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L'egemonia artistica di Corviale

L'egemonia artistica di Corviale
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16 Luglio 2010 - 08.14


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corvialebn_rmdi Stefano Serafini
Chi ha paura di abbattere l”ecomostro romano Nuovo Corviale, di proprietà dell”Azienda per l”edilizia pubblica? Lager “popolare”, esperimento fallito e tragico dello spirito classista nella periferia romana (due stecche a ballatoio lunghe un chilometro per 7-8500 abitanti, acqua sulle pareti interne, cemento brutalista in avanzato stato di compromissione, criminalità e abusivismo), che qualche furbo amministratore, consapevole degli stratosferici costi di manutenzione, vorrebbe rovesciare completamente sulle spalle degli inquilini con una svendita avvelenata, il “mostro” è anche un simbolo ideologico.


Se ne parlò fin da prima della sua realizzazione, negli anni ”70: Nuovo Corviale è un errore dagli incalcolabili costi economici e sociali. Dati alla mano, abbatterlo conviene a tutti, e negli ultimi mesi l”idea della dinamite è tornata con forza a farsi sentire. La reazione di alcune figure del potere culturale nazionale, sebbene in modo strisciante, badando bene a non entrare nel merito della questione, si è attivata subito: pur di salvare il mostro, lasciandovi murati dentro gli abitanti, hanno proposto di vender loro gli appartamenti sottocosto (e che se la vedano poi da proprietari con il crollo delle strutture); evocato la resistenza antifascista del Karl Marx Hof di Vienna; ipotizzato un cambio di destinazione d”uso; persino inventato un “parco dell”arte” intorno alle stecche.

Ad esempio contro l”abbattimento annunciato dall”assessorato alla casa della Regione Lazio, Giorgio Montefoschi sul Corriere della Sera ha proposto di “rivitalizzare” il Corviale occupandone i due piani del basamento con una sede universitaria. L”idea ha il fascino del paradosso, e l”eterno “ex assessore alla cultura” Renato Nicolini ci è andato a nozze: con un lapsus significativo ha aggiunto che il corpaccione del Corviale si salverà con «iniezioni di studenti» (e restauri della segnaletica). Chiede perciò di sostituire parte della sua popolazione con inquilini transeunti e di certo più allegri degli attuali residenti, gli universitari: gente giovane che va e viene, e gli rammenta i migliori anni della sua vita.

Dal canto loro Franco Nucci e Bonito Oliva hanno presentato in Campidoglio un “Parco Nomade” di installazioni artistiche con le quali cingere gaiamente il Serpentone, “per valorizzarlo”. Opere di autori non proprio a buon mercato, come Paladino, Botta, Fuksas, si succederanno insieme alle stagioni. C”è anche il comitato scientifico, che non abita, chissà perché, nelle case popolari che assisteranno alla kermesse.

Fumo per salvare a tutti i costi il simbolo (e purtroppo, col simbolo, anche gli effetti) d”un esperimento urbanistico sbagliato e terribile, in ossequio all”ideologia della classe intellettuale egemone, che definire proterva è ormai un eufemismo. Mentalità politica da deportazione-lego, colorata, spiritosa, ma non meno aberrante. Finite le brillanti citazioni sulla Vienna antifascista di Nicolini e le discettazioni sul rilancio del paesaggio di Bonito Oliva, si torna al grigiore del cemento di periferia e delle sue forme disumane, alle strutture fatiscenti, all”isolamento, a ulteriori, artificiosi esperimenti sul corpo sociale, usato come lavagnetta per il gioco del colto e buon esteta di sinistra.

Si parla d”arte per non parlare di “volgare” buon senso; per non ammettere che se i servizi del Serpentone non sono mai entrati in funzione lasciando gli inquilini nel deserto, se gli spazi abbandonati sono stati occupati, se gli abitanti “non hanno compreso” il progetto del geniale Fiorentino, se il cemento armato cede, non è colpa dei politici, delle ditte, dell”ignoranza – di tutti, insomma, tranne che dell”architetto e dei suoi ammiratori da salotto. La colpa è di un progetto ambizioso e sbagliato che nella sua arroganza di classe (sempre quella intellettuale egemone) non ha tenuto conto della vita.

