Quale mito per la Transizione? | Megachip
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Quale mito per la Transizione?

Quale mito per la Transizione?
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18 Gennaio 2013 - 22.42


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tecnoderivedi Paolo Bartolini Megachip.

Nell”epoca ipermoderna del capitalismo globale, dove velocità e innovazione perpetua trascinano con sé le esistenze, recalcitranti o entusiaste, di miliardi di esseri umani, sembra quasi impossibile fissare dei punti fermi, delle certezze condivise.

Eppure, come ci ha ben spiegato Raimon Panikkar, l”intera società occidentale – come qualsiasi altra di ogni tempo e latitudine – vive all”interno di un mito implicito che ha alcuni punti indiscutibili che fanno da sfondo ai nostri vissuti e che ci offrono, volenti o nolenti, delle griglie di precomprensione per dare un senso all”esperienza individuale e collettiva.  

I capisaldi del mito occidentale si impongono sotto forma di “verità” autoevidenti.

Eccone alcune:

hatelove– gli individui esistono per affermarsi, soprattutto a spese degli altri (competizione “naturale”);

– tale forma di affermazione va di pari passo con il desiderio di “avere” più possibile e di averlo subito;

– la natura è “fatta” per l”uomo, che se ne serve per i suoi scopi;

– la tecnologia prepara il paradiso in terra e può eliminare il male. Un giorno forse anche la morte;

– la scienza ha tutte le carte in regola per scoprire i segreti ultimi della materia e i misteri dell”Universo;

Рil denaro ̬ il mezzo per fare e ottenere qualsiasi bene; dunque ̬ un fine, il Fine.

– giovinezza, fama, potere e piacere sono i beni da ricercare nella vita, a qualunque costo.

– non esistono limiti alla crescita dell”economia e dell”apparato tecnoscientifico.

Dobbiamo tenere presente che le convinzioni appena esposte (a cui se ne potrebbero aggiungere diverse altre) sono già operative e performanti nei primi anni di vita del cucciolo d”uomo. Questo ci consente di dire, ad esempio, che qualunque adolescente abiti oggi nei paesi occidentali o in quelli cosiddetti emergenti, pur con tutte le sue particolari sensibilità ed originalità, non può che avvertire (seppur tacitamente) la sua vita come segnata, marchiata a fuoco da tali premesse, che ne costituiscono l”orizzonte ultimo. Con esse dovrà necessariamente misurarsi, per ratificarle passivamente o trasformarle almeno in parte.

Detto questo, visto che non è possibile “costruire” volontariamente un mito alternativo, ci sembra comunque interessante proporre non tanto dei punti fermi, bensì dei punti di partenza che si dimostrino utili per un futuro processo di ridefinizione della nostra configurazione culturale. Muovendo da essi sarà più facile confrontarci con la realtà che ci circonda e ci sfida.

Quattro sono le consapevolezze imprescindibili per maturare un”altra-visione eco-sostenibile:

  1. becciu-farfasiamo mortali, dunque condannati a reperire (o a infondere) un senso in quanto facciamo;
  2. il nostro pianeta e le sue risorse non possono durare all”infinito. Siamo noi responsabili della cura della biosfera;
  3. nulla è isolato, tutto dipende da tutti e da tutto (inter-essere);
  4. l”essere umano, oltre a bisogni psico-emotivi e fisiologici, possiede una peculiarità ineludibile: lo agita un desiderio di infinito, un”insoddisfazione essenziale, una ricerca di pienezza e riconoscimento impossibile da acquietare mediante qualsiasi “cosa”. In altre parole: il desiderio dell”uomo non ha oggetto, non è quantificabile e oggettivabile, è piuttosto desiderio senza nome di una vita autentica.


La politica, la cultura, l”economia, l”arte, la scienza e la spiritualità che verranno, porteranno pace e prosperità solo se saranno illuminate da queste nuove e in fondo antichissime consapevolezze.

 

 

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