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Votare No Tav: per costringere la politica a dire la verità

Votare No Tav: per costringere la politica a dire la verità
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23 Febbraio 2013 - 06.00


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di Giorgio Cattaneo*Megachip

Disastrosa, ideologica e sballata: come i leggendari piani quinquennali del Cremlino. L”assurdità della Torino-Lione sembra uscita dal genio inquieto di Buzzati: cambia il mondo, passano i decenni, ma nel deserto siderale che ha attorno – niente merci e niente passeggeri, né ora né mai – la Grande Opera resiste al Grande Nulla, presidiando una frontiera di fantasie, narrazioni, menzogne e puntuali intimidazioni.

L”ultima: l”intenzione del governo di chiedere un risarcimento abnorme, quasi un milione e mezzo di euro, a quegli abitanti della valle di Susa che, nell”estate 2011, cercarono di fermare l”avanzata delle ruspe, non avendo di fronte a sé altro interlocutore che i reparti antisommossa. Agenti inviati a Chiomonte a proteggere gli operai che avrebbero recintato un prato, per consentire poi ai politici di dichiarare che sarebbe finalmente partita la Grande Opera voluta e finanziata dall”Europa. Falso.

Mentivano, come sempre: forse l”Europa – il giorno che lo deciderà – elargirà all”Italia meno di mezzo miliardo di euro, per un”infrastruttura da 20 miliardi, la cui “tratta internazionale” – estesa soprattutto in territorio francese – sarà in realtà addebitata all”Italia per quasi il 60% della spesa. Il mini-cantiere secondario per la “discenderia” di Chiomonte? Tutto italiano, anche quello: installato con procedure irregolari – recinzioni considerate abusive – e finanziato sottobanco con fondi sottratti alla sicurezza antisismica delle scuole. Questi politici, che ora chiedono al tribunale di imporre il pagamento di 1,4 milioni di euro – a titolo di risarcimento per i disordini – ai 53 militanti No-Tav finiti sotto processo, sono gli stessi che oggi hanno il coraggio di pretendere un “voto utile” dagli italiani, dopo aver loro mentito ogni giorno per vent”anni, raccontando la fiaba della super-ferrovia per la quale in realtà l”Europa non ha ancora versato un euro, nonostante i favolosi costi di progettazione già sostenuti.

Negli anni ”80 la Torino-Lione doveva essere il bypass alpino di un disegno fantascientifico, il collegamento su rotaia che – dopo la caduta dell”Urss – avrebbe unito e americanizzato l”Eurasia, partendo addirittura da Pechino, per raggiungere persino l”Africa con un tunnel sotto Gibilterra. Negli anni ”90 accorciarono il miraggio, ridotto alla sola tratta Kiev-Lisbona, ma sempre truccando i conti: il treno superveloce avrebbe trasportato milioni di passeggeri. Poi arrivarono i voli low cost e il treno veloce invecchiò di colpo. Ma i suoi narratori non si persero d”animo e riciclarono il progetto sotto forma di “alta capacità” per le merci, sempre sulla rotta del mitico Corridoio-5, che nel frattempo però – insieme alle merci, inghiottite dalla crisi – ha perso anche i pezzi: il Portogallo si è ritirato, la Spagna non si sogna di far viaggiare merci ad alta velocità, la Francia si tiene stretta la sua rete Tgv per i soli passeggeri, mentre la Slovenia ha addirittura bloccato i treni per Trieste, l”Ungheria punta tutto sulle autostrade e a Kiev, del famoso Corridoio-5, non hanno mai neppure sentito parlare.

Persino il tronco Torino-Lione è ormai stato spezzettato, per tentare di ridurre la paura psicologica del suo maxi-costo faraonico. Il cosiddetto “progetto low cost” si limiterebbe in prima battuta al solo tunnel, restando però fedele ai suoi record imbarazzanti: il traforo più lungo del mondo, 57 chilometri nel ventre delle Alpi, e al suo imbocco italiano, a Susa, la “stazione internazionale” più inutile del mondo. I valsusini inorridiscono: come tutti i geologi sanno, la loro montagna è piena di amianto e di uranio, e nessuno sa dove verrebbero depositate le tonnellate di materiale di scavo. Polveri pericolose, rischio tumori, radioattività, migliaia di camion in circolazione, viabilità sconvolta, rumore infernale anche di notte, crollo della vivibilità e dell”economia locale, a cominciare dal valore degli immobili.

