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Il nuovo governo e il viale del tramonto

La bomba populista è il sintomo alla luce del sole della malattia sotterranea: la fine del predominio occidentale sul mondo. [Piotr]

Il nuovo governo e il viale del tramonto
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16 Maggio 2018 - 10.36


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di Piotr

 

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È difficile trovare commenti non risibili, o peggio ancora, sulla congiuntura politica italiana. Uno dei pochi leggibili è quello di Giuseppe Masala intitolato La distruzione c’è già.

Così finisce il commento, dopo un elenco, assolutamente non esaustivo, dello sfacelo al quale l’Italia è stata condotta dagli espertissimi e navigati politici della Seconda Repubblica e i fighissimi tecnici alla Mario Monti che qui e là li hanno sostituiti:

Spero si sia capito che l’Italia è già distrutta. E ad averla distrutta sono quelli bravi che hanno governato fino ad ora. Al limite su coloro che subentreranno a gestire le macerie si può dire che non saranno in grado di ricostruire. Ma ad aver distrutto l’Italia – lo ripeto – sono stati quelli bravi che ci hanno governato fino ad ora. Tutto il resto è noia e malafede”.

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Salvini e Di Maio non faranno peggio. Così come Virginia Raggi non poteva in alcun modo far peggio dei “capacissimi” sindaci romani che l’hanno preceduta riducendo la Capitale a brandelli. Poteva solo “non fare”.

E poi, col Berlusca di nuovo in campo, il patto del Nazzareno si rinvigorisce e, meglio ancora per i suoi sponsor, si rinvigorisce clandestinamente. Salvini se ne è reso conto, ma è chiaro se lo ha capito Di Maio.

E cosa dice questo patto, che ha la benedizione della UE e della Nato: che Berlusconi e Renzi devono disinnescare la “bomba populista”.

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La bomba populista non è l’effetto di un virus che ha rincoglionito quelli che furono gli elettori del più grande partito comunista occidentale e della Democrazia Cristiana. La bomba populista è il sintomo alla luce del sole della malattia sotterranea: la fine del predominio occidentale sul mondo. Quindi crisi profonda e lacerante delle società occidentali e dei partiti (e delle modalità politiche) che le hanno gestite dal dopoguerra, cioè dal momento in cui ha iniziato a formarsi la cresta dell’immensa onda di questo predominio per poi infrangersi alla fine degli anni Sessanta/inizio Settanta con tutti quegli eventi che vanno dal Nixon shock alla sconfitta statunitense in Vietnam, dalla stagflazione alle rivolte studentesche (e questo sarà per tutto l’anno del cinquantenario uno dei miei pochi accenni al “mitico Sessantotto”).

Da allora è stata una continua decadenza interrotta solo dalle vampate della prima fase della finanziarizzazione durante le presidenze di Reagan e di Bill Clinton. La nuova Belle Époque, quella della “Milano da bere”, della “New Economy”, del “capitalismo immateriale”. E ricordiamoci che la vecchia  Belle Époque fu il preludio a una sequenza di due guerre mondiali. 

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Volete avere un’idea della decadenza?

Ecco la proiezione al 2050 delle principali economie mondiali, secondo la società di consulenza americana PricewaterhouseCoopers (PIL per Parità di Potere d’Acquisto – ma conteggiato per Market Exchange Rate cambia solo di un soffio). In ordine di grandezza: 1) Cina (avrà il 20% del PIL mondiale, in ascesa), 2) India (15%, in ascesa), 3) USA (12%, in discesa), 4) Indonesia, 5) Brasile, 6) Messico, 7) Giappone, 8) Russia, 9) Nigeria, 10) Germania (tutta la UE conterà solo per il 9% del PIL mondiale, in picchiata). L’Italia sarà diciottesima dopo, tra gli altri, l’Egitto, la Turchia e il Pakistan.

