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Le Utopie Minimaliste di Luigi Zoja

Un libro, un tentativo - nel complesso riuscito - di sondare temi politici, sociali ed ecologici con lo scandaglio della psicologia analitica.

Le Utopie Minimaliste di Luigi Zoja
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7 Ottobre 2013 - 23.05


ATF

di Paolo Bartolini

Da pochi giorni è in
libreria il nuovo libro di Luigi Zoja (psicoanalista junghiano
di valore internazionale), intitolato “Utopie
minimaliste
” ed edito da chiarelettere (€ 13,90).

Quello che abbiamo tra le
mani è un testo fuori dal comune, tanto atipico quanto necessario in
questi tempi di crisi profonda. Ciò che lo rende speciale è il
tentativo – nel complesso riuscito – di sondare temi politici,
sociali ed ecologici
con lo scandaglio della psicologia
analitica
.

Questa chiave di lettura,
che non manca di alternarsi a considerazioni economiche e
sociologiche ben argomentate, permette a chiunque sogni una
trasformazione del mondo
di interrogarsi sulla necessità di
avviare un’altrettanto radicale trasformazione di sé.

L’assenza di una
ricerca di senso personale, la mancanza di un vero percorso di
individuazione (per usare il termine coniato da Carl Gustav
Jung), sono aspetti decisivi per spiegare il fallimento delle
utopie massimaliste
del Novecento. La tesi principale del libro,
infatti, è che per fronteggiare le enormi questioni sollevate, sul
piano ambientale, sociale e culturale, dalla globalizzazione
economica, sia oggi indispensabile far leva su forme minimaliste
di alternativa al sistema
, che muovano dalle scelte individuali,
dalla coscienza dei singoli, dalla sensibilità di ognuno nei
confronti di tutti gli esseri viventi, per raggiungere lentamente
obiettivi di civiltà più stabili e duraturi.

Sostiene infatti Zoja, al
termine della sua coraggiosa ricognizione sui mali del nostro tempo,
che sia finalmente possibile “un insieme di gesti
quotidiani capaci di opporsi alla degenerazione delle condizioni
economiche ed ambientali, senza assolutismi, senza fanatismi, senza
sospette passioni viscerali
”.

Questo significa che “è
possibile un mondo in qualche modo migliore, che non si addormenti
sul proprio cinismo
”.

Prima di approdare a
questa conclusione incoraggiante l’autore si dedica a smantellare,
in modo efficacissimo, le pretese massimaliste di chi, in
fretta e furia, vorrebbe cambiare dalle fondamenta il sistema
economico-sociale cui – volenti o nolenti – tutti apparteniamo. La
smania di stravolgere l’esistente in tempi brevissimi,
l’antagonismo perpetuo che, puntando il dito contro la
violenza del capitale, non si accorge di riprodurla
trascinando gli altri verso un sogno che è solo nella testa di
pochi, il diffuso primitivismo psicologico di chi ragiona
esclusivamente per classi o blocchi sociali dimenticando gli
individui concreti e le loro vite, questi sono solo alcuni dei segni
distintivi di un massimalismo sconfitto dalla storia e radicalmente
inservibile.

A proposito le pagine
dedicate alla figura controversa dell’ “eroe” Che Guevara sono
illuminanti, e non vi è dubbio che attireranno le ire dei duri e
puri accampati nelle riserve dei rivoluzionari fuori tempo massimo.
Eppure Zoja, nel proporre utopie minime che partano dal processo di
crescita psicologica delle persone in carne ed ossa, non fa
l’errore (comune al mondo riformista) di negare la portata del
disastro ecologico
che il capitalismo globale sta causando in
nome di una impossibile e suicida “crescita infinita” del PIL e
dei consumi.

Altrettanto chiara, e
condivisibile, è la denuncia che l’autore muove
all’ingiustizia sociale che si rileva nella crescente
diseguaglianza economica tra capitale e lavoro. Insomma, l’analisi
offerta da Zoja delle tendenze dominanti nell’odierna civiltà del
denaro è tutt’altro che conciliante. Nelle sue parole si
percepisce l’urgenza di identificare strade percorribili per
avviare una trasformazione paziente ma decisiva dei rapporti di
forza in campo
.

