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di Aldo Giannuli – Aldo Giannuli Blog
Con una nota di Megachip in coda all”articolo.
Bersani minaccia tuoni e fulmini se il Pdl, Casini e la Lega vanno ad un voto di maggioranza sulla legge elettorale, tagliandolo fuori. E avrebbe anche ragione, se non fosse per qualche precedente.
In primo luogo, fu il Pci-Pds (con Segni) a scatenare l”attacco unilaterale alle leggi elettorali, con lo scellerato referendum del 1993 (quello che fu un vero colpo di Stato) e per farlo teorizzò (assecondato da una compiacente Corte Costituzionale) che le leggi elettorali non sono coperte da garanzia costituzionale, neanche implicita, per cui sono modificabili come leggi ordinarie, per via referendaria o a maggioranza semplice in Parlamento. Ora che vuole?
Nel 2000, il centro sinistra votò da solo, a colpi di maggioranza, una riforma costituzionale, poi giustamente bocciata al referendum di ratifica successivo [errata corrige di Megachip in nota].
Dopo di che si è aperta la strada alle riforme costituzionali di parte, rese ancor più facili dal meccanismo maggioritario di elezione del Parlamento. Dunque, all”origine dei nostri guai costituzionali c”è il Pds prima e più ancora che la destra.
Veniamo all”oggi. La riforma elettorale che sta venendo fuori è una porcheria (lo abbiamo già detto), ma almeno può essere un passo avanti rispetto al porcellum.
Il Pd si impunta su due questioni: il premio di maggioranza ed il voto di preferenza.
Sul primo punto il Pdl e l”Udc parlano di un premio contenuto al partito di maggioranza relativa, il Pd lo vuole più ampio ed alla coalizione. Cioè, ciascuno vuole un sistema elettorale a misura delle proprie esigenze: il Pdl sa di non avere molti alleati possibili (la Lega sembra non voglia presentarsi ed appoggerebbe il Pdl dall”esterno, in cambio della Lombardia; le listarelle di Storace e c. sono poca cosa e possono confluire nel Pdl, al massimo Berlusconi potrebbe pensare a qualche lista civica ma gli altri del Pdl non sembra gliela vogliano far fare) quindi può sperare al massimo di battere il singolo Pd, ma non una coalizione Pd-Udc e magari Sel, quindi punta ad un premio al singolo partito.
Il Pd, al contrario, punta al premio di coalizione sia perché così ha più possibilità di vincere, sia perché, in questo modo, può portare sotto la sua cupola Casini e Vendola costretti ad allearsi per non rischiare di star fuori. E vuole il premio più consistente sia per poter dare qualcosa agli alleati, sia perché non è affatto sicuro di farcela ad avere i voti sufficienti a mettere insieme una maggioranza parlamentare. Facciamo un esempio: il 90% dei seggi (567 seggi) è dato proporzionalmente, il 10% è il premio di maggioranza (63 seggi), il Pd prende il 27 da solo ed il 38 con gli alleati, quindi fra i 215 ed i 220 seggi, con il premio arriva a 278-283 seggi, troppo pochi. Dunque il premio deve essere oltre il 15% per essere sicuri.
Per la stessa ragione, il Pdl, che sa di avere poche probabilità di vittoria e punta realisticamente alla prosecuzione della grande coalizione, non ha nessuna intenzione di aiutare il Pd a farcela da solo.
Le preferenze: il Pd è contrarissimo perché sostiene che “non sono trasparenti”, consentono brogli ecc. e propone il collegio uninominale a doppio turno (sempre per il discorso di costringere Udc e Sel a coalizzarsi con lui) o, in alternativa, una metà di seggi su liste bloccate, come ora, e metà nei collegi uninominali. Cioè, la metà dei candidati delle liste bloccate sono scelti dalle segreterie di partito e gli elettori non possono metterci becco e l”altra metà dei candidati nei collegi uninominali, sono scelti dalle segreterie dei partiti e gli elettori non possono dir niente. Non vi piace?
I dirigenti del Pd sono degli spregevoli bari che sperano che gli elettori non si accorgano del trucco. Tanto che si tratti di liste bloccate, tanto che si tratti di collegio uninominale, non cambia nulla, perché l”elettore votando il partito vota automaticamente i candidati o il candidato senza poter fare alcuna scelta. L”unico modo di far scegliere l”elettore è la preferenza (che, appunto, è un sinonimo di “scelta”), il resto sono giochetti da azzeccagarbugli.
Ma non vorrei che si pensasse che io reputi il Pd ed il Pdl uguali, non sia mai! Una differenza c”è: il Pdl, con le liste bloccate ha eletto le escort, il Pd con i collegi uninominali ha eletto le mogli dei dirigenti (volete che faccia la lista?), gli amici e qualche amichetta. E non dite che non riconosco le differenze!
Ma, se si tratta di dare un premio tale da garantire la maggioranza assoluta dei seggi al vincitore (e Bersani sta già provandosi la corona) e di rifare un parlamento di nominati, lacchè e privatissimi amici, allora, perché mai dovremmo cambiare il porcellum che va benissimo cosi come è? Garantisce il 54% dei seggi alla Camera, anche se la coalizione che arriva per prima prende solo il 25%, permette di eleggere chi meglio si crede, ha l”unica pecca di non garantire automaticamente la maggioranza al Senato, ma lì si può rimediare raschiando il fondo del barile con gruppi locali o comperando qualche senatore in libera vendita (avremo un gruppo di “responsabili di sinistra”?).
