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Mobilitiamoci per il clima. CCS, la “cattura” di CO2

Mobilitiamoci per il clima. CCS, la “cattura” di CO2
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7 Novembre 2012 - 14.49


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CO2 20121107

di Giovanna Tinè DailyStorm

Questa settimana parliamo di un”altra di quelle che abbiamo definito “false soluzioni” per combattere il riscaldamento globale: la CCS, o “cattura e stoccaggio di CO2“. E lo facciamo approfittando della recente pubblicazione, il 10 ottobre scorso, del rapporto The Global Status of CCS: 2012, a cura del Global CCS Institute, ente il cui scopo è promuovere l”adozione di tecnologie CCS – definite come “soluzione-chiave per mitigare i cambiamenti climatici e fornire sicurezza energetica” – al quale partecipano governi (tra cui quello italiano), università, enti di ricerca, aziende e multinazionali dalla “nota” sensibilità ambientale quali Enel, Halliburton o ExxonMobil, insieme ad altre poco rassicuranti sigle del calibro di JPMorgan Chase (la società finanziaria legata alla truffa dei mutui subprime, per intenderci).

CHE COSA E” LA CCS? – Si tratta di una tecnologia che permette di isolare la CO2prodotta a livello industriale catturandola, comprimendola e trasportandola fino al luogo dove verrà stoccata, iniettandola in formazioni rocciose ad 1 km o più di profondità al di sotto la superficie terrestre. L”idea dei sostenitori è che questa tecnologia vada applicata da qui al 2020 su circa 130 impianti definiti “LSIP” (large-scale integrated projects), ovvero centrali a carbone che producano almeno 800.000 tonnellate di CO2l”anno o altri impianti industriali che ne producano almeno 400.000. L”obiettivo? “De-carbonizzare” l”industria e raggiungere entro il 2020 il famoso traguardo distabilizzazione della temperatura terrestre intorno ai 2°C di aumento rispetto all”era pre-industriale.

LO STATO DELL”ARTE – Al momento nel mondo sono attivi 8 impianti CCS (4 negli USA, 2 in Norvegia, 1 in Canada e 1 in Algeria), e altri 8 sono in costruzione (4 negli USA, 3 in Canada e 1 in Australia). Una realtà ben diversa da quella auspicata dal Global CCS Insitute, e alla quale va aggiunto il dato degli 8 progetti annullati nel 2011 perché antieconomici o privi di adeguate regolamentazioni sullo stoccaggio.

LE RICHIESTE DI PARTE – I sostenitori della CCS, quindi, si appellano ai governiperché rendano appetibili gli investimenti privati in questo settore attraverso incentivi e finanziamenti. Parallelamente, chiedono che alla COP 18 di Doha, di cui abbiamo già parlato più volte, si faciliti l”inclusione dei progetti CCS nel Meccanismo di Sviluppo Pulito (CDM), attraverso il quale le aziende che applicano la “virtuosa” tecnologia CCS ai propri impianti potrebbero ottenere in cambio crediti di carbonio, per poter continuare ad inquinare. Infine, auspicano che la legislazione sull”inquinamento dei mari venga ulteriormente modificata per non creare ostacoli allo stoccaggio della CO2 in formazioni geologiche sotto il fondale marino (tipologia di stoccaggio prevista, ad esempio, dal progetto – bloccato – di riconversione a carbone della centrale di Porto Tolle, in Veneto).

PERCHE” LA CCS E” UNA FALSA SOLUZIONE – Il primo problema è quello della sicurezza: siamo davvero certi che questi depositi sotterranei di CO2 siano affidabili? E che lo rimarranno nel futuro? L”inaffidabilità dei siti di stoccaggio delle scorie nucleari non ci ha insegnato nulla? Già sappiamo difughe di CO2 in acque e suoli vicini ai depositi, immaginiamo il pericolo moltiplicato per il numero di depositi che 130 impianti, non 8, comporterebbero in giro per il mondo. Per non parlare delle garanzie di una gestione corretta del pericolo ambientale: Fukushima docet. Il secondo problema riguarda gli altissimi consumi di acqua ed energia che le centrali a carbone con tecnologia CCS richiedono. Infine, lo abbiamo già detto, ci sono i costi di realizzazione degli impianti. Per chi cercasse maggiori dettagli tecnici, consigliamo il rapporto di Greenpeace che già nel 2008 evidenziava le criticità della CCS.

CUI PRODEST? – Siamo sicuri dunque che la CCS sia un “affare” per l”ambiente? O lo sarebbe solo per le grandi industrie? Un esempio per tutti: uno degli 8 progetti in fase di attuazione, che il rapporto del Global CCS Institute porta come esempio virtuoso di cooperazione pubblico-privato (con un fiume di soldi pubblici), è il “Quest”, della Shell, che stoccherà la CO2 prodotta dall”estrazione in Alberta (Canada) delle sabbie bituminose dell”Athabasca Oil Sands Project (joint venture tra Shell, Chevron e Marathon Oil). Un business – in fase di ulteriore espansione – osteggiato in tutti i modi dalle comunità locali che vedono quotidianamente il proprio territorio depredato e inquinato in modo massiccio da una politica estrattiva assolutamente invasiva sia dal punto di vista ambientale che da quello sociale, e cui la Shell vorrebbe dare una parvenza di puliziasotterrando la CO2 emessa. Guadagnando nel frattempo permessi per inquinare.

(6 novembre 2012)

Fonte: http://dailystorm.it/2012/11/06/mobilitiamoci-per-il-clima-iv-la-falsa-soluzione-della-cattura-e-stoccaggio-di-co2/

 

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