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Il Capitalismo è un mutante sociopatico

Il tumulto dei chomsky n. 16 [Glauco Benigni]

Il Capitalismo è un mutante sociopatico
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25 Gennaio 2016 - 18.45


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di Glauco Benigni

Da qualche tempo – saranno ormai 40 anni – medito sull”interpretazione di ciò che si intende, e si trasferisce da un orecchio all”altro, con “capitalismo”. Questa parola è cresciuta fino a diventare immensa. Il suo significato originale si è molto esteso, è giunto a tracimare dall”alveo della sua definizione classica (un po” come “terrorismo”) in rivoli e spruzzi che irrorano molti testi e molte conversazioni, sia da bar che da talk show e da accademia.

“Capitalismo” e” diventato un “significante ombrello” che da più di 150 anni tiene sotto di sé diverse famiglie di “significati”. Pronunciare questa parola, e tanto più scriverla, spesso vuol dire essere presi in ostaggio da parte degli interpreti più integralisti che la usano in modo parareligioso durante le analisi liturgiche che dovrebbero chiarire “perché siamo arrivati a questo punto”.

Il capitalismo, o meglio la sua evocazione, secondo alcuni, ancora dà conto di tutta l”ingiustizia nella quale è immersa l”umanità. Il capitalismo – grazie a chissà quale cielo – dovrebbe soffrire di crisi cicliche, ma la frequenza di queste crisi resta ignota e al dunque anche la loro ampiezza. Ancora: il capitalismo non è buono ma non si sa con quale altra macrovisione sostituirlo. Il Capitalismo è morto, anzi no! …è moribondo. Giace sotto una tenda a ossigeno con le flebo, però potrebbe avere i secoli contati.

Durante le mie frequentazioni universitarie (anni ”70 del secolo scorso) risultava che il motore infernale del fenomeno descritto da questa parola era l”accumulazione, da parte dei Padroni, di ricchezza immeritata e che tale accumulazione si fondava su alcune pratiche amministrative che creavano privilegi da una parte e discriminazione dall”altra. Tra questi soprattutto il fatto che, nell”estenuante braccio di ferro tra Forza Lavoro e Capitale, quest”ultimo aveva la meglio perché fatto 100 il valore finale della produzione, la percentuale maggiore finiva sotto il controllo di chi aveva messo il denaro e le macchine e la percentuale minore veniva usata per retribuire i famosi lavoratori. Queste percentuali, ovviamente non sono state sempre le stesse; variavano al variare delle stagioni della Storia, delle latitudini e longitudini e dipendevano, in Occidente, dalle sconfitte e dalle vittorie delle lotte operaie. A grandi linee tali percentuali sono oscillate tra 85% al capitale e 15 % alla Forza lavoro, fino a 65% al capitale e 35% alla forza lavoro. Più o meno.

Tutta l”analisi e i conteggi però, Marx e i marxisti non se ne avranno a male, erano inscritti in una scena si può definire “newtoniana”: cioè idealmente tutta materica, rispondente a rigide leggi di causa-effetto e condizionata da risorse e materie prime non infinite. Questa è quella che abitualmente si definisce la prima fase del capitalismo: industriale, fondato in prevalenza su fabbriche e catene di montaggio.

A questa, lentamente e inesorabilmente, subentrò una seconda fase: quella del capitalismo consumistico, fondato sulla Forza vendita e sul Marketing che assumevano un ruolo sociale determinante, strategicamente gestito nei supermercati traboccanti di merci. Una nuova fase intesa quale prolungamento, integrazione e contrappasso inevitabile della prima. Una nuova fase che sconvolse e minimizzò l”azione del Movimento operaio e delle sue rappresentanze che non trovarono alcun dialogo con la Forza vendita. La grande Confcommercio planetaria era ed è da sempre mercantile, liberal-liberista, si trova bene al servizio dei Padroni e si sforza di emularli al massimo.

