Le elezioni in Europa. Una “svolta politica”? | Megachip
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Le elezioni in Europa. Una “svolta politica”?

Le elezioni in Europa. Una “svolta politica”?
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15 Maggio 2012 - 17.30


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svoltapolitica 20120515

di Piotr (????)

Premessa

1. A livello globale la finanziarizzazione sta continuando i suoi effetti devastanti.

La finanziarizzazione si basa su debiti, pubblici e privati, inesigibili. Secondo un calcolo, entro l”anno corrente bisogna rinnovare complessivamente crediti pari a ¼ del PIL mondiale, tanto per avere un”idea. E” anche per questo che il 2012 è un anno cruciale.

Da un punto di vista tecnico si potrebbe descrivere sinteticamente la finanziarizzazione come una perversione del credito endogena (cioè dovuta alle contraddizioni intrinseche ai processi di accumulazione), cioè alla perversione del meccanismo monetario principale su cui si basa il ciclo infinito di accumulazione del capitale, ovvero il meccanismo tramite il quale si anticipa in forma monetaria la ricchezza che si attende che venga prodotta.

Dal punto di vista politico invece si presenta come una lotta per la predominanza degli attori capitalistici intesi in senso lato. Cioè come una lotta per il potere. Gli Stati hanno necessità di allearsi coi centri finanziari, così come ce l”hanno le multinazionali. Nel primo caso lo fanno esibendo potenza. Potenza politica, militare, culturale, diplomatica. Nel secondo esibendo potenza economica – ovvero capacità di mobilitare risorse sociali e naturali a livello globale (ed eventualmente anche politiche). Lo fanno scambiandosi personale e lo fanno intessendo legami d”interesse mediati dalla finanza. A sua volta, all”interno della sfera finanziaria si svolgono feroci lotte di potere, coi mezzi che le sono propri.

Questo quadro infatti non prevede, e non ha mai storicamente previsto, alcun attore predominante in eterno e quindi nessuna “classe globale”, intesa come un fascio di interessi condivisi stabilmente. Le condivisioni di interessi sono infatti strutturalmente instabili perché questo è il regno del conflitto, delle alleanze, dei tradimenti, della sopraffazione, del predominio e della lotta per scalzare chi in un dato momento predomina, globalmente o regionalmente. Lotta che può avere successo o essere perdente.

2. La crisi ha messo in evidenza due contraddizioni strutturali intrecciate:

a) La contraddizione tra il neomercantilismo tedesco e l”Europa grossomodo dei PIIGS.

b) La contraddizione tra la finanza anglosassone e l”economia tedesca (e la sua area d”influenza, che presenta sfaldamenti).

Con neomercantilismo tedesco intendo lo sfruttamento dei differenziali di produttività della Germania, relativamente ai suoi partner europei, per generare un avanzo commerciale al quale corrisponde un simmetrico disavanzo dei partner. Questo differenziale è basato su rigide politiche di contenimento dell”inflazione e di riduzione del costo nominale del lavoro (i salari tedeschi sono fermi da quasi venti anni) [1].

Ovviamente la società tedesca nel suo complesso tramite questo neomercantilismo si arricchisce. Ma il meccanismo ha dei limiti e delle contraddizioni.

Esso innanzitutto ha come condizione la moneta unica e le politiche restrittive ad essa imposte. L”euro è una vera e propria gabbia che non permette ai Paesi europei penalizzati di riequilibrare la propria bilancia dei pagamenti tramite manovre sulla moneta. In più la restrizione imposta alla BCE di comprare titoli di stato se non, eventualmente, sul mercato secondario, cioè dopo che sono passati nel mercato finanziario, tarpa le ali ad ogni politica importante di intervento statale e incrementa costantemente la quota di debito pubblico detenuto dai grandi complessi finanziari privati. Tecnicamente l”obbligo per gli Stati di approvvigionarsi finanziariamente sui mercati ha lo scopo di controllare l”inflazione. Di fatto è una politica pro domo tedesca e alla lunga suicida.

