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Piccole riforme elettorali, di nuovo...

Si torna a parlare di riforme elettorali, stavolta sotto la spada di Damocle di una pronuncia della Corte Costituzionale, interpellata ora dalla Cassazione.

Piccole riforme elettorali, di nuovo...
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27 Maggio 2013 - 13.38


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di Aldo Giannuli.

Si torna a parlare di riforme elettorali
e, questa volta, sotto la spada di Damocle di una pronuncia della Corte
Costituzionale interpellata niente meno che dalla Cassazione. Infatti,
la Cassazione ha accolto il ricorso presentato dagli avv. Aldo Bozzi e
Felice Besostri, sollevando forti dubbi sulla logicità e
costituzionalità delle dimensioni del premio di maggioranza e delle
liste bloccate, che sottraggono all’elettore la possibilità di scegliere
l’eletto. Se permettete, è una piccola soddisfazione anche per chi vi
scrive che ha sempre sostenuto esattamente queste due tesi. Certo,
bisognerà attendere ora il verdetto della Corte Costituzionale, ma, per
ora, incartiamo questo successo parziale.

L’incombere di questa pronuncia sta
sconvolgendo i giochetti di Pd e Pdl che vorrebbero accordarsi su
qualche ritocco al Porcellum che, in realtà, sta benissimo ad entrambi
(ripeto quello che ho già detto molte volte: il Pd non ha una cultura
liberal democratica ed è portatore di una preoccupante forma di
autoritarismo estraneo allo spirito della Costituzione).

Brunetta ha già buttato le mani avanti:
si ritoccheremo la legge ma niente voto di preferenza (stessa cosa che
sosteneva la Finocchiaro). Solo che, nel caso la Corte Costituzionale
decidesse per l’incostituzionalità delle liste bloccate, voglio proprio
vedere cosa si inventeranno per non tornare alle preferenze.

Intanto si profila un pericolo: il
ritorno al Mattarellum che, diciamolo una volta per tutte, è un sistema
elettorale ancora peggiore.

Il Pd, ovviamente, nel caso di
superamento del Porcellum, sostiene esattamente questa posizione, oppure
ripropone l’eterno ritornello del doppio turno. Spesso ho pensato che
quelli del Pd fossero opportunisti in malafede, ma la verità è ancora
peggiore: solo imbecilli incapaci di elaborare il dolo e, in
particolare, non capiscono assolutamente nulla di sistemi elettorali.
Volete la dimostrazione?

Pariamo da un assunto: perché al Senato
non c’è una maggioranza a differenza della Camera? Perché alla Camera il
premio di maggioranza è dato nel collegio unico nazionale, mentre al
Senato è dato regione per regione e quindi, da una  parte vince uno, da
una parte vince l’altro, i premi si