‘di Sandro Vero
[right]«[…] l’imperfezione dell’infinito dipende dal suo carattere incompiuto.L’infinito è ciò fuori del quale resta sempre qualcosa; in altri termini, è ciò che non è intero, che non ha compimento. L”infito è dunque per sua essenza privazione». (Andrea Sani)[/right]
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1. L’infinito buono e l’infinito cattivo.E’ opinione diffusa che la Grecia classica aborrisse l’infinito, e ciò nonostante si trattasse di un tema molto presente nel suo pensiero. Secondo tale opinione lo aborriva fondamentalmente perché l’infinito appariva ai greci come imperfetto, squilibrato, portatore di caos. L’ápeiron, in realtà , non significa solo “infinito†ma anche “illimitato†o “indefinitoâ€, manifestandosi già in questo la grande estensione di senso che si genera intorno a quel concetto. Il riferimento, sia pure privativo, al limite è illuminante: la struttura etimologica non lascia scampo, la a- privativa (“nonâ€) segnalando la mancanza del carattere che più di ogni altro garantiva, nella cultura ellenica, la perfezione e l’armonia, vale a dire il limite, espresso nel péros (appunto: “limiteâ€).
Ciò che era in gioco sembrava, a conti fatti, la forma, di cui poteva essere dotata solo un’entità finita, cioè limitata, di contro a una qualsivoglia manifestazione di un concetto, quale quello di infinito, che per ciò stesso non poteva aspirare alla perfezione. Che per i Greci era sempre perfezione formale.
Quello che sembra certo è che una concezione negativa dell’infinito, apertamente avversa ad esso, fu quella dei pitagorici – dal cui pensiero germogliarono i paradossi zenoniani – sostenitori del fatto che:
«[…] l’infinito si identifichi con la disarmonia e l’imperfezione, giacchè, non avendo limiti e quindi forma, l’ápeiron risulta lontano dalla razionalità e dall’ordine»[1].
E’ istruttivo vedere come Aristotele, che pure aveva aggirato le antinomie zenoniane – riguardanti sia lo spazio che il tempo – introducendo la distinzione fondamentale in infinito attuale e infinito potenziale, condivida coi pitagorici un sostanziale rigetto della nozione di infinito, ritenendo che la sua imperfezione dipenda dalla sua incompiutezza:
«l’infinito è ciò fuori del quale resta sempre qualcosa; in altri termini, è ciò che non è intero, che non ha compimento. L’infinito è dunque, per sua essenza, privazione»[2].
La declinazione “potenziale†dell’infinito aveva la funzione di bloccare quelle che allo stagirita apparivano come aporìe derivanti dall’equivoco di considerarlo solo nella sua versione “attualeâ€. E i paradossi di Zenone si erano spinti lungo quella direzione fino al punto di una sospensione della capacità razionale di dominarne l’applicazione in contesti sia fisici che mentali[3].
Quello che occorreva dunque altro non era che uno spostamento dell’accento, dal prodotto finito dell’infinito (il bisticcio essendo necessario…) al processo della sua produzione; dalla pretesa di abbracciare, con uno sguardo unico e definitivo, un infinito che si dà come realizzato una volta per tutte, alla più umile rappresentazione di una costruzione, indefinitamente crescente o decrescente, secondo che si tratti dell’infinito additivo o di quello divisivo, cioè dell’infinitamente grande o dell’infinitamente piccolo.
Nel dibattito sulla maneggiabilità del concetto, stretto in una morsa fra l’inconcepibilità di una misura senza limiti e la concepibilità di un limite senza misura, un posto speciale spetta probabilmente alla figura geometrica del cerchio, che risolve in un colpo solo l’imbarazzo di una scelta fra l’infinito senza confini e il finito dotato di confini, attestandosi in una posizione di compromesso che, lo vedremo fra breve, dà i suoi frutti più succosi nella vita pratica dell’uomo, più che nella sfera teorica, in cui pure ha il suo ruolo.
La rappresentazione grafica[4] evidenzia il carattere ibrido, si potrebbe dire “sintomatico†in un’accezione psicoanalitica[5], della figura geometrica del cerchio, che unisce la concepibilità della finitezza alla potenza euristica dell’illimitatezza. Dando luogo ad una forma spendibile di infinito, continuamente in fieri, e dunque potenziale, e dunque “buonoâ€.
Un infinito che rinunci al carattere compiuto, immediatamente dato come tale, e che si proponga come processo, indefinitamente crescente, senza confini, è “buono†non solo nel senso della sua analogia con la versione ellenica accettata ma anche e soprattutto nel senso della sua efficacia pragmatica, della sua spendibilità operativa. La circolarità chiude nella maniera più adatta una simile strategia di penetrazione soggettiva: il consumo, l’accumulo (termini speculari ancorché depositari delle differenze di posizione nel conflitto sociale) sono azioni che traggono spinta, motivazione e soddisfazione dal loro essere programmate come loop, anelli di senso prima ancora che di comportamento.
La mancanza di limite è esattamente ciò che rende possibile al capitalismo la proposizione dell’infinito nelle attività produttive e del consumo. Di più, priva la produzione di ogni valore fondante di natura extraeconomica:
«il capitale non ha più alcun limite esterno, se non quello della propria valorizzazione; il che significa, ed è una novità assoluta, che è anche la prima società a introdurre l’infinito nell’economia, nella produzione e nel consumo»[6].
Nessun codice extra-economico partecipa più alla pianificazione della produzione e del consumo delle merci, né di natura biologica né di natura sociale. Solo l’economia, nella sua forma più astratta e semiotica[7], dirige i flussi, li mischia, li incorpora e li ri-funzionalizza in vista di quell’unico scopo che la guida: la valorizzazione.
