Nel giorno della condanna a tre anni a carico di Renato Soru – eurodeputato e segretario regionale sardo del PD, nonché fondatore di Tiscali – una riflessione del giornalista Vito Biolchini fa una fotografia spietata del contesto politico sardo che ha molti elementi in comune con il contesto di tutta la Repubblica Italiana. Con una illuminante lezione di un filosofo tedesco-coreano.
di Vito Biolchini.
Per chiunque abbia conosciuto, lavorato o anche solo votato per Renato Soru oggi è una giornata terribile. Saranno gli storici a raccontare la sua parabola, umana e politica, le luci che hanno illuminato la sua ascesa e le ombre che stanno caratterizzando questa fase declinante: a tutti noi che abbiamo creduto in lui e nel suo progetto ora resta solo lo sgomento davanti ad una sentenza che invita, chi ha ancora il vizio di farsi delle domande, a riconsiderare gli ultimi tredici anni di vita pubblica in Sardegna, cioè da quel 2003 in cui il fondatore di Tiscali si impose sulla scena politica, fino alla sentenza di oggi. Personalmente, sono rimasto molto turbato da una affermazione resa da Soru nel corso del dibattimento, riportata come se niente fosse dai giornali: “Quando sono diventato presidente della Regione avevo un patrimonio di mille milioni di euroâ€. Nessuno l’ha commentata. E dopo la sentenza di oggi, una domanda sorge spontanea: chi è veramente Renato Soru?
***
Soru è sempre stato refrattario alle regole della politica. All’inizio i suoi atteggiamenti venivano accolti con sollievo, entusiasmo e ammirazione perché si pensava che anticipassero un cambiamento della forma ma anche della sostanza della politica. Poi però nel tempo sono arrivate le prime disavventure giudiziarie (ricordate il caso Saatchi & Saatchi?), mentre le tante contraddizioni legate al suo doppio ruolo di politico e imprenditore venivano accettate dalle persone in buona fede in nome di un progetto più grande che doveva per forza andare avanti (anche a costo di pagare il prezzo di qualche contraddizione), e da quelle in mala fede per evidenti motivi di convenienza. Eppure era evidente che il suo essere manager di una grande impresa lo poneva in una posizione di difficile compatibilità con qualunque incarico politico. Ma nonostante tutto Soru continuava a godere di una fiducia incondizionata. Fiducia di cui ha evidentemente abusato.
Solo chi ha una straordinaria opinione di sé e una bassa considerazione dell’intelligenza altrui e delle regole della politica e della vita pubblica può pensare di poter affrontare un processo per evasione fiscale ricoprendo la carica di segretario regionale del primo partito italiano. L’errore di Soru è stato questo: non dimettersi dalla segreteria al momento del rinvio a giudizio. Se lo avesse fatto, avrebbe contribuito a preservare la sua immagine e quella della politica sarda, già terribilmente minata.
Ma Soru non si è dimesso prima perché nessuno glielo ha chiesto: né il suo partito (posto che lui era il segretario in Sardegna, l’invito sarebbe dovuto arrivare dai vertici italiani del Pd), né l’opinione pubblica isolana.
***
Da Renzi non è arrivato nessun invito alle dimissioni perché, lentamente ma inesorabilmente, il centrosinistra italiano sul tema della questione morale (o se vogliamo, del rapporto tra politica e giustizia) ha fatto proprie le argomentazioni di Berlusconi. Il centrosinistra che per anni ha giustamente criticato il centrodestra che copriva gli affari del suo leader, quel centrosinistra che invocava il conflitto di interessi, che chiedeva maggiore moralità nella vita pubblica (ovvero la possibilità che chi ledeva l’onorabilità della politica si facesse da parte, a prescindere dalla presenza di sentenze passate in giudicato), quel centrosinistra una volta arrivato al potere si è comportato come i berlusconiani.
Tutto il centrosinistra, non solo il Pd. Anche Sel, davanti alle disavventure giudiziarie di diversi suoi esponenti, ha preferito forzare la mano e rinnegare i fiumi di parole con i quali ha inondato per anni giornali e tv. Anche a sinistra al concetto di moralità si è sostituito quello di legalità , ovvero sono colpevole solo se un giudice mi dichiara tale. Ma i patti non erano questi.
Davanti all’ondata di scandali che sta investendo il suo partito, il segretario del Pd e presidente del Consiglio Matteo Renzi pochi giorni fa ha detto con tono di sfida “i giudici facciano le sentenzeâ€. Ebbene, oggi una sentenza è arrivata. Ed è devastante.
Il secondo aspetto del problema quindi sta qui: lo schieramento politico che per anni si è proposto come alternativo al centrodestra, riguardo i temi della giustizia e della moralità al centrodestra non è alternativo per niente.
A questa sconcertante scoperta la società italiana sta reagendo in due modi: abbandonando la politica (cioè non andando più a votare) oppure sostituendo il fondamentale concetto di fiducia con quello ambiguo di trasparenza.
