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Tutto è Occidente?

Non cala l'aggressività dei potenti, pronti a scegliere la guerra per uscire dalle contraddizioni. Vediamo in tutta chiarezza la loro stupidità. [Giulietto Chiesa]

Tutto è Occidente?
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30 Maggio 2017 - 22.51


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Gentilissimo Giulietto Chiesa, 
 
la seguo sempre con grande interesse e spesso condivido le sue tesi. Tuttavia c’è un concetto che ancora fatico a comprendere, è che lei tira in ballo continuamente nel suo ultimo libro sulla Putinfobia: l’Occidente. 
Potrebbe spiegarmi che cosa intende per Occidente? 
Non è una provocazione, ma mi chiedo se abbia ancora un senso usare questa parola. 
Non è forse ormai tutto Occidente? 
La Russia non è forse Occidente con la sua economia guidata dagli oligopoli? 
E non è forse la Cina Occidente, con il suo “turbocapitalismo”, con il suo cammino (o forse dovremmo dire “marcia”) verso la borghesizzazione del suo popolo? 
Sinceramente fatico a pensare a un paese che non sia già Occidente, al di là della formula politica/religiosa che adotta per legittimare la propria forma di governo? 
Questo, ovviamente tralasciando le economie irrilevanti a livello globale. Mi chiedo invece se non sia invece il caso di parlare di una competizione serrata (a volte più, a volte meno) fra vari tipi di capitalismo, e che il problema/pericolo non risieda proprio in questo: nella carenza di forze che in qualche modo limitino un capitalismo senza freni, concepito solo come massima crescita economica in termini “nominali”, sempre più distaccata dalle necessità dei popoli. 
Lei oggi scorge il pericolo dell’Occidente tradizionale (chiamiamolo così), ma è davvero sicuramente che qualora questo invertisse almeno in parte la rotta, dimostrandosi meno aggressivo, non sarebbero poi loro, i nuovi Occidenti a cercare di occupare un ruolo dominante nel mondo? 
La ringrazio sin da ora per l’attenzione e, qualora rispondesse, anche per la gentile disponibilità. 
 
Saluti, 
Simone.
 
 

 

