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Il nucleare fuori mercato

Il nucleare fuori mercato
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13 Gennaio 2011 - 16.19


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nucleare-megadi Paola Desai

L”industria nucleare è già tornata «fuori moda»? A guardare gli Stati uniti si direbbe proprio di sì. Solo due o tre anni fa sembrava che l”industria delle centrali elettronucleari dovesse tornare in auge, dopo decenni in cui nei paesi industriali avanzati non se ne costruivano più – negli Stati uniti non una sola nuova centrale era stata messa in ordinazione dopo l”incidente del 1979 a Three Miles Island, in Pennsylvania, dove si era verificata una parziale fusione (melt-down) del nocciolo del reattore sfiorando una catastrofe maggiore (quella avvenuta qualche anno dopo, nel 1986, nella centrale ucraina di Cernobyl).

Insomma: dopo decenni in cui le industrie produttrici di centrali elettronucleari potevano sperare di trovare commesse solo in paesi «emergenti», per lo più in Asia o nell”est europeo, l”atomo sembrava tornare alla ribalta. In Europa forse sono più che altro chiacchiere (e richieste di sovvenzioni statali), ma negli Stati uniti le prospettive sembravano davvero promettenti: negli ultimi pochi anni la Nuclear Regulatory Commission (l”ente federale di controllo) ha ricevuto richieste di autorizzazione per ben 28 nuovi reattori. Ancora dopo lo scoppio della crisi nel 2008, lo stato sembrava ben disposto a concedere sovvenzioni – il presidente Barack Obama aveva incluso il nucleare nel capitolo energia del suo piano di «stimolo» all”economia. Ora però il caso di Constellation Energy (una importante azienda che produce e distribuisce energia elettrica negli Usa) dice quanto le cose sono cambiate. Per costruire un nuovo reattore nel Maryland, Constellation aveva chiesto allo stato una garanzia sull”80% del costo dell”investimento – è una forma di assicurazione pubblica su un rischio finanziario. E il governo aveva accettato: ma in cambio della sua garanzia aveva messo una tariffa di 880 milioni, o l”11,6% dei 7,6 miliardi di dollari che l”azienda chiedeva a prestito. Constellation ha risposto che la tariffa era «scioccante», e in novembre ha definitivamente rifiutato. Almeno per ora, il nuovo reattore non si fa.

Negli ultimi mesi almeno sette costruttori hanno rinviato i loro progetti di nuovi reattori elettronucleari. Il Nuclear Energy Institute, una sorta di confindustria dei costruttori atomici, parla di «una pausa» dovuta alla situazione generale dell”economia. In effetti le coordinate sono cambiate. La domanda di elettricità era calata del 4% nel 2009 rispetto al 2007 (e anche se nel 2010 è un po” risalita, le previsioni al prossimo decennio restano sotto il picco pre-crisi). Inoltre il calo del prezzo del gas naturale ha reso l”energia atomica molto meno competitiva. In settembre Exelon, il più grande gestore di centrali nucleari negli Usa, ha rinunciato a costruire una centrale con due reattori in Texas, dicendo che manca l”incentivo economico: Exelon stima che l”energia atomica sia competitiva se il prezzo del gas sta sopra gli 8 dollari per Btu (British thermal unit, l”unità di misura standard per il gas naturale), mentre oggi costa circa la metà. Inoltre gli operatori americani contavano sull”esordio del mercato delle emissioni di carbonio: una centrale atomica, che in effetti non produce CO2 (produce ben altri reflui: scorie ad alta radioattività che hanno bisogno di essere stoccate in modo sicuro per qualche decina di migliaia d”anni) avrebbe allora potuto vendere i propri «crediti di emissione». Ma il prezzo del gas resta basso, il mercato del clima non decolla. La legge del mercato ha di nuovo messo da parte l”industria atomica.

Paola Desai
Fonte:
ilmanifesto.it


Tratto da:
comedonchisciotte.org

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