2. Linguaggio e monetaIl saggio di Christian Marazzi “Sulla natura linguistica della monetaâ€[8] fornisce – con la sua mirabile capacità di stare a cavallo di due mondi concettuali apparentemente lontani quali la linguistica e l’economia – un esempio reale di come la circolarità si è imposta nel pensiero e nelle produzioni reali del mondo governato da una filosofia economica come il neo-liberismo.
Tra linguaggio e moneta, secondo l’Autore, c’è, ab origine, un rapporto circolare:
«Quindi, quando si analizza la natura linguistica del denaro, nel senso che moneta e linguaggio, pur distinti l’uno dall’altro, si sovrappongono, sono cioè due facce della medesima istituzione, il problema che si pone è come superare la dicotomia tra moneta e linguaggio…»[9].
Marazzi cita Luciano Gallino, che nel suo Finanzcapitalismo[10] propone un parallelo tra denaro e linguaggio, basato sia sulla semantica che sulla sintassi. Entrambi danno un nome alle cose (semantica) e ammettono una funzione di traduzione da una “lingua†ad un’altra, entrambi sono dotati di un sistema di regole “contabili†(sintassi), che ne determinano l’uso.
Quella che può sembrare una mera analogia, tutta esterna ad entrambi i termini, rivela la sua fecondità nel passo – citato da Marazzi – in cui Vittorio Mathieu conclude la sua Introduzione all’opera pionieristica di Marc Shell sulla natura formale e mentale della moneta, interrogandosi sul “mistero di Giudaâ€:
«La funzione di Giuda Iscariota nell’economia della salvezza è quasi incomprensibile. Non vi era nessuna necessità che un discepolo “tradisse†il Maestro. […] Ma Giuda “consegna†Gesù in cambio di denaro, cioè lo vende. Ciò significa, nel linguaggio rovesciato dell’economia, che lo “realizzaâ€Â»[11],
vale a dire che lo trasforma in valore, lo idealizza.
L’indicazione di Marazzi è che la monetarizzazione del pensiero, il pensare monetariamente, affonda la sua radice nella funzione che in entrambi i sistemi – il linguaggio e la moneta – ha il negativo, e la sua potenza definitoria, che si esplica proprio nella individuazione, nella fondazione dell’individualità delle cose e delle persone, un processo che si esaurisce – inevitabilmente – nella negazione della corporeità della cosa e della persona, e nell’esaltazione del suo valore ideale, che coincide col suo non-essere altro.
Non a caso Marazzi chiama in causa anche De Saussure, alla cui teoria linguistico-semiotica si fa risalire la genesi del pensiero strutturalista. Un De Saussure definibile come pensatore monetarista, che fonda la funzione semiotica, la stessa nozione di segno, sul potere del negativo, sulla potenza della negazione, per la quale – Nietzsche docet – linguaggio e moneta sono ciò che sono: sistemi strutturanti a partire dalla enucleazione di ciò che ogni cosa viene ad essere grazie al fatto di non essere qualcos’altro.[12]
La circolarità fra denaro e linguaggio si evidenzia anche nel carattere performativo che entrambi esprimono nei contesti speciali, in cui l’atto enunciativo costituisce lo stato/funzione enunciato e non gli si riferisce solo linguisticamente secondo una modalità simbolica o rappresentativa. Ovviamente, ciò conduce alla questione della legittimità di chi emette l’enunciato costitutivo, ovvero al suo potere e al suo status giuridico.
Note:[1] Sani (2008), p. 9.
[2] Ivi, p. 39. (Grassetto mio).
[3] Sulla necessità di distinguere fra contesto fisico (spazio/tempo) e mentale dell’infinito, Rucker (1995) si dilunga al fine di dimostrare che è possibile pensare quest’ultimo solo se non si assume a priori che un pensiero è niente di più che una certa configurazione chimica in una certa finita regione della materia. In caso contrario «it seems to follow automatically that infinite thoughts are impossible» (p.35). In altre parole, a Rucker importa affermare la non coincidenza fra “mente†e cervello.
[4] Tratta da Rucker (cit.), p. 16.
[5] In psicoanalisi un “sintomo†è una formazione di compromesso, che tenta di conciliare istanze pulsionali contrapposte o istanze pulsionali e del Super-Io.
[6] Lazzarato (2013), p. 118.
[7] Nel senso in cui “semiotico†è inteso da Lazzarato.
[8] Marazzi (2013).
[9] Marazzi, cit., p. 170.
[10] Gallino, cit., pp.172-173.
[11] Mathieu, in Shell (1982), p. 16.
[12] De Saussure (2009).
Bibliografia:DE SAUSSURE Ferdinand (2009): Corso di linguistica generale, tr.it. Laterza, Bari.
GALLINO Luciano (2011): Finanzcapitalismo, la civiltà del denaro in crisi, Einaudi, Torino.
LAZZARATO Maurizio (2013): Il governo dell’uomo indebitato, Derive Approdi, Milano.
MARAZZI Christian (2013): Sulla natura linguistica della moneta, in PASQUINELLI, pp. 158-183.
MATHIEU Vittorio, in SHELL Marc (1982): Moneta, linguaggio e pensiero, tr.it. Il Mulino, Bologna.
PASQUINELLI Matteo (a cura di)(2014): Gli algoritmi del capitale, Ombre Corte, Verona.
RUCKER Rudy (1995): Infinity and the Mind, Princeton University Press, Princeton (N.J.).
SANI Andrea (1998): L’infinito, La Nuova Italia, Firenze.
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