Tutti problemi chiaramente ammessi dagli stessi proponenti, sottolinea Marina Clerico, assessore della Comunità Montana e docente del Politecnico di Torino: «Chi progetta la Torino-Lione risponde: si vedrà in seguito come risolvere i problemi dell”impatto di un maxi-cantiere della durata di vent”anni, che equivale all”impianto di un”attività industriale colossale, per intenderci come quello dell”Ilva di Taranto. Un impianto che – leggi alla mano – nessun Comune italiano potrebbe mai autorizzare, oggi, sul proprio territorio».

Per l”impatto ambientale “si vedrà“? Un atto di fede, dunque, come anche per il problema più insidioso, quello dell”acqua: lo scavo comporterebbe un dispendio idrico mostruoso e taglierebbe per sempre le preziose falde alpine. C”è chi paventa addirittura il rischio di una catastrofe dalle parti di Torino, anche se l”opinione pubblica torinese è tuttora “anestetizzata” dalla disinformazione sistematica dei grandi media. In realtà, il futuro super-passante correrebbe per chilometri sotto terra, a 40 metri di profondità, intaccando così la falda idropotabile che alimenta la metropoli. «Questo progetto non si realizzerà mai, a meno di un golpe», ha detto a Luca Rastello di “Repubblica” un ingegnere della Regione Piemonte che si occupa di impatto ambientale.

Mission impossibile? Niente paura, la fiaba continua: se Bersani è il politico più in vista tra i sostenitori del Tav, anche attraverso le coop rosse come la Cmc di Ravenna, già ingaggiata nel 2005 per il cantiere di Venaus allora bloccato a furor di popolo, lo stesso Berlusconi non si è mai tirato indietro: c”era lui al governo quando la polizia sgomberò con violenza il presidio di Venaus. E persino Mario Monti, il professore del rigore, si impegna a fare della valle di Susa il teatro del più colossale spreco di denaro pubblico della storia italiana. Il tutto a beneficio degli unici che ci guadagnerebbero davvero: le banche, di cui la Torino-Lione farebbe la fortuna, a suon di interessi da scaricare poi comodamente sui cittadini, sotto forma di debito pubblico – in questo caso davvero “tossico” perché fatto di puro spreco, totalmente inutile per l”economia italiana, come riconosciuto da tutti gli analisti indipendenti.

Ci sarebbe da ridere: la cordata pro-Tav, ammette Confindustria, punta in realtà ad aprire solo un ciclo di lavoro temporaneo, modello Olimpiadi. Appena qualche cantiere, capace di generare 4-5 anni di lavoro per le imprese specializzate; oltre, ovviamente, non si va. In un mondo ormai velocissimo – quello sì – come è possibile prevedere i vantaggi di una maxi-opera che non sarebbe pronta prima del 2035, per poi diventare forse “redditizia”, sempre secondo i proponenti, nel lontano 2050? In realtà – sostengono i No-Tav – chi dice di volere a tutti i costi la grande opera spera solo di aprire, in mezzo alle Alpi, una seconda Salerno-Reggio Calabria, una “fabbrica permanente di appalti e cantieri” per una linea ferroviaria che, dati i costi folli, nessuno potrà mai completare.

Quanto alla sua utilità, silenzio assoluto: la politica si limita a criminalizzare gli oppositori, sostiene Luca Rastello, perché in realtà non ha argomenti seri. Lo stesso Monti, insieme a Napolitano, si è rifiutato di rispondere alle argomentazioni avanzate, per iscritto, da 360 docenti e tecnici dell”università italiana, d”accordo con la Corte dei Conti di Parigi nell”invitare le autorità a non gettare dalla finestra tutto quel denaro pubblico, specie coi tempi che corrono, per una infrastruttura resa ancora più inutile dall”ampliamento del traforo del Fréjus, che ora ha la stessa capienza del futuro tunnel miliardario.

C”è già il Fréjus, ammodernato nel 2012: perché allora ostinarsi a realizzare quello che sarebbe solo un costosissimo doppione? Nessuno ne parla, ma è un fatto: attraverso la Torino-Modane, cioè l”attuale linea ferroviaria internazionale che già attraversa la valle di Susa, potrebbe transitare qualsiasi tipo di carico – anche i container “navali” e i Tir caricati sui treni – se solo queste merci esistessero davvero: complice la crisi, da almeno 10 anni il traffico Italia-Francia è crollato. Mercati saturi e commerci est-ovest ormai solo regionali, perché l”ultima grande rotta rimasta è la Genova-Rotterdam, direttrice nord-sud.