Devo questa riflessione al filosofo tedesco-sudcoreano Byung-Chul Han che nel suo libro “La società della trasparenza†(edizioni Nottetempo, 2014) spiega con estrema chiarezza:
La fiducia è possibile solo in una condizione intermedia tra sapere e non-sapere. Fidarsi significa costruire una relazione positiva con l’altro, malgrado ciò che di lui non si sa. (…) Invece di dire “la trasparenza realizza la fiducia†si dovrebbe dire propriamente che “la trasparenza esclude la fiduciaâ€. La domanda di trasparenza diventa forte proprio quando non c’è più fiducia. In una società che si fonda sulla fiducia, non esiste una forte richiesta di trasparenza. La società della trasparenza è una società della sfiducia e del sospetto che, in conseguenza di una fiducia che viene a mancare, si sottomette al controllo. La forte richiesta di trasparenza rinvia proprio al fatto che il fondamento morale della società è diventato fragile, che i valori morali come la sincerità o l’onestà divengono sempre più insignificanti. Al posto dell’istanza morale caduta in disgrazia, compare la trasparenza come nuovo imperativo socialeâ€.
Chiedere gli scontrini non è fare politica ma soltanto la fine della politica.
Già in Rousseau si può osservare che la morale della trasparenza totale si rovescia necessariamente in tirannia. Il progetto eroico della trasparenza (…) conduce alla violenza. (…) la società della trasparenza rousseauiana si rivela la società del controllo totale e della sorveglianzaâ€.
Prima di morire Gianroberto Casaleggio aveva predisposto il nuovo sistema operativo del Movimento Cinque Stelle. Il suo nome? “Rousseauâ€.
***
E i giornali, perché hanno taciuto? Di certo non hanno nascosto le notizie ma, come spiega sempre Byung-Chul Han “più informazione o soltanto un accumulo di informazioni non producono di per sé una verità . Manca loro la direzione, vale a dire il sensoâ€.
L’informazione in Sardegna vaga nel buio e nei rapporti con la politica quasi sempre si accontenta di certificare l’ovvio: montagne di comunicati stampa finiscono ai lettori dopo un semplice copia-incolla. Nelle stesse ore in cui gli operai dell’Eurallumina incontrano Renzi per chiedergli il riavvio della fabbrica di Portovesme, i vertici di Eurallumina sono sotto processo per reati ambientali. Per dare un senso alla vicenda, bisogna fare di questi due fatti un’unica notizia e aprire un dibattito. Invece le notizie sono due, magari pubblicate anche a dieci o venti pagine di distanza l’una dall’altra.
E quando i temi consentirebbero di sviluppare posizioni diverse da quelle imposte dalla politica, il giornalismo sardo si appoggia alla magistratura, di cui riporta pedissequamente le ragioni.
Il giornalismo sardo non ha una posizione autonoma rispetto a questi due poteri, ma oscilla a seconda delle convenienze editoriali o di come tira il vento. Per cui il giornalismo in Sardegna non è a sua volta un potere, ma si accontenta semplicemente di assecondare gli altri poteri. Quasi sempre sta con la politica, ma se questa entra in conflitto con la magistratura sta con quest’ultima.
L’incredibile vicenda dei fondi ai gruppi lo dimostra. Ho avuto modo di accedere alla documentazione relativa ad alcuni casi e vi posso assicurare che degli stessi poteva essere fatto un racconto ben più articolato e problematico, non certo appiattito sulle posizioni dell’accusa. Ma è troppo chiedere al giornalismo sardo di fare domande. Prendete il caso del neo consigliere regionale indagato per traffico internazionale di droga: nessuno che abbia ancora chiesto al leader del suo partito un parere su ciò che sta avvenendo. Fatti, fatti, fatti: domande, poche.
E anche a Renato Soru in questi anni i giornali sardi hanno fatto poche domande. Ad esempio: perché è l’europarlamentare italiano più assente a Bruxelles, addirittura sesto nella classifica complessiva?
***
Soru è stato condannato e si è dimesso dalla segreteria regionale del Pd, il centrosinistra sui temi della giustizia non si distingue dal centrodestra e i giornali in Sardegna non sono un potere autonomo. E poi ci sono i fatti delle ultime settimane.
Il vicesindaco di un paese viene arrestato con l’accusa di essere a capo di una banda di rapinatori, il vicepresidente del consiglio regionale viene arrestato con l’accusa di corruzione (e con lui un ex consigliere regionale). Intanto un europarlamentare rischia di andare a giudizio per avere intrattenuto rapporti con la camorra mentre un altro viene condannato per evasione fiscale milionaria. Nel frattempo un indagato per traffico internazionale di droga diventa consigliere regionale.
Forse è venuto il momento di farci qualche domanda sui meccanismi di selezione della classe politica in Sardegna. Facendo nomi e cognomi, una volta tanto.
[GotoHome_Torna alla Home Page]