In sintesi, gorgogliava tra sé e sé il Capitale: tanto ti do, tanto ti tolgo. Il Capitale accettava di negoziare il salario e l”aumento del costo dell”ora lavoro ma nel frattempo attivava la sollecitazione della domanda (grazie ai media di massa e pubblicità su grande scala) e realizzava la creazione di stili di vita favorevoli a se stesso e alla sua sopravvivenza. Tutto quello che concedeva alla forza lavoro lo recuperava quando il salariato, e i componenti della famiglia a suo carico, andavano a comprare, non solo quello che era utile e magari indispensabile ma anche quello che semplicemente li seduceva, anche se non era utile. Fu il trionfo della vendita a rate e delle carte di credito. Cioè, grazie ad ogni forma di consumo superfluo e indotto (stracibo, strabenzina, strasottocultura, stratempo libero, etc), l”Elite recuperava e recupera subdolamente e forzosamente quanto il Capitale aveva dovuto concedere per poter continuare a sfruttare il lavoro nelle diverse catene di montaggio merci e organizzazione servizi.

Negli anni ”70 del secolo scorso la forza lavoro sembrava aver vinto la partita ai punti, in realtà si adattava a riconsegnava le fiches vinte a chi peraltro le stampava a suo piacimento e le metteva in circolazione. Un accento particolare poi l”Elite aveva posto su alcuni aspetti della vita: sul bipolo aspettativa/consumo di salute, un”area dove il Capitale recuperava e recupera sempre più grazie alle farmaceutiche (leggi anche sostanze stupefacenti) e sul gioco perverso dell”edilizia di massa: “compratevi tutti una casa” ai prezzi al metro quadro stabiliti in progress dai costruttori e dalle banche.

Nonostante questa esaltazione del paradigma bastone/carota, il Capitalismo e le mille forme che aveva assunto, non si ritenevano soddisfatti. Perché?

1) Perché il Maestro del Capitalismo, ovvero il Liberismo integralista, era ed è un mutante sociopatico, ammalato e sofferente di pulsione all”egemonia coercitiva.

2) Perché il Capitalismo rinviene molti alibi alla sua azione sia nel protestantesimo che nel più banale individualismo perbenista.

3) Perché gli esperimenti sociopolitici antagonisti, in territori quali l”URSS, la Cina di Mao, Cuba e altri, si sono rivelati crudeli e insostenibili.

4) Perché con l”andar del tempo, in alcuni territori, in cui funzionava il teatrino della democrazia compiuta e del suffragio universale, le organizzazioni che difendevano il lavoro erano riuscite ad avere propri rappresentanti nei Parlamenti e il dialogo tra Capitale e Forza lavoro era diventato “troppo faticoso” per i Padroni.

È a quel punto, negli anni ”80 che succede qualcosa che Marx non poteva prevedere. La finanza speculativa e liberista, come un gigantesco Houdini, si svincola dalle catene della dimensione newtoniana e scopre che, grazie alla nascente rivoluzione digitale, quella che banalmente viene definita e mascherata da “innovazione tecnologica”, si può generare valore di scambio nelle borse in quantità pressoché illimitata, al di là dei limiti newtoniani materici, al di là delle risorse estinguibili e senza aver più tanto bisogno della forza lavoro.

La triade finanza, economia, circolazione di valuta diventano sempre più virtuali, creative, a-materiche; aumentano all”inverosimile la loro presenza nello spazio e la frequenze delle loro oscillazioni nel tempo. I cicli di up and down, caduta e rialzo tendono addirittura a confondersi.

Il valore valutario di scambio (denaro, linee di credito, controvalore di azioni, obbligazioni, etc…) – e non già il valore d”uso – costituiscono la linfa vitale del Capitalismo sia finanziario che industriale e mercantile. E pertanto, a quel punto, esso si ritiene in massima parte liberato dall”affannoso, e per lui estenuante, dialogo con la forza lavoro. Se il denaro/valore di scambio giunge al punto di generare autonomamente altro valore di scambio, esso ritiene di potersi autoperpetuare al di là del consenso e quindi il suo bisogno di avere rapporti con la maggioranza degli umani sindacalizzati comincia a tendere idealmente a zero. Fra l”altro la fine della guerra fredda e la maggiore facilità di trasporti consente al capitalismo industriale di delocalizzare la produzione in aree dove la forza lavoro costa pochissimo e dove le organizzazioni della sua difesa non esistono o quasi.

