). Ora invece, dopo la sentenza di Strasburgo sulle
torture alla Diaz, la consegna è non menare più nessuno: prenderle
e basta. Così poi le vostre solite teste di Twitter possono dare la
colpa a Fedez (un rapper mandante nostro? Uahahahahah). E quel genio
di Alfano può dire che “abbiamo evitato il peggio”. Ma come si
permette di svilire così il nostro onesto lavoro? Che si aspettava,
i bombardamenti di Dresda? Comunque, messaggio recepito: al prossimo
grande evento, faremo meglio.

Fonte:
Il Fatto Quotidiano, 2 maggio 2015.

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