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Quella micidiale Beretta che non porto più con me

'In gran parte dei casi utilizzare una pistola contro una persona è l''anticamera di enormi problemi, drammatici errori, tragedie gigantesche. Ecco perché le armi vanno limitate'

Quella micidiale Beretta che non porto più con me
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Redazione Modifica articolo

27 Ottobre 2015 - 05.54


ATF

di
Riccardo Gazzaniga
.

Ricordo bene la prima volta che mi
consegnarono la pistola d”ordinanza, alla fine del primo corso in Polizia.

Aveva un suo strano fascino. Pesante,
scura, un insieme di congegni perfetti, efficaci, micidiali.

Era una Beretta, ovviamente, perché mezzo
mondo usa pistole italiane. Armi che rappresentano un” eccellenza tutta nostra,
perché non fanno quasi mai cilecca, risentono poco delle condizioni
atmosferiche, non necessitano di grandi cure.

I primi giorni la pulivo sempre, la mia
Beretta.

La osservavo con riverenza, perché per mesi
ci avevano insegnato come maneggiarla e, soprattutto, quanto temerla. Gli
istruttori ci avevano fatto il lavaggio del cervello: i controlli di sicurezza
sempre doppi, per non sbagliare. L” arma mai rivolta contro qualcuno, nemmeno
scarica, nemmeno per scherzo.

Mai.

Più di un mese a fare operazioni «in
bianco» senza caricatori e pallottole, prima di andare in poligono. E, una
volta lì, concentrati, in silenzio, qualsiasi movimento con la pistola rivolta
al bersaglio. Ricordo che quando la guardavo, mi trasmetteva un oscuro senso di
forza, invulnerabilità. Qualsiasi cosa mi fosse capitata, qualsiasi situazione
mi si fosse presentata davanti, io avevo una pistola.

La tenevo con me in servizio e fuori,
complicata da nascondere sotto i vestiti, impossibile da mettere in uno zaino
per il rischio folle di perderla, farsela rubare, dimenticarla nel bagno di
qualche bar. L”ho portata con me per qualche mese, giusto il tempo di
rifletterci su. Poi basta.

Oggi la prendo solo per lavorare o in
situazioni particolari, ma non vedo l”ora di riporla in una cassetta di
sicurezza.

Eppure, sui social, vedo una smania di
armarsi, di essere pronti a difendersi, persone tranquillissime che magnificano
i loro piccoli arsenali privati, piccoli Tex Willer che non vedono l”ora di
usare i loro cannoni.

E per farci cosa?

Io vado in direzione contraria e vi dico: lasciate perdere le pistole.

“E se vedi una rapina e sei
disarmato?”
mi chiedono spesso.

Prendo il telefono – grande arma – chiamo i
miei colleghi, che hanno armi e dotazioni adeguate a intervenire.

Se riesco seguo la situazione a distanza,
mentre sono a telefono con la sala operativa.

Oppure uso un” altra arma, la penna,e segno
le informazioni utili.

Se ho tempo scatto una foto: basta una
targa o un dato fisico, per arrivare a una persona, senza travestirsi da
Ispettore Callaghan.

“Ma se entri in banca e c” è una
rapina a mano armata?”

La pistola non servirebbe a nulla. Non
potrei mai ingaggiare una sparatoria al chiuso, con il rischio di coinvolgere
persone inermi. Avete idea di quanti rimbalzi
può fare un proiettile prima di fermarsi da qualche parte?

Tanti. Troppi.

“Ma se vengono i ladri a
casa?”

In qualsiasi abitazione puoi trovare
oggetti per difenderti, senza utilizzare un” arma letale, magari di notte,
magari al buio. Troppo grande il rischio di colpire un parente o un ladro
disarmato o uno che scappa: per la legge italiana un uomo che fugge, anche
armato, non rappresenta più una minaccia. Sparandogli, si risponde di omicidio.
Questa è la situazione più frequente perché, nella stragrande maggioranza dei
casi, un ladro scoperto scappa e basta, consapevole che qualsiasi altro gesto
aggraverebbe il reato di cui risponderà.

“Ma potresti mirare alle gambe per
fermarlo!”.

Certo, come no, se sei un attore di
Hollywood. Nelle gambe ci sono punti vitali e, comunque, già può essere
complicato centrare una sagoma a dieci metri di distanza, a quindici diventa
arduo. Figurarsi colpire lo spazio ristretto di una gamba. Per non parlare di
tiro in corsa o da una macchina, pura fantascienza.

Ragazzi, il punto è questo: nella grande
maggioranza dei casi utilizzare una pistola contro una persona è l”anticamera
di enormi problemi, drammatici errori, tragedie gigantesche.

Senza contare la mole di incidenti causati
da chi non ha la competenza per gestire un”arma e i furti in cui sono le armi
non adeguatamente custodite a venire rubate dalle case per finire proprio nelle
mani dei criminali.

Una ricerca del 2007 stimava che in Italia
12 persone su 100 fossero in possesso di armi: molto meno che in Svizzera,
Francia, Germania, Inghilterra. Enormemente meno che negli Stati Uniti, dove 88
persone su 100 possedevano un” arma da fuoco.

Non
è con i cittadini armati e con le armi da fuoco in casa che si garantisce
sicurezza
.

La soluzione non è la corsa all”arsenale
casalingo, ma il contrario: limitare al massimo le armi, lasciarne la
disponibilità a chi ha la competenza e la conoscenza per usarle. Investire sule
forze dell” ordine e su chi, per dare sicurezza, lavora ogni giorno.

Un lavoro che si fa poco con le pistole e
molto con la prevenzione, il
controllo del territorio, le attività investigative, l”impegno quotidiano reso
complicato dai tagli di risorse di governi che affrontano questi argomenti solo
sull”onda di fatti tragici ed eclatanti..

«Se nella prima scena del dramma, c” è
un fucile appeso alla parete, questo dovrà sparare nell”ultimo atto» diceva
Cechov.

Per questo, nel mondo reale, fucili e
pistole lasciamoli agli attori della sicurezza, lontano dagli spettatori.

(La
versione originale di questo articolo, leggermente modificata per questo post,
è stata pubblicata su Repubblica due anni fa).

riccardogazzaniga.com

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