Io credo solo in parte a queste proiezioni perché guardano esclusivamente all’economia e dimenticano un fattore determinante, cioè il potere. Comunque l’utilizzo cinico e senza scrupoli del potere può camuffare o ritardare una tendenza che è chiara, ma non può modificare nelle sue ragioni profonde il cambiamento di paradigma economico, geografico, geopolitico ed ecologico che è in atto. Ne segue – sia detto incidentalmente –  che l’etica e l’economia del lavoro (che di fatto è ancora quella ottocentesca) deve fare in fretta i conti con queste cifre o con cifre analoghe.

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Possiamo opporci, noi Occidentali, a questa tendenza? Sì, con una bella guerra nucleare, sperando di vincerla senza essere totalmente distrutti assieme a tutto il mondo. Perché questa risposta?

Perché la potenza dell’onda del predominio dell’Occidente sul mondo è diventata incontenibile all’inizio del secolo scorso, cioè quando avevamo il controllo diretto dell’80% delle terre emerse (e il controllo di mari e cieli).

Nel 2050 il Nord America più l’Europa (senza Russia per carità, perché la Russia non ce la vogliamo! Perché i Russi sono “semiasiatici”, come diceva allora la Buonanima e ora dice la Nato) questo Occidente avrà il 10% della popolazione mondiale. Un niente. Agli inizi del Novecento eravamo il 28% e godevamo dei benefici del sopra ricordato predominio. Oggi non è più così.

Questo chi si occupa di politica non lo sa o non lo dice. Ad ogni modo ci viene chiesto di non tenerne conto, di guardare il dito e non la Luna.

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La forza economica di un Paese conta, ma fino a un certo punto. Quando la Gran Bretagna conquistò l’India, i conquistati avevano circa il 22,6% del PIL mondiale e i conquistatori solo l’1,9%. Ma i conquistatori, come tutti gli Europei, erano superiori in quella che Immanuel Wallerstein ha definito “l’arte criminale”, cioè la capacità di fare la guerra.

Oggi non è più così e ce ne disperiamo. Solo noi dobbiamo avere la possibilità di fare la guerra. Chi ci contesta questo primato, anche solo indirettamente, è ipso facto uno “stato canaglia”.

Solo noi possiamo massacrare! Se qualcuno non ce lo permette è un criminale. Prendete ad esempio Israele. Ieri ha fucilato altre decine di Palestinesi che se ne stavano nel loro territorio (o meglio, nel loro lager). Israele può avere centinaia di bombe atomiche illegali (cioè non dichiarate – le stime variano da 80 a 300 testate), ma può strillare che l’Iran arricchisce l’uranio al 20% (anche se le bombe atomiche usano solitamente uranio arricchito all’85%). Può occupare territori e colonizzarli (contro il diritto internazionale), reprimendo ed espellendo i loro abitanti legittimi. Ma può contemporaneamente scatenarsi in accuse di “illegalità internazionale” e “tirannia” contro altri Paesi. Perché parlo di Israele? Perché Israele siamo tutti noi, Occidentali. 

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La nostra credibilità internazionale è ridotta a zero. Possiamo firmare patti di amicizia con un Paese e subito dopo bombardarlo (Libia). Possiamo assegnare onorificenze a un capo di Stato e poi cercare di deporlo e, verosimilmente, assassinarlo, come è sempre successo, assieme al suo popolo armando fino ai denti fanatici tagliagole di ogni parte del mondo (ricordate la Legion d’Onore di Sarkozy e la medaglia di Cavaliere di Gran Croce di Napolitano a Bashar al Assad?).

Trump può ritirarsi dal trattato nucleare con l’Iran, voluto dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, per il semplice motivo che “va contro gli interessi strategici degli Stati Uniti”, mica per altro. E per far gongolare Israele e Arabia Saudita, due stati specchiati per moderazione, amore per la pace, tolleranza e rispetto dei diritti umani.

