di Piotr
Un report pubblicato dal Transnational Institute, dal FIAN International e da Agroecopolis ad Amsterdam, Heidelberg, Atene/Salonicco nel novembre scorso, ci offre un angoscioso quadro delle conseguenze della devastazioni procurate dal “salvataggio” (quanta ipocrisia nelle parole!) della Grecia da parte della Troika (Democracy Not For Sale: The Struggle for Food Sovereignty in the Age of Austerity in Greece ).
Ecco una brevissima sintesi del lungo documento basato su ricerche sul campo e su analisi statistiche e macroeconomiche:
1) Si stima che il 38,9% della popolazione rurale della Grecia sia a rischio di povertà.
2) Circa il 40% dei bambini greci vivono in uno stato di privazione sociale e materiale.
3) La disoccupazione rurale è salita dal 7% nel 2008 al 25% nel 2013, mentre i redditi rurali pro-capite sono scesi del 23,5% durante lo stesso periodo.
4) L’insicurezza alimentare nel periodo 2008-2016 è raddoppiata: dal 7% al 14%.
Che dire?
Innanzitutto questo report fa scattare un moto di rabbia se si pensa che questa situazione è dovuta essenzialmente alla rapinosità finanziaria delle grandi banche tedesche inzeppate all’inverosimile di titoli tossici e alla forsennata ricerca di ricchezza da rapinare esattamente come un vampiro è costretto a succhiare in continuazione sangue fresco, mentre dopo la II Guerra Mondiale la Grecia aveva condonato i debiti di guerra della Germania.
Come in diversi abbiamo più volte ripetuto, la Germania è totalmente incapace di essere uno stato egemone, uno stato pivot (in senso capitalistico, ovviamente). Riesce solo ad essere dominante. Detto in Italiano corrente, la Germania riesce a farsi esclusivamente i cazzi suoi senza nessuna capacità di avere una visione più ampia. Se le concedi un dito ti sbrana tutto il braccio. E in più dà la colpa a te.
Miserabili ipocriti i governanti tedeschi e gli autocrati di Bruxelles e tutta la presstitute europea, a partire da quella italiana, che dicevano che la colpa era dei Greci che vivevano “al di sopra dei loro mezzi”! A parte i conti taroccati da Goldman Sachs per far entrare a tutti i costi Atene nell’Euro, la verità è che i Greci osavano vivere oltre ciò che è era consentito dalla rapina finanziaria delle banche tedesche e francesi. Questa è la verità. Oggi però sappiamo come è giusto che debbano vivere i Greci: col 40% dei bambini in stato di privazione. Back to Dickens!
E mi dispiace, perché ammiro la cultura tedesca e trovo gradevole la popolazione della Germania. Ma la cultura e la gradevolezza non proteggono contro il fanatismo – delle élite – dell’accumulazione. Lo si è visto abbondantemente nella storia.
Il paradosso tragico e dolente è che l’ideale di una Europa unita – che, beninteso, è un mio ideale – è in corso di distruzione, o più precisamente di devastazione, principalmente per colpa del nazionalismo predatorio tedesco mentre sciagurati/ipocriti/ignoranti/superficiali di destra e di sinistra accusano di “nazionalismo” i cosiddetti “sovranisti”.
La cosa la reputo inaccettabile/idiota. E il bello è che la considero inaccettabile/idiota anche se io non sono un sovranista. E’ una questione di decenza logica, storica ed etica.
Io non sono sovranista nel senso che non penso che la soluzione della crisi stia nel chiudere le frontiere del Brennero e di Ventimiglia e ritornare a una – per me impossibile – Lira keynesiana (men che meno penso che la soluzione dei problemi risieda nel maltrattamento degli immigrati e nel razzismo – cosa per me inaccettabile persino se, paradossalmente, portasse a qualche risultato).
Nemmeno Trump riesce a fare una cosa del genere.
Questo tipo di sovranismo – ammesso che non si vada a ficcare in una pericolosissima lotta tra interessi (capitalistici) nazionali contrapposti (parlare di “borghesie nazionali” è da tempo fuori luogo) – dopo qualche inevitabile contraccolpo (che non è ciò che mi preoccupa di più), ci farebbe vivacchiare per un po’ in attesa di una crisi ancora più ampia. Sarebbe, per dirla con Montale, una primavera che non fiorisce, sperando che non si tramuti, in the process, in una “piagata primavera”.
La soluzione, questo è quanto penso nel profondo del cuore e della ragione, sta invece nella scelta a cui ci aveva messo di fronte Rosa Luxemburg: Socialismo o barbarie.
