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17 Ottobre 2012 - 13.53


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«Il cambiamento climatico è solo un indicatore parziale di una più complessa crisi ambientale e dell”umanità»

caveri mercalli 20121017

di Luciano CaveriLuciano Caveri Blog

Mi sono molto divertito ad occuparmi, con l”aiuto del mio vecchio amico Luca Mercalli (oggi personalità scientifica e personaggio televisivo come imbattibile divulgatore), a proporre e a poi a scrivere – come dicevo a due mani – un rapporto al “Comitato delle Regioni” sui cambiamenti climatici nelle zone montane in Europa.

È stato un lungo percorso fatto di incontri politici e tecnici con decisori di vario genere e associazioni le più diverse, culminato con un rapporto votato due giorni fa all”unanimità e con un bel dibattito sui cambiamenti climatici che ho in parte presieduto. Tutto ciò mi ha consentito di approfondire un tema importante per la Terra tutta intera e per quei territori di montagna così pieni di problemi comuni e di affinità fra loro.

Ho ricordato qualche volta nei diversi confronti come se le Alpi sono, fin dalla notte dei tempi, oggetto di cambiamenti incredibili sino ad avere i territori attuali, è altrettanto vero che nessuna generazione come avviene con quelle attuali hanno visto nella propria vita cambiamenti così forti e in più causati in larga parte per mano di noi esseri umani.

Con Luca – lo dico con gran divertimento – siamo stati un team affiatato e l”esito, cui si è aggiunto qualche emendamento d”aula, è riassumibile così:

  • Negli ultimi anni si è accumulata un”ampia letteratura scientifica, numerosi documenti politici e progetti scientifici nell”Unione europea, che evidenziano come le regioni di montagna siano altamente sensibili ai cambiamenti climatici, in quanto riuniscono in una ristretta area ambienti differenti per quota, esposizione e influenza delle circolazioni atmosferiche.
  • Le aree montane sono forzieri di biodiversità minacciati dal cambiamento rapido del clima: di tutti i siti “Natura 2000” il 43 per cento si trova nelle zone di montagna e 118 delle 1.148 specie elencate negli allegati II e IV della “Direttiva Habitat” sono legate ad ambienti montani.
  • Variazioni climatiche poco percepibili nelle zone di pianura vengono amplificate nelle aree montane e assumono un valore di diagnosi precoce dell”evoluzione climatica a macroscala, costituendo un”eccezionale fonte di osservazione per la ricerca scientifica e un banco di prova per lo sviluppo e la valutazione delle politiche di adattamento.
  • I cambiamenti climatici sono già in atto e causano: incremento del rischio idrogeologico (alluvioni, frane) e aumento della vulnerabilità delle persone e delle infrastrutture; riduzione della disponibilità di acqua soprattutto in estate (anche nei territori adiacenti non montani); cambiamento del regime delle portate dei fiumi (nella regione alpina è attesa una maggior frequenza di piene invernali e siccità estive); riduzione dei ghiacciai (dal 1850 i ghiacciai alpini hanno perso circa due terzi del loro volume con una netta accelerazione dopo il 1985); riduzione del permafrost; riduzione della durata del manto nevoso soprattutto a quote inferiori ai 1500 metri; cambiamento di frequenza delle valanghe, minaccia alla biodiversità e migrazioni vegetali e animali; cambiamenti nell”economia del turismo invernale ed estivo e della produzione di energia idroelettrica; incertezze nella produzione agricola e danni alla selvicoltura. La sensibilità dell”ambiente alpino a questa rapida evoluzione climatica ne fa una zona di “handicap permanente”. L”aumento di temperatura rilevato negli ultimi 150 anni sulle Alpi (+1,5 °C) è doppio rispetto alla media mondiale di +0,7 °C.
  • Le tradizioni e le culture di montagna si fondano sull”importante concetto della consapevolezza dei limiti ambientali. Le relazioni con gli stretti vincoli fisici del territorio hanno permesso di elaborare nel tempo raffinati criteri di sostenibilità e di uso razionale delle risorse. Questi valori di fondo possono essere integrati in una visione moderna attraverso l”aiuto delle nuove tecnologie, producendo conoscenza e modelli di sviluppo che siano utili non solo alle stesse aree di montagna, ma anche alle zone periferiche, e in molti casi possono assumere valore universale.
  • Il cambiamento climatico sfiderà le nostre capacità di adattamento più di ogni altro ostacolo che la nostra specie abbia mai affrontato, tuttavia è solo un indicatore parziale di una più complessa crisi ambientale e dell”umanità che interessa anche: disponibilità di risorse naturali rinnovabili (foreste, risorse ittiche, prelievo di biomassa); riduzione della biodiversità; fragilità della produzione alimentare (elevato costo energetico fossile degli alimenti, riduzione del suolo coltivabile, squilibrio dei cicli di carbonio, azoto e fosforo); riduzione della disponibilità di risorse minerarie; riduzione della disponibilità di energia fossile a basso costo (picco del petrolio); inquinamento dell”aria, dell”acqua, dei suoli e accumulo di rifiuti non biodegradabili; aumento demografico e flussi migratori (anche dovuti ai cambiamenti climatici).