La Germania sa benissimo che non può spremere oltremisura ricchezza dai partner in questo modo. Potrebbe rilassare i vincoli imposti alla BCE, ad esempio permettendo l”emissione di eurobond, ma sa che a farne le spese sarebbe per prima la Germania stessa. In poche parole, la Germania è tra l”incudine di vedere prosciugata la fonte europea della sua ricchezza destabilizzando l”euro e il martello della destabilizzazione della situazione sociale interna, che con le elezioni ha fatto vedere di essere percorsa da sfiducia in una politica che finora ha permesso sviluppo e condizioni di lavoro vantaggiose ma oggi dà evidentemente ritorni di benessere sociale decrescenti.

Per non farne le spese la Germania subordina l”eventuale emissione di eurobond al pareggio di bilancio degli altri membri dell”eurozona che però l”FMI prevede essere in deficit anche nei prossimi due anni, tranne l”Italia sottoposta alla cura montiana e, staccata di varie misure dall”Italia, la Germania. Nel frattempo Berlino cerca con decisione di sostituire agli scambi commerciali con i partner europei quelli con l”Est. (Europa orientale, Russia e Oriente asiatico). La cosa va a rilento ma allarma il suo alleato-occupante statunitense, specialmente da un punto di vista geopolitico.

Un secondo fattore di collisione con gli USA è la riluttanza tedesca di far stampare soldi alla BCE per salvare i mercati finanziari, oberati da crediti inesigibili (ovvero da attivi farlocchi) che grazie ai meccanismi moltiplicatori della finanza (parte integrante delle lotte di predominio in questa sfera) sono ormai sfuggiti di mano a tutti. La FED, come si sa, ha stampato trilioni di dollari a questo scopo negli ultimi anni, indebolendo la moneta americana e ipotecando un eventuale rilancio economico. Ora gli USA chiedono che sia la volta della BCE a darci dentro con decisione e non come ha fatto finora col contagocce, comunque sempre tollerato a fatica dalla Germania. E lo chiedono tramite il loro principale portavoce in Europa, cioè Mario Monti (la posizione di Draghi mi sembra più equidistante tra USA e Germania, per quanto si riesca a capire – ma do per scontato che alla luce emerga un centesimo di quel che succede dietro le quinte ). Mario Monti, che secondo l”FMI arrivando sulle scene europee nel 2013 con un possibile avanzo primario record del 7,8% (più del doppio della Germania, l”unico altro Paese europeo non in deficit per quella data) potrebbe a quel punto fare la voce grossa con la Merkel. Tanto più che Sarkozy ha dovuto cedere il posto a Hollande e la Cancelliera sarà sotto elezioni, tremebonda dopo la recente batosta nei Länder.

Ad ogni buon conto la Germania fa già sapere per vie traverse che ha pronta la sua contromisura regina: l”uscita unilaterale dall”euro.

Una partita a scacchi, come si addice tra le grandi potenze durante le grandi crisi.

3. Dietro la retorica della crescita si cela quindi in realtà la richiesta pressante di far stampare soldi alla BCE e in subordine di tagliare le unghie alla Germania.

E” dubbio che ci possa essere altro. Infatti è tutto da vedere se strumenti neokeynesiani possano rilanciare la redditività privata in Occidente (a parte alcuni settori ad alto valore aggiunto e ad alto contenuto innovativo, ad esempio quelli legati, direttamente o indirettamente, al settore militare, ed eventualmente a grandi opere infrastrutturali), in presenza di un tasso di profitto delle attività industriali strutturalmente basso. In tutti i recenti tentativi l”immissione di liquidità si è infatti riversata il larghissima parte sugli istituti finanziari, gli unici che potevano in qualche modo (sovente piratesco) garantire rendimenti. La “crescita” sarà al dunque un “collasso ritardato”, che ovviamente può esibire punte reali di sviluppo, ma locali sia in termini temporali sia spaziali. Non penso che gli strateghi globali credano davvero di poter rilanciare in Occidente un altro ciclo di espansione materiale simile a quello del “ventennio d”oro” del dopoguerra. E” al più il solito modo di girare attorno al problema [2]. Ma, ovviamente, in pubblico devono dire altro. Un “altro” che va sotto il termine onnicomprensivo “misure per la crescita”.