E poi, se Grillo, Di Pietro e non allineati vari, prendono il 15% dei seggi, la coalizione Pd ha il 54%, questo significa che alle opposizioni di destra vanno non più del 30% dei seggi e, dato che le due opposizioni non sono coalizzabili, i vincitori possono permettersi il lusso di non mollare neanche una presidenza di commissione e, comunque, di fare il bello ed il cattivo tempo su tutto. Cosa desiderare di meglio?
Dunque, diciamocelo papale papale: il Pd non vuole fare nessuna riforma, vuole tenersi il porcellum perché medita di vincere le elezioni con quello.
Al solito, quando si tocca la corda dei meccanismi della democrazia, gli eredi del Pci, con al seguito la vecchia sinistra Dc, danno il meglio di sé.
In tutto questo, però, c”è un punto da chiarire: ma perché Napolitano, che viene dal Pd, si batte con tanta determinazione per spingere alla riforma elettorale e in direzione opposta al suo ex partito? Per di più, questo avviene in palese contrasto con la Costituzione, per la quale il Presidente non ha alcuna attribuzione in materia di calendario parlamentare e di leggi elettorali. Anzi, la materia elettorale dovrebbe essere prerogativa rigorosamente esclusiva del legislativo (al punto che è esplicitamente sottratta alla decretazione di urgenza).
Il Presidente può inviare un messaggio alle Camere e, nei limiti del suo potere di esternazione, può segnalare l”opportunità di qualche provvedimento, può non firmare una legge se ritiene che sia non conforme alla Costituzione, ma questo non significa affatto che possa fare un pressing quotidiano, per di più esprimendo preferenze di merito ed invitare a decidere a maggioranza (e su un terreno sul quale, semmai, sarebbe d”obbligo la ricerca della condivisione).
Ma lasciamo perdere le questioni di correttezza costituzionale (Napolitano, il peggior Presidente della storia repubblicana, ci ha abituati anche a cose peggiori), perché Napolitano la prende così calda da entrare in rotta di collisione con il suo partito? Semplice: perché vuole che il suo successore sia Monti e che prosegua la “strana maggioranza”, perché questo gli chiede l” “Europa”. È la prosecuzione di una strada iniziata in autunno con il licenziamento (peraltro meritatissimo) di Berlusconi e la nascita del governo Monti che, da soluzione di emergenza, si cerca di trasformare in una formula di lunga durata (ma su questo torneremo).
E per fare questo, occorre che nessuno schieramento “vinca” le elezioni, cioè abbia i voti per governare da solo: il semi-proporzionale che si cerca di far passare è funzionale solo alla “grande maggioranza”, dunque all”annullamento politico del Parlamento.
Intendiamoci: sono un convinto fautore della proporzionale e quindi sono contrario a qualsiasi soluzione maggioritaria, anche perché i sistemi elettorali non si scelgono sui bisogni contingenti, ma come regole destinate a sopravvivere a maggioranze e situazioni momentanee. Ma questo non è il ritorno al proporzionale, quanto un pasticcio che deve garantire i primi due contendenti, chiudendo le porte ad ogni nuovo arrivato.
Il punto è che i partiti (e la sinistra più degli altri) hanno dimenticato come si fa a raccogliere il consenso e si affidano all”ortopedia dei sistemi elettorali. Particolarmente opportunistico, in questo senso, ci sembra il comportamento del Pd che, anzicchè chiedersi come mai non riesca a crescere elettoralmente, dopo un disastro biblico come l”ultimo governo Berlusconi, pensa di uscirsene con qualche furbata a gioco delle tre carte.
Peraltro, al posto dei dirigenti del Pd non saremmo poi così sicuri di vincere le elezioni, soprattutto se si arrivasse a primavera. C”è una strana aria. Il ritorno di Berlusconi non riesce a gonfiare le vele del Pdl che resta in crisi, ma c”è una massa di elettori di destra che non desidera la vittoria del Pd e dei suoi ed è alla ricerca di qualcosa di più decente del vecchio e impresentabile Cavaliere. Si comincia a parlare di lista Monti (anche se l”interessato, che sta studiando da inquilino del Quirinale, non vuol sentirne parlare), c”è il solito Cordero che di possibilità per ora non ne ha, ma che potrebbe confluire in una formazione più ampia, nell”ombra c”è sempre Passera, poi, se la cosa prende corpo, possono venire a ondate successive l”Udc, Comunione e Liberazione (che non ha più interesse a restare in un centro destra che non gli garantisce più la Lombardia), Scajola, Pisanu, Fini, Rutelli e -perché no?!- Fioroni, Renzi.
Anche se non tutti questi pezzi dovessero rispondere all”appello, potrebbe venir fuori un competitore credibile, anche perché il Pd deve vedersela sull”altro fianco con Grillo, Di Pietro, forse Vendola e questi trucchi da taccheggiatore d”autobus non aiutano, anzi.
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Fonte: http://www.aldogiannuli.it/2012/07/legge-elettorale-2/
NOTA
L”articolo, che complessivamente argomenta in modo dettagliato gli scenari delle riforme elettorali e del contesto costituzionale, contiene tuttavia un”inesattezza (peraltro parzialmente emendata nei commenti): la riforma costituzionale varata dal centrosinistra con una maggioranza stretta non fu nel 2000 ma nel 2001, sul finire della XIII Legislatura, e non fu respinta da un successivo referendum, bensì confermata, sebbene con un”affluenza alle urne di appena il 34,1 per cento del corpo elettorale (i SI del referendum del 7 ottobre 2001 furono il 64,2 per cento).
Fu invece respinta dal referendum confermativo del 25-26 giugno 2006 la successiva riforma costituzionale approvata dalla maggioranza di centrodestra: con un”affluenza del 53,7 per cento, prevalse il NO nella misura del 61,7 per cento.
(Redazione di Megachip)
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