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L'Europa e il Nord Africa

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2 Marzo 2011 - 23.24


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euteurdi Franco Romanò.

Quanto sta accadendo in Nord Africa, sebbene non si possano ancora delineare quali nuovi equilibri si andranno a formare, è destinato a investire comunque l”Europa intera e non soltanto quella mediterranea. Lo si comprende dai toni allarmati, anche quando sono smentiti, dalla preoccupazione e persino da qualche tentativo di ragionare. La risposta, tuttavia, è quella di sempre: nessuna politica comunitaria, nessuna assunzione collettiva dei problemi (l”Italia ha le sue ragioni nel dire che non può affrontare da sola, con i suoi quattromila chilometri di coste, l”ondata di eventuali migrazioni di massa), immobilismo assoluto. Niente di nuovo, l”Europa non c”è, è solo un mercato comune finanziario.

Il contesto però è cambiato e se si poteva vivacchiare in qualche modo senza nulla scegliere secondo una prassi ormai consolidata, l”effetto combinato della crisi economica e delle sollevazioni del Nord Africa e in particolare la guerra civile libica, non permettono che si continui facendo gli struzzi. Infatti, quando ancora non si comprende quale sarà l”esito finale dello scontro interno al regime libico, s”affaccia l”ipotesi di un intervento militare europeo.

Ad avanzarla è il leader meno europeista, l”inglese Cameron, secondo la logica della quinta colonna statunitense, funzione storica dell”Inghilterra, ben compresa a suo tempo dal solo De Gaulle. Secondo Cameron gli europei dovrebbero sostenere il peso di una guerra che, nel contesto attuale, riporterebbe Stati Uniti e Inghilterra ad avere il controllo sul petrolio libico, dal quale erano sostanzialmente esclusi, mentre non sarebbero di certo questi stati a dover fronteggiare l”eventuale migrazione di massa. L”ipotesi d”intervento europeo, infatti, non è altro che un artificio linguistico. Non esistendo alcun esercito e nessuno strumento di difesa comune europea è evidente che sarebbero la Nato e l”Alleanza atlantica, con la copertura dell”Onu, a intervenire: non gli europei, che ne pagherebbero solo i costi sociali.

Sia che tale ipotesi passi, sia che non passi, essa è comunque destinata a rendere ancor più precari i rapporti fra i diversi stati dell”unione, ma potrebbe anche infliggere il colpo mortale allo stesso processo unitario: la crisi nordafricana, infatti, è ancora più grave della crisi balcanica del 1991-92, anche perché avviene al centro di uno scenario di guerra permanente latente e perché si somma a quella economica e sociale.

 

Tutto questo, però, apre anche possibilità nuove. L”Europa così com”è non esiste ma non può più sperare di vivacchiare: nel nuovo scenario si possono aprire più di prima contraddizioni consistenti fra i governi e all”interno degli stessi singoli stati. Un”iniziativa politica su alcuni punti chiari e comprensibili che aggreghi un fronte di resistenza che metta al centro gli interessi dei popoli europei e non quello del complesso finanziario e atlantico e cerchi di accentuare le contraddizioni che sono destinate ad aprirsi fra gli stati oggi è più possibile: l”obiettivo è quello di rilanciare un processo unitario non necessariamente globale e cioè che coinvolga tutti gli stati attualmente membri, ma anche soltanto una parte di essi che si riconosca in un percorso realmente costituente; l”alternativa a questo può essere soltanto un ritorno alla sovranità monetaria nazionale. Propongo dunque alcuni punti di discussione.

 

1) L”Europa di oggi è non è un”entità politica federale e neppure una federazione di stati, ma solo un comitato di governi senza una politica comune sui problemi nevralgici. Il suo governo reale è costituito da organizzazioni sopranazionali al di fuori di ogni controllo popolare e coordinate dalla banca centrale europea.

2) L”euro è una moneta senza stato e senza alcuna sovranità alle spalle, dunque un”aberrazione senza precedenti nella storia. Sovranità e moneta non possono essere disgiunti se non creando una condizione di continua instabilità: il dollaro non è una moneta forte per qualità intrinseche e magiche, ma soltanto perché è garantito dallo stato federale e dall”esercito statunitense.

3) Da questa situazione si può uscire o facendo un passo deciso in avanti sulla strada dell”unità politica, oppure con il ritorno alla sovranità monetaria dei singoli stati o per aree.

4) Il primo passo nella direzione dell”unità politica dei popoli europei è una costituzione, che oggi non esiste. Il trattato di Lisbona è qualcosa di meno di un brutto regolamento di condominio.

5) La costituzione europea può nascere solo da un”assemblea costituente eletta a suffragio universale diretto e con una legge proporzionale che rispetti in modo rigoroso il criterio della rappresentanza rispetto al numero di abitanti e poi ratificata per via referendaria dai popoli.

6) I passi successivi e le modalità per arrivare all”elezione di un parlamento e di un governo europeo dotato di poteri reali e non fittizi sono materia da delegare all”assemblea costituente.

7) La sovranità così ristabilita giustifica l”adozione di una moneta unica, di una banca centrale sottoposta al controllo del governo dell”unione che ridiscuta le alleanze internazionali, dotandosi di un”adeguata politica di difesa che presuppone l”esistenza di un esercito europeo con proprie strutture autonome di comando al di fuori delle alleanze attualmente sottoscritte dai singoli stati, che dovranno se mai essere ridiscusse da parte del governo dell”unione.

 

Il quadro di punti delineato si muove all”interno di un concetto di democrazia rappresentativa e di sovranità sul modello delle costituzioni borghesi che certamente non costituisce l”orizzonte ultimo della democrazia politica, ma, in mancanza dei quali, ogni discorso di sovranità è solo una parola vuota.

 

 

Franco Romanò è co-fondatore di rivista.overleft.it.

 

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