E questa è la punta di diamante dell’Occidente, non un’eccezione. Un avamposto, un preludio, perché l’Occidente è oggi convergente su USA, Israele e Arabia Saudita, pur tra borbottii, distinguo, mal di pancia e tentativi di far finta di non esistere. E lì converge perché è sul viale del tramonto. E il viale del tramonto lì finisce. Lì finisce un Occidente che non si vuole adattare, che preferisce sterminare e rischiare l’olocausto nucleare che cedere di una virgola, che fare i conti con la nuova realtà.

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E ritorniamo alla nostra politica. Quel che succede da noi è parte integrante del tutto. In Germania sono stati mesi senza sapere come aggiustare i risultati elettorali. Ero a Berlino il giorno delle elezioni, sentii Schulz dichiarare “Mai più una Grosse Koalition con la Merkel” e qualcuno accanto a me, ero nella sede elettorale della Linke, sentì il mio commento ad alta voce: “Bugiardo!”.

E infatti ecco dopo pochi mesi la nuova Grosse Koalition. Perché la Grosse Koalition è un patto del Nazzareno. Non può essere rescisso a meno che i suoi firmatari non vogliano essere (anche fisicamente) rescissi loro.

Trump è frutto del viale del tramonto, anche lui messo sotto controllo da quelli che inforcano le cesoie per recidere gli attributi a quelli che minacciano di rescindere il sistema di potere dei tirannosauri. Ferocissimi ma destinati all’estinzione, perché non adattivi (e su questo concetto c’è un’intera antologia di articoli di Pierluigi Fagan, ad esempio).

Anche Macron è frutto del viale del tramonto. Un OGM incolore e insapore, sviluppato in vitro nei laboratori di Soros e della Goldman Sachs perché la società francese stava per esprimere tutt’altro (Le Pen e Mélenchon).

Salvini e Di Maio, possono quindi avere tutti i difetti del mondo, ma falliranno per un altro motivo: perché devono fallire, dove il verbo “dovere” va inteso in tutta la sua pienezza semantica di obbligo, costrizione e destino.

Quindi dovranno fallire, avessero pure tutti i pregi di questo mondo. A meno che accettino di essere politicamente commissariati, cioè, banalmente, di tradire ogni singola promessa che disturba l’apparato di potere dell’élite dei tirannosauri, per quanto vaga e raffazzonata possa essere stata.

La Magistratura ha già dato il proprio contributo, con ammirevole tempestività: il Cavaliere è di nuovo eleggibile.

E il presidente Mattarella aveva già avvertito poco prima: si farà il governo che voglio io, cioè che altri, che non nomino, mi hanno detto che voglio io. E per farlo ha tirato in ballo Luigi Einaudi. Un riferimento improprio ma che ha fatto andare in brodo di giuggiole i cantori dei patti irrescindibili, come La Repubblica: “Mattarella cita Einaudi e l’incarico a Pella: fu il primo governo del presidente”. Già, ma la differenza con  l’incarico a Mario Monti, tanto per fare uno degli esempi recenti, e la differenza quindi con ciò che La Repubblica sottintende e auspica, è che Giuseppe Pella era un esponente della Democrazia Cristiana cioè del partito che aveva vinto le elezioni. Oggi la minaccia di Mattarella è quella di dare l’incarico a chi vuole lui, indipendentemente da come il “popolo sovrano” si è espresso. Perché il popolo è sovrano finché le cose “vanno per il verso giusto”. Poi scatta il commissariamento, lo stato d’eccezione, e l’Italia si scopre essere una repubblica presidenziale senza nemmeno il privilegio di poter eleggere il presidente.

Eleggere? Ma che sto dicendo?

Trump, rimpasto dopo rimpasto, ha “dimenticato” le sue promesse e formato un gabinetto di guerra. Riguardate le cifre di sopra e mettetevi nei loro panni, cioè nei panni (o nei denti) dei tirannosauri dell’1%. Ci siamo capiti?

Putin, come risposta, farà altrettanto, per difendere la Russia. E noi stiamo qui a giocare con Di Maio e Salvini?

Lo capisce Di Maio?

Movimento 5 Stelle! Di’ qualcosa di populista!

 

 

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