'Difendere l''acqua? Un... gioco da ragazzi' | Megachip
Top

'Difendere l''acqua? Un... gioco da ragazzi'

'Difendere l''acqua? Un... gioco da ragazzi'
Preroll

admin Modifica articolo

6 Giugno 2011 - 17.41


ATF

abbabenecomunuIntervista di Federica Grandis a Ugo Matteigruppoabele.org.

È uscito qualche settimana fa per “Manifestolibri”. E in poche pagine spiega ai bambini (ma anche ai più grandi) perché l”acqua è un bene non privatizzabile e perché è giusto dedicarsi alla sua difesa. L”acqua e i beni comuni, con le illustrazioni di Luca Paulesu, è un libro di Ugo Mattei, docente di Diritto civile all”Università di Torino, tra gli estensori dei referendum che il prossimo 12 giugno chiederanno di dire no (votando sì!) alla privatizzazione dell”acqua. Abbiamo intervistato il professor Mattei, per chiedergli se davvero la difesa dell”acqua sia…un gioco da ragazzi.


Come si riesce a parlare ai più giovani di beni comuni, diritti, collettività?
Per i ragazzi è normale pensare a come sarà il mondo fra trent”anni. Per noi adulti è molto più difficile. Noi, infatti, siamo prigionieri del brevissimo periodo, le nostre scelte ci portano a vivere sempre sul presente e a pensare al futuro come ad un tempo che si consumerà, al massimo, fra quattro o cinque anni. Se ci si mette nella prospettiva dei giovani, cose che per noi sembrano lontane, quasi utopistiche, diventano maledettamente reali.

Proprio come il pericolo della privatizzazione dell”acqua…
Esatto. Se ragioniamo in una logica di breve periodo, oggi ogni famiglia spende in media per l”acqua 250 euro all”anno. In fondo, non è poi questa gran cosa. Se però proviamo a pensare a cosa potrebbe succedere aprendo il mercato alle multinazionali dell”acqua, le cose cambiano. Se infatti, come molti sostengono, il prossimo secolo sarà segnato da un aumento delle povertà, è più che possibile che fra 20 anni l”acqua ci costerà quanto il 40% del nostro reddito, o forse anche di più. I giovani queste cose le capiscono benissimo: per loro è normale pensare con questa prospettiva temporale. E io credo che questa davvero sia la chiave del cambiamento.

Sia in questo libro sia nel rivolgersi a platee più adulte, lei sottolinea sempre l”importante differenza tra beni comuni e beni pubblici. Cos”è che li distingue?
I beni pubblici, nelle nostre categorie giuridico politiche, appartengono allo Stato, alle amministrazioni locali o ad altre comunità territoriali. Rispetto ai beni pubblici, però, il titolare può comportarsi come un proprietario privato, disponendone quasi a suo piacimento (pensiamo al caso della gestione delle spiagge). Invece un bene comune non appartiene allo Stato ma è sostanzialmente ad appartenenza diffusa: ciascuno di noi ha una sua quota o una “mini proprietà” del bene. È chiaro dunque che il bene comune non può essere gestito dallo Stato come se fosse suo, semplicemente perché dello Stato non è.

Lei è uno dei redattori dei quesiti per i quali andremo a votare il prossimo 12 giugno. Il decreto Ronchi, che i referendum chiederanno di abrogare, non mette però in discussione l”idea che l”acqua sia un bene di tutti. Cosa chiedono, nel dettaglio, i quesiti?
Chiedono che venga tolta l”obbligatorietà della privatizzazione dell”acqua entro la fine del 2011 e che venga eliminata dalla bolletta quel 7% di aliquota che pesa sui consumatori, a beneficio degli investitori privati. Chiediamo insomma che non sia più possibile una gestione privatistica dell”acqua nel nostro Paese. In quanto bene comune l”acqua non può che appartenere a tutti e quindi non è privatizzabile.

Ma in Italia si disperde il 37% di acqua. Gli investimenti privati non garantirebbero un maggior risparmio?
Si tratta di pura ideologia, come ben sa chi su questi temi si informa davvero. È vero che nel nostro Paese la dispersione è forte, ma abbiamo dati incontrovertibili che dimostrano che, a fronte di un settore pubblico privatizzato, subentrano sempre aumenti di tariffe e diminuzione degli investimenti. Non è vero che i privati impegnano più denaro, anzi: in Inghilterra, Paese nel quale l”acqua è stata privatizzata, lo scarso investimento ha peggiorato le condizioni igieniche delle tubature, fino al ritorno dell”epatite A, malattia che era stata debellata da anni. Lo stato pessimo dei nostri acquedotti non è dovuto alla gestione pubblica, sostenere questa tesi è un assurdo. A Milano, città virtuosissima da questo punto di vista, dove l”acqua è pubblica, non solo ci sono tariffe più che convenienti, ma il tasso di dispersione è il più basso in Italia. Al contrario, in Sicilia, dove l”acqua è gestita dal privato, si registra un tasso di dispersione altissimo, così come altissimi sono i prezzi delle bollette.

Qual è il compito dell”informazione per far sì che la priorità del bene comune, come principio essenziale di democrazia, venga rimessa al centro della coscienza dei cittadini?
Bisogna tornare ad occuparsi di temi reali, dei problemi veri. C”è oggi nel nostro Paese una crisi che non è soltanto economica o ecologica, ma è piuttosto una profondissima crisi etica: i rapporti tra ricchi e poveri sono sbilanciati, il pensiero critico è messo da parte, deriso, calpestato. Dobbiamo ricominciare a guardare alla verità delle cose. L”esempio che faccio sempre ai ragazzi è quello del servizio domestico, o meglio del lavoro che le mamme fanno in casa. In un certo senso i servizi essenziali resi dai beni comuni sono simili al lavoro domestico, che si nota solo quando non viene fatto. Solo quando la mamma non vi fa da mangiare, dico ai bambini, vi accorgete di quanto sia prezioso il suo lavoro. Ecco, la consapevolezza per il valore dei beni comuni può essere creata soltanto attraverso uno specifico investimento sul fronte della domanda. E” importante parlare dei beni comuni, vederli, raccontarli, e quindi capire quanto possono essere messi in crisi. E per farlo occorre un pensiero critico, una capacità di mettersi dal punto di vista di quelli che nei processi sociali perdono, non solo dalla parte di quelli che vincono. Ci serve un”informazione non condizionata, che sia a sua volta un bene comune cioè sia in grado di comportarsi come tale.

Ossia?
Abbiamo bisogno di un”informazione che rispetti i “comandamenti sacri” del bene comune: divisione del potere, libertà di accesso, mentalità ecologica, collegamento con i diritti fondamentali della persona. Quando l”informazione è questo, allora e solo allora è davvero libera.


 

Fonte: http://www.gruppoabele.org/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1761.

 

 

Native

Articoli correlati