L’intento pregevole, a
nostro modesto avviso, si ferma troppo spesso al piano delle
scelte etiche
e stenta a immaginare una forma praticabile sul
versante della rappresentanza politica nel breve e medio periodo. I
pochi cenni che arrischiano in questa direzione – certo di buon senso
e tutt’altro che disprezzabili – si ispirano ai progressi
democratici ottenuti dalle socialdemocrazie del nord Europa e da
paesi latino-americani come il Brasile (con la presidenza Lula),
l’Ecuador e la Bolivia. In quest’ultimi, sicuramente a ragione,
Zoja scorge un esempio straordinario di attenzione ai diritti della
Natura (Pachamama), includendo animali e vegetali nella
comunità di viventi che dobbiamo sempre più proteggere dall’avidità
dell’economia di mercato.

Detto ciò, ci pare
comunque che l’utilità di questo libro speciale – che consigliamo
vivamente a tutti coloro che sentono l’ingiustizia abissale del
mondo in cui viviamo e sono pronti a mettersi in gioco senza
proiettare le proprie ombre su un nemico assoluto – non sia da
ricercarsi principalmente nell’elenco, fra l’altro
ridotto, di utopie minimaliste suggerite dall’autore, quanto
piuttosto nella comprensione delle dinamiche psichiche (consce e
soprattutto inconsce) che determinano l’agire dell’uomo e lo
mettono in condizione di differenziarsi dagli automatismi collettivi
del proprio tempo.

Torniamo così al
processo di individuazione che “non ha però niente a che vedere
con una contrapposizione individualista agli obblighi collettivi: un
simile opporsi, elevato a norma, sarebbe patologico. Si tratta al
contrario di un compito cui l’individuo può dedicarsi solo dopo
aver appreso e accettato le regole della comunità in cui vive:
quindi conosciuto lo spazio in cui può liberamente sviluppare i
propri potenziali. Se così non fosse, sprecherebbe gran parte della
propria energia non nella crescita personale, ma in un conflitto con
le norme generali
”.

L’importanza di questo
libro, scritto con equilibrio e moderazione, è proprio nella sua
capacità di far evolvere il nostro senso critico. Sfidando vecchie
certezze Zoja ci invita a riconoscere definitivamente, senza
rimpianti, l’immenso spreco di energia psichica (collettiva
e non solo individuale) ottenuto per inseguire testardamente quei
massimalismi che, con la speranza di capovolgere un sistema ingiusto,
hanno portato morte, oppressione e paranoia sulla scena politica
mondiale; ma ancor più ci provoca saggiamente affermando che “quello
che oggi è chiamato «pensiero unico», o quello che chiamiamo
«mercato (unico) globale», non si impone perché ha vinto: sono le
alternative che hanno perso
”.

Il suicidio delle utopie
massimaliste, stando a queste premesse, schiuderebbe oggi la
possibilità, prima inaudita, di instaurare un nesso profondo
tra sviluppo psico-spirituale e azioni concrete per
migliorare il mondo circostante. Se saremo capaci – portando
l’analisi di Zoja oltre se stessa, ed evitando dunque la tentazione
di ridurre interamente la politica all’insieme delle buone pratiche
individuali – di tracciare un cammino di liberazione a misura
d’uomo
, che coniughi preparazione psicologica, ecologica,
filosofica e politica
, potremo forse far coesistere individui
maturi e movimenti politici capaci di rappresentarli degnamente nelle
istituzioni.

Questo è un obiettivo
che, rifiutando il massimalismo, non si accontenta però di un
“minimo di civiltà”, ma ci spinge a procedere con il passo
dell’uomo verso un “giusto impegno” in ogni sfera della vita
umana associata. Senza illusioni, ma con la convinzione che passione
e ragione
debbano cooperare per realizzare tutto il possibile in
ogni momento dato.

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