Di conseguenza abbiamo provato a porci degli obiettivi:

  • Favorire l”integrazione dell”adattamento ai cambiamenti climatici in un più ampio progetto di aumento della resilienza individuale e collettiva che tenga conto di tutte le criticità ambientali, energetiche e sociali inevitabilmente interconnesse.
  • L”adattamento è una questione prettamente locale, differenziata secondo le specificità geografiche, demografiche e socioeconomiche, come sancito dall”articolo 174 del Trattato di Lisbona con la “coesione territoriale”.
  • Si prevedano politiche di miglioramento dell”accesso e della fornitura di servizi d”interesse generale nelle zone montane.

Ancora più in pillole bisogna perseguire:

  • Il raggiungimento della massima efficienza energetica di edifici nuovi e riqualificazione di quelli esistenti.
  • L”introduzione di energie rinnovabili a seconda delle caratteristiche del territorio (solare, termico e fotovoltaico, eolico, idroelettrico, biomassa), fino al raggiungimento, ove possibile, dell”autosufficienza energetica.
  • La necessità di piani energetici regionali integrati, gestione degli invasi idroelettrici di pompaggio in funzione di stoccaggio della produzione fotovoltaica.
  • La promozione di audit energetici a scala comunale e regionale.
  • La riduzione dei flussi di energia e materia nelle comunità locali a parità di standard di vita.
  • La riduzione della produzione di rifiuti e massima riciclabilità, incentivo alla produzione di compost domestico da rifiuti organici.
  • La riattivazione delle filiere alimentari locali: agricoltura e allevamento di qualità per sostenere principalmente il consumo sul posto e il commercio per i turisti.
  • La gestione forestale regolamentata in relazione al prelievo di biomassa legnosa a fini energetici e da costruzione e attenta alle pressioni derivanti dai cambiamenti climatici.
  • Il dimensionamento degli impianti di produzione di calore da biomassa non superiore alla producibilità forestale annuale.
  • Il mantenimento delle foreste di protezione.
  • La forte limitazione del consumo di suolo per edilizia e infrastrutture.
  • La riduzione delle esigenze di mobilità attraverso il potenziamento delle reti informatiche e le ICT, i servizi informatizzati e il telelavoro (che permetterebbero anche il ripopolamento di zone di montagna abbandonate e una miglior fruizione turistica).
  • La promozione di turismo ambientalmente responsabile; la creazione di un osservatorio europeo del turismo, sviluppo dell”agriturismo.

Lascio altre parti meno significative, ma che indicano alcune strade che andranno intraprese a fronte di cambiamenti reali che incideranno sulle nostre vite.

 

(11 ottobre 2012)

Fonte: http://www.lucianocaveri.com/blog/2012/10/11/team-con-luca

 

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