Buttare altri soldi nel mercato farsesco dell”arte contemporanea, dopo i 220 milioni spesi per il Maxxi, e nelle condizioni – pagate dai suoi cittadini – in cui versa Roma, è un affronto. Di fronte a Corviale, dove la gente vive con i funghi sulle pareti di cemento sgretolate in un panopticon architettonico che divora le loro vite e milioni di euro ogni cinque-sei anni, è uno sconcio voluto.

Fonte: www.grupposalingaros.net.

 

COMMENTO di Piera Chimbili per Megachip:

Condivido la posizione di Serafini sulla questione Corviale. Conosco quel luogo: avendo lavorato per mesi nel supermercato di Casetta Mattei, quella di fronte al Serpentone era proprio la mia fermata dell”autobus.

Non ho mai visto un”anima là intorno. Pochissima gente, come se l”edificio fosse abitato da un popolo silenzioso e tumulato, isolato da molto più che qualche lembo di campagna dal resto della Capitale.

Esteticamente è qualcosa di assolutamente inaccettabile, e se c”è una cosa che ricordo con precisione sono le perdite d”acqua e le pozze che si formavano nei corridoi d”ingresso. Sulla situazione sociale là dentro non conosco abbastanza, non posso che immaginare e mettere in fila i ritagli di cronaca.

Apprezzo anche il giudizio critico di Serafini sull”arte contemporanea: egli fa riferimento ad una lobby di artisti sicuramente validi e interessanti, ma appunto appartenenti a una lobby di «soliti noti» facenti perno su Bonito Oliva, che non ho mai stimato se non per le sue mirabolanti capacità di commerciante.

Non credo che Roma abbia bisogno di pagare con soldi pubblici ulteriori contributi al nulla da parte delle loro menti, e se dovessi pensare a una riconversione – o valorizzazione – in senso artistico della struttura – e di una qualunque altra struttura – valuterei prima di tutto la possibilità di lasciare a casa le tronfie e già ben ingrassate cariatidi della Transavanguardia per dare spazio a qualcuno di meno famoso ma con idee un po” più fresche e meno dispendiose per le casse pubbliche.

Quanto al farne una residenza per studenti, nulla in contrario, anche se, mettendomi nei panni di uno studente fuori sede, non mi piacerebbe affatto abitare lì – considerando oltretutto che si trova in una posizione davvero scomoda per una qualunque delle tre università capitoline. Ve lo dice una che per due anni ha vissuto, a Bologna, in un edificio di edilizia popolare in parte utilizzato come studentato, che aveva ben altro aspetto rispetto al Corviale.

Ma in tutto ciò, la domanda cruciale, qualunque sia il destino del Corviale è: che ne sarà della gente che vi abita? Quali soluzioni alternative gli si prospetta?

Credo che quello dell”edilizia popolare in Italia sia un capitolo che davvero pochi hanno voglia e coraggio di sviscerare, nella difficoltà di ammettere il totale fallimento dell”idea che nel secondo dopoguerra animò la costruzione dei quartieri residenziali pubblici, nata con le migliori intenzioni – per carità – ma sfociata nella ben nota situazione dei quartieri-ghetto che conosciamo quando volgiamo lo sguardo su tante città italiane.

Per me il Corviale si dovrebbe abbattere, e con esso molti altri esempi di quella stessa utopia fallita miseramente, nella migliore delle ipotesi, per pura inettitudine delle amministrazioni.

Abbattere dunque, e concepire soluzioni nuove al problema della casa, che non è più solo una questione delle classi svantaggiate, da ammassare in loculi modulari e lasciar lì, isolate, a morire.

 

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