 
Caro Simone, 
 
no, non credo che tutto “sia ormai Occidente”. 
L’Africa non è Occidente, il mondo musulmano non è Occidente, né nella sua versione sunnita, né in quella sciita. 
Non è Occidente né la Russia, né la Cina, né l’India. 
Eppure quello che lei dice è altrettanto vero. In un certo qual senso la globalizzazione ha vinto, ha “uniformato”, ha “omogeneizzato”, ha “piallato”. Anche il recente voto iraniano dice che i valori, le mode, i gusti dell’Occidente sono penetrati e stanno penetrando, espandendosi, influenzando i modi di vita, la storia, la memoria degli umani, le forme di organizzazione sociale e una molteplicità di cose che qui è inutile ripetere. 
Tuttavia la questione assume risposte diverse a seconda della profondità nella quale ci si colloca per esaminarle. 
La storia dei popoli, delle civiltà è un mare. Se si rimane vicini alla superficie si possono leggere alcune cose, non tutte e, io presumo, non le più importanti. Le correnti di questo mare si muovono a velocità diverse a seconda delle profondità in cui scorrono. 
Certo, il capitalismo finanziario è dappertutto. Anche in Russia, in Cina, in India, in Turchia. Eppure le correnti profonde delle storie dei popoli sono di diversi ordini di grandezza differenti le une dalle altre. Più si scende in profondità e più si colgono le differenze: linguistiche, psicologiche, religiose, culturali, la persistenza dei ricordi, delle tradizioni. 
Il tempo dei popoli è tutt’altro che omogeneo. Ciascuno ha il proprio. Lo stesso capitalismo, o il Mercato, che ne risultano sono straordinariamente diversi. E le istituzioni che regolano le diverse società non sono soltanto variazioni più o meno marcate, più o meno temporanee, di una forma unica, o che è destinata a diventare tale. 
Se così non fosse non riusciremmo a spiegarci il perché delle lancinanti contraddizioni che caratterizzano la nostra epoca. Anzi da tempo ho l’impressione che, più si cerca di “ridurre ad uno” tutte le diversità, più si accendono resistenze accanite e, appunto, “profonde”. Più si manifesta una repulsione diffusa, istintiva; qualcosa di simile a una ricerca di sicurezza, che si esprime come un ritorno alle tradizioni, alla lingua, alla religione degli avi. 
Credo che la spiegazione di quanto sto scrivendo risieda nel fatto che questa accelerazione “globale” viene (giustamente) percepita come “innaturale”. Ed è infatti così che essa è stata attuata: contro il ritmo biologico umano, cioè naturale, per mezzo della tecnologia, che è innaturale e disumana. 
Non sto dicendo che ciò è quello che i popoli sanno. Dico che è quello che i popoli percepiscono istintivamente. E la contraddizione si accentua giorno dopo giorno, in quanto la tecnologia sta sviluppandosi secondo criteri geometrici di accelerazione, sempre più impetuosamente, sempre meno tenendo conto delle esigenze vitali dell’Uomo. L’Uomo, come risultato di un’evoluzione di milioni di anni, non è compatibile con i processi rapidi cui è costretto. 
E tutto questo groviglio critico è ormai compresso un uno spazio temporale sempre più corto. È la stessa tecnologia che impedisce l’adattamento: essa aumenta la distanza dall’Uomo. La convulsione si accentua e le tensioni crescono. Immaginare che esse si “ricompongano” in una qualche quiete è irrealistico. Si configura un collasso, anzi una successione di collassi veri e propri. 
C’è un libro bellissimo, di Jared Diamond (Armi, Acciaio, Malattie), che ci spiega che intere civiltà sono già state annientate dall'”Occidente” (quando ancora l’Occidente non aveva nemmeno preso coscienza di sé). Furono annientate non perché si sottomisero: lo furono perché non erano in grado di sopportare la violenza cui furono sottoposte. Penso che stia accadendo sotto i nostri occhi. E questa volta sarà la specie umana tutta intera ad essere annientata. Non esiste un’assicurazione sulla vita per la nostra specie, checché ne pensino i molti che la immaginano eterna.
Lei invece immagina una specie di sviluppo lineare, che porterà ad un approdo uniforme. Io credo che lei sopravvaluti ad un tempo le capacità di resistenza fisica e psicologica degli individui come massa e le capacità di questa struttura economico-sociale (che lei chiama capitalismo ed è già ormai altra cosa del capitalismo in cui siamo nati) di imporre i suoi comandi. Certo esistono possibilità di uscire da una tale contraddizione, ma presuppongono la creazione di una società artificiale, dove l’Uomo sarà relegato ai margini (“Il Mondo Nuovo” di Aldous Huxley), o una guerra di sterminio permanente degli uomini, dominata dalle “macchine”. 
Io non vedo i segni di una diminuzione dell’aggressività dei potenti, che io definisco “Occidente”, e temo che sceglieranno la guerra per uscire dalle contraddizioni del presente. Vedo invece con tutta chiarezza la loro stupidità. L’Uomo è fondamentalmente stupido, proprio perché è intelligente. Un cane non può essere stupido. 
Ma potrei sbagliarmi. Supponiamo dunque che i dominanti attuali cerchino di fermare la loro stessa follia. Sarebbe un gesto saggio anche se lo facessero per la paura. E così si arriva all’ultima questione da lei posta: quelli che arriveranno al loro posto non è detto che saranno una compagnia piacevole da sopportare. Cina, Russia, il resto del mondo potrebbero rivelarsi altrettanto orribili. Oppure se sarà l’intelligenza artificiale a prendere il comando sugli stupidi (lo sta già facendo perché ha imparato a educarsi da sola), non è affatto detto che ci sarà “amica”, proprio perché noi siamo irrimediabilmente stupidi mentre essa non potrà esserlo. 
Ma io non mi spingo così in avanti. Quello che vedo è l’irriducibilità di una convergenza, nei tempi brevi che ci sono concessi, tra un gigante come la Cina, con un miliardo e 400 milioni di individui, con una lingua e una cultura plurimillenarie, e un Occidente interamente istupidito nella sua corsa mortale all’autodistruzione. 
Nonostante siano entrambi “capitalisti”. L’Occidente non è riuscito a convincere nemmeno il popolo russo a una tale convergenza: la Russia che gli era più vicina, e che ne era affascinata, e in un certo senso già quasi domata. Figuriamoci se potrà imporsi su un popolo che è un altro continente. Potrà farlo solo come Pizarro fece nei confronti di Atahualpa: sterminandolo. Ma sarà solo l’ultimo brivido di vittoria prima dell’autodistruzione. 
Resta da decidere se i popoli potranno ancora giocare un qualche ruolo contro le protesi che hanno costruito per uccidersi reciprocamente. Nei film di fantascienza americani è sempre l’America che vince contro gli alieni. Il problema è che gli alieni siamo tutti noi.
 
Giulietto Chiesa
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