Inoltre, nel caso l”Europa vivesse un nuovo boom economico – non esattamente nelle previsioni – a mancare non sarebbero i treni, ma le aree logistiche di smistamento: a quelle, nessuno ha ancora pensato. Senza contare che le merci non potrebbero comunque correre: oltre i 90 chilometri all”ora, il loro trasporto diventa instabile e pericoloso, riducendo anche la sicurezza di convogli e binari. Il segreto del traffico merci? Non è la velocità, ma la puntualità di consegna: lo sanno gli Usa, gli inventori del “just in time”, i cui treni merci viaggiano a 60 all”ora e valicano le Montagne Rocciose anche a 2.800 metri di quota, senza nessuna fretta, continuando a utilizzare gallerie vecchie di cent”anni.

In Italia, ovviamente, al danno si aggiunge la beffa: la nostra alta velocità – accusa l”ex magistrato inquirente Ferdinando Imposimato – si è finora rivelata una gigantesca truffa, una “fabbrica di tangenti” anche in odore di mafia, con i maxi-appalti affidati a irraggiungibili “general contractor” che poi non controllano i lavori, relegandoli alla opaca filiera dei subappalti, dove i costi lievitano giorno per giorno. E” il regno delle imprese delle cosche, che poi il lavoro lo affidano – a prezzi stracciati, e senza garanzie di sicurezza – ai “padroncini” sfruttati. Altra fonte autorevole, la Corte dei Conti: in media, l”alta velocità italiana è costata tre-quattro volte più di quella francese, e i costi finali sono saliti anche di 8 volte rispetto alle previsioni iniziali. Ciò significa che la Torino-Lione, in teoria, potrebbe arrivare a costare qualcosa come 160 miliardi di euro? «Noi siamo il paese che aveva inventato il Pendolino», sospira Luca Giunti, naturalista e tecnico No-Tav. «Era un treno geniale, perfetto per l”orografia montuosa dell”Italia: inclinandosi, poteva raggiungere alte velocità anche in curva, e senza bisogno di costruire nuove linee speciali». Che fine ha fatto? «L”ha comprato la francese Alstom, rilevando la Fiat Ferroviaria: oggi il Pendolino è venduto in tutto il mondo, mentre a noi cercano di rifilare il Tav, completamente inadatto al nostro paese, dove può viaggiare solo a costi pazzeschi».

Vent”anni di menzogne, dati truccati, frottole. Disinformazione criminosa, oppure grottesca e pittoresca: chi spaccia per “futuro” l”obsoleto Tav, sporco e invadente, nonché palesemente insostenibile, forse ha in mente un”Europa ottocentesca, di merci pesanti, acciai e vapori: un continente antico e troglodita, pre-moderno, pre-digitale. E così, in mancanza di dati credibili, è tanto comodo battere, ancora e sempre, sulla grancassa della diffamazione ai danni dei cittadini della valle di Susa, i primi in Italia a mettere in pratica la difesa attiva del territorio, inteso come bene comune nazionale. «La valle di Susa non è il Tibet», li rincuora lo scrittore Erri De Luca: «Chi vuole il Tav è già sconfitto dalla storia, e presto si ritirerà».

Finora, alla radice di ogni violenza c”è stato soprattutto l”autismo brutale della politica: sempre sordomuta e assente, come in una drammatica sospensione della democrazia. Orfani della politica, senza ascolto da parte delle istituzioni, i valsusini hanno tenuto duro e – con grande tenacia – hanno ottenuto la solidarietà dell”opinione pubblica italiana. Oggi la loro battaglia non è più percepita come una barricata localistica, Nimby. E domani – col nuovo Parlamento che uscirà dalle elezioni – saranno decine i deputati e senatori No-Tav, capaci di costringere la politica a fare, finalmente, il suo mestiere. E cioè mediare i conflitti, anziché innescarli slealmente, per poi farli esplodere e magari marcire. Il mestiere della politica: rispettare la dignità dei cittadini. E soprattutto: dire – per la prima volta – la verità. Tutta la verità, nient”altro che la verità.


* Giorgio Cattaneo lavora per Libre, società cooperativa che agisce nel settore comunicazione multimediale e organizzazione eventi. Scrive per il magazine on-line Libre – associazioni di idee. È autore del romanzo Una valle in fondo al vento, Aliberti editore (208 pagine, 17 euro).


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