I maggiori padroni dei capitali – ovvero tutta la parte mercantile della specie umana (finanza, banche, assicurazioni, fondi, etc…) a quel punto ritengono doveroso per mantenere la loro egemonia coercitiva , comprare politici e parlamentari, piuttosto che lavoratori. Il capitalismo non si fonda più sullo sfruttamento della forza lavoro o comunque non più prevalentemente su quello, ma piuttosto sulla produzione di norme a lui favorevoli o sull”assenza di norme in modo che si possa produrre valore di scambio liberamente. È la coda dell”era Reagan-Thatcher… la nascita della deregulation spacciata per “riformismo”. Il fenomeno si sviluppa anche grazie ad un nuovo uso del FMI e di quella che diventerà la WTO e per onde concentriche arriva dovunque, dopo una lunga fase di induzione al consumo. Ma arriva e ci siamo dentro.

I cosiddetti lavoratori a questo punto, siano essi salariati o lavoratori autonomi, sono “liberi” di mettersi al servizio della nuova fase del Capitalismo o meno. Se lo fanno accettano di essere sfruttati in modo diverso da prima. Più intensamente, a minor remunerazione e con garanzie compresse. Il Capitalismo non li spingerà più a cercare un lavoro e emarginerà quote sempre maggiori di umani.

Lo so, questa non è un”analisi classica. È ibrida, è bastarda, esalta la dimensione digitale e indeterminata. Il punto di osservazione non è accademico.

In questa analisi invece dell”Economia si pone al centro la triade finanza-economia-valuta (denaro circolante). L”economia perde il ruolo di motore primo e diventa solo uno dei pistoni (il quarto pistone sono le norme che incidono sulla triade). Soprattutto l”analisi prevede che non sia (o non sia più) la lotta di classe la dinamica egemone che muove le sorti degli abitanti della Terra ma che, anche a causa della globalizzazione, si sia tornati alla lotta tra Elites, come nel Medio Evo.

È in questa scena che matura in Occidente la III fase del Capitalismo, la fase in cui si effettua il recupero dei risparmi, non già e non più solo in modo seducente (consumi e sollecitazione a investimenti finanziari che si liquefanno nelle bolle), ma in modo coercitivo grazie alla fiscalizzazione selvaggia.

L”Elite senza cuore né sentimenti, calpestando ogni principio di solidarietà sociale, oggi sembra affermare per bocca dei suoi banchieri e dei suoi maggiordomi presenti nei governi locali: in passato siamo stati costretti a darvi le fiches ora, non contenti di ciò che restituite nei supermercati e con i vostri goffi investimenti pilotati nelle borse, vi imponiamo di ridarcele tassando ogni cosa che credevate di possedere. Le classi subordinate non possono sottrarsi. Ogni movimento di denaro è tracciato, ogni visione antagonista è schedata e permessa solo fin quando è tollerabile dalle Elites.

Il Capitalismo è sconfinato in un Imperialismo orwelliano fondato sulla libera circolazione dei capitali imposta dalla finanza e difeso militarmente in ogni dove grazie all”alibi della sicurezza. La sensazione di impotenza cresce mentre le diverse Elites nel frattempo si azzannano furiosamente tra loro. Che fare?

(25 gennaio 2016)

Glauco Benigni, è giornalista e scrittore. Ha lavorato 20 anni a “La Repubblica”, poi 15 anni in

Rai. È autore-conduttore di programmi TV ed è stato consulente di grandi aziende (Eutelsat, Rai Trade,

Sipra). Gestisce un

[url”canale YouTube”]www.youtube.com/user/glaucobenigni[/url] e un [url”blog”]http://glaucobenigni.blogspot.it/[/url]. Tra i suoi libri: Re Media (1989), Apocalypse Murdoch

(2003),

YouTube. La storia (2008), Gli angeli custodi del Papa (2004, tradotto in diverse lingue), la

quadrilogia “

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Infografica: © [url”Victor Castillo”]http://victor-castillo.com/[/url].

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