Credetemi, non sono un estremista, ho cercato seriamente di capire se è praticabile un’alternativa più moderata, di compromesso. Ne ho valutate e rivalutate tante. Ma ho dovuto rinunciare: non ce ne sono. Hanno tutte il fiato corto – anzi man mano sempre più corto – e preludono a catastrofi via via maggiori.
Il report di cui stiamo discutendo mi porta a ragionare anche su un’altra questione.
Un aspetto che viene sempre non dico trascurato, ma del tutto ignorato, anche nelle analisi “marxiste” è la materialissima questione di “regimi alimentari” che cambiano drasticamente durante i grandi momenti di transizione e che informano le loro risoluzioni.
In questo caso è registrato un impoverimento del regime alimentare greco, ma il discorso, anche se in modo per ora meno drammatico, potrebbe essere esteso a buona parte dell’Europa.
Di fatto siamo di fronte a una riproduzione della “accumulazione originaria” descritta da Marx nel I Libro del Capitale. L’aggettivo “originaria” usato da questo grande pensatore e rivoluzionario, che io continuo a leggere e a rileggere, è molto fuorviante. Quell’accumulazione che “grondava sangue e sporcizia dalla testa ai piedi” era “originaria” solo se si parlava “della genesi del capitalismo nell’Europa occidentale” (già negli Stati Uniti le cose andarono diversamente). Nella seconda maturità Marx scriveva infatti che chi gli attribuiva di aver trovato “una teoria storico-filosofica del percorso universale fatalmente imposto a tutti i popoli, indipendentemente dalle circostanze storiche in cui si trovano posti”, gli faceva “al tempo stesso troppo onore e troppo torto” (da una lettera del 1877 alla redazione della della rivista russa Otečestvennye Zapiski).
Tuttavia anche limitandosi all’Europa occidentale e solo fino ai tempi di Marx, ora sappiamo che non bisogna trascurare importantissimi fattori internazionali, come la rapina del Bengala e, per l’appunto, l’apporto dei domini dell’Impero Britannico al “regime alimentare” nel centro capitalistico metropolitano che permise, abbassando il valore del capitale variabile, di alzare i tassi di profitto, cosa che all’interno di quella piccola isola piazzata nei mari del Nord non si sarebbe assolutamente potuta fare.
E’ una delle grosse contraddizioni che non riesce – e probabilmente non riuscirà – a risolvere Donald Trump: privarsi, per fare un esempio d’attualità, del contributo delle merci cinesi al “regime alimentare” in senso lato del proletariato e della classe media americani vuol dire aumentare il valore del capitale variabile, deprimere ancor più i profitti (oltre che il commercio) e come bottom line impedire la re-industrializzazione statunitense. Che però non può avvenire in mancanza di dazi protettivi. LoL!
In realtà c’è poco da ridere, perché una soluzione c’è: la rapina a mano armata.
Accumulare grondando sangue e sporcizia dalla testa ai piedi e a spese dei Paesi all’esterno del circuito centrale di valorizzazione (che è costantemente ridefinito in termini geografici e politici, pur scontando inerzie storiche e forze d’attrito) è una fase ricorsiva nella storia del capitalismo, che procede per rapina-sviluppo-crisi-rapina-sviluppo-crisi … dove la rapina, lo sviluppo e la crisi si possono intrecciare, non sono necessariamente fasi temporalmente consecutive e nemmeno logicamente consecutive.
«… o il trionfo dell’imperialismo e il collasso di ogni civilizzazione come nell’antica Roma, e dunque spopolamento, desolazione, degenerazione – un enorme cimitero. Oppure la vittoria del socialismo, il che significa la cosciente e attiva lotta del proletariato internazionale contro l’imperialismo ed i suoi metodi di guerra.»
«entweder Übergang zum Sozialismus oder Rückfall in die Barbarei»
Rosa Luxemburg, 1915, dal carcere.
Nel 1919 Rosa fu rapita e assassinata dai Freikorps agli ordini dei capi del Partito Socialdemocratico Tedesco al governo nella Repubblica di Weimar, tra i quali il ministro della Difesa, Gustav Noske, interventista durante la I Guerra Mondiale e sostenitore del colonialismo tedesco.
«Ora è sparita anche la Rosa rossa.
Dov’è sepolta non si sa.
Siccome disse ai poveri la verità
I ricchi l’hanno spedita nell’aldilà»
Bertolt Brecht, Epitaffio, 1919
Tra poco più di un mese cadrà il centenario del sacrificio di Rosa.