Così la coppia di attori “Crescita (Keynesiana)-Rilassamento della politica monetaria europea“, che per brevità chiamerò CK-R, caratterizzerà lo spettacolo politico nel nostro immediato futuro. Se il primo Monti è stato l”uomo dell”austerity, non è detto che lo sia il secondo (o chi per lui). I segnali già ci sono, come il continuo richiamo alla necessità di crescita rivolto da Monti all”Europa (cioè di fatto alla Germania).

Ovviamente parliamo di segnali e per di più visti dall”esterno e da una certa distanza, dove è posizionato il nostro punto di osservazione noi. Siamo nel campo di giustificate congetture, non di certezze. Tanto più che la crisi finanziaria rende di sicuro la CK-R una strategia tutta in salita (potrebbe essere agevolata però da uno “schianto” in punti nevralgici, non necessariamente economici o finanziari, del sistema).

Conseguenze

4. Tutto sommato le elezioni europee testimoniano di quanto abbiamo detto.

La Grecia, vaso di coccio, è fatta a pezzi anche politicamente, e l”opposizione al massacro sociale si è divisa tra l”estrema destra e l”estrema sinistra. Una tragedia classica, nella terra dei grandi classici. L”interesse dell”establishment europeo e statunitense sembra limitarsi a nascondere il default e a continuare ad aspirare dalla Grecia quante più risorse possibili.

Per quanto riguarda l”Italia il quadro è diverso. Non ho mai creduto che il nostro Paese avrebbe fatto la fine della Grecia, se non altro perché esso è l”ottava potenza economica del mondo e la Grecia la trentaseiesima. Questo non vuol dire che il massacro sociale da noi sia meno raccapricciante. Basti pensare ai due suicidi giornalieri di lavoratori o piccoli imprenditori. L”impoverimento della nostra società è palese ed è gravissimo. Gli attacchi al welfare sono senza precedenti. Monti scherza con il fuoco dello strappo sociale continuo. Per ora tiene le cose sotto controllo inviando i manifestanti No Tav nelle carceri di massima sicurezza o contando sul fatto che qualcuno tirerà fuori dai cassetti dossier capaci di devastare i partiti riottosi (è il caso della Lega, ma può succedere ad altri).

In quanto ottava potenza mondiale ci tocca un ruolo non secondario. E Monti, o meglio la coppia Monti-Napolitano, lo sta portando avanti coscienziosamente. Ridicolo dirgli che sta “sbagliando”. Sta facendo quello che gli hanno chiesto di fare.

E” in questo scenario, all”interno di questo ruolo, che si situa la “riscossa” dei DS. I DS sono la succursale italiana del Partito Democratico statunitense. Saranno i portavoce del CK-R, così come in Francia lo sarà Hollande. In Germania si sono visti segnali forti verso quella direzione. Un caso però che dal mio punto di vista è ancora da capire bene, per via della posizione particolare dell”economia tedesca in Europa e nel mondo e per il ruolo geopolitico della Germania. La sua politica estera suggerirà nuovi elementi esplicativi.

Nell”immediato credo che in Italia assisteremo a dichiarazioni altalenanti di richiamo al rigore e di necessità di crescita, di fedeltà a Monti e di necessità di superarlo. Apparirà di fatto come una politica (fatta a dichiarazioni) mezza di destra e mezza di sinistra, intendendo con “sinistra” un vago rimando al complesso di fattori sociali, economici, industriali, politici che caratterizzarono negli anni tra il ”50 e il ”60 il keynesismo italiano ed europeo. Questo è un punto di snodo e di confusione che eserciterà attrazione sulle persone indecise, nostalgiche o lontane dall”analisi critica e cercherà di riparare i guai causati dall”appoggio a Monti.

Per la politica internazionale i DS seguiranno gli USA (sono stati loro a spingere per la guerra alla Libia). Lo stesso per la politica rispetto all”euro. Ovviamente devono ufficialmente difendere la UE e la moneta unica per la quale chiesero a suo tempo sacrifici immani.

5. Volente o nolente tutto il variegato mondo dell”opposizione a Monti e alla sua austerità verrà influenzato da questo “cambiamento di rotta”, che comunque, ripetiamo, non è garantito e comunque non sarà limpido. Inutile quindi fare previsioni troppo accurate. In vista delle prossime elezioni politiche tutti hanno iniziato a prendere le misure, ad annusarsi: partiti, organizzazioni e singoli. Molto dipenderà dalla legge elettorale. A volte dalle particolari ideologie ispiratrici.

Il CK-R può essere un ombrello abbastanza grande. Riparerà chi vede la semplice possibilità di far partire opere pubbliche, chi quella di far ripartire il credito, chi insisterà sul lato redistributivo, chi sulla possibilità di lotta alla disoccupazione. L”ex sinistra e la coscienza critica dell”ex sinistra. Le formazioni che vogliono rifondare la sinistra pungolando la coscienza critica dell”ex sinistra, e via così in una catena di attrazioni successive.

Il CK-R potrebbe causare delusioni immediate, o ottenere brevi successi parziali.

E” dubbio che sarà il punto di svolta risolutivo della crisi.

Tuttavia la doppia contraddizione che sopra abbiamo tratteggiato ha iniziato ad operare nel vivo, divenendo oggetto diretto di scelte politiche. Le forze emancipatrici hanno quindi l”obbligo di incunearsi in questa doppia contraddizione che costituisce una delle poche possibilità che si vedono all”orizzonte di divisione e indebolimento dell”avversario (l”altra essendo una, improbabile ma non da escludere, guerra mondiale). Ma incunearsi, per definizione non vuol dire parteggiare per una delle due sezioni che si stanno separando.

I latori del CK-R lavoreranno per se stessi e per terze parti, ma non per noi. Se avessimo la corda di Lenin li potremmo sostenere come la corda sostiene l”impiccato. Ma per ora abbiamo trovato con fatica solo qualche scampolo di filo per cucire.

Come incunearsi è tutto da capire e non può essere discusso qui. Tuttavia dovrà essere oggetto di discussione urgente, anche per togliere di mezzo ambiguità e opportunismi che di sicuro il CK-R farà emergere.

In parallelo ci sono i segnali che sia iniziata una lotta per il controllo geopolitico dei mercati finanziari.

Facendo un ragionamento basato sulla pura razionalità economica è paradossale che essi facciano riferimento a una nazione, gli USA, con fondamentali economici pessimi (enorme debito pubblico, enorme deficit delle partite correnti.) e non alla Cina, il nuovo gigante economico mondiale. Il Paese asiatico sembra che ora sia intenzionato a ricordare al mondo questo paradosso. Ma esso lo è solo dal punto di vista della razionalità economica. Alle pretese “razionali” dei suoi competitor globali gli USA opporranno argomenti diversi ma molto convincenti e derivati da settori dove gli Stati Uniti possono ancora esibire e utilizzare un effettivo vantaggio competitivo: la forza militare, quella politica, quella diplomatica e quella culturale. Che sono, diciamo così, “collaterali” che hanno sempre suscitato attrazione sulla Haute Finance, alla faccia di ogni ragionamento economicistico.

Sarà con buona probabilità la dimensione conflittuale che sovrasterà le altre.

Piotr, maggio 2012


[1] I differenziali tecnici sono qui trattati come esiti degli investimenti in ricerca e sviluppo permessi dal surplus.

[2] Di fatto l”unico modo per confutare questa tesi è dimostrare che lo sviluppo materiale del dopoguerra, basato su deficit-spending, monete nazionali e dogane, sia stato prima penalizzato e poi interrotto da una forza esogena, cioè da non meglio identificati poteri forti finanziario-globalisti. Ma per far questo bisognerebbe negare, tanto per fare un esempio che la finanziarizzazione attuale sia iniziata con le speculazioni sui cambi valutari, seguite al Nixon Shock, eseguite proprio dalle grandi multinazionali. E bisognerebbe inoltre pensare all”attuale finanziarizzazione come ad un fenomeno inedito, e quindi negare che ce ne sia stata ad esempio una gigantesca più di un secolo fa, quella che diede luogo a ciò che fu chiamata Belle Époque, talmente importante da spingere Hobson a scrivere “Imperialismo” nel 1902 e Hilferding a “Il capitale finanziario” nel 1910. Cioè bisognerebbe negare dei dati di fatto storici. Che l”attuale finanziarizzazione abbia caratteristiche uniche lo si può desumere non dalla sua origine (che ripete in un contesto e forme nuovi schemi già sperimentati nella storia del capitalismo) ma dal suo sviluppo e dalle sue prospettive. E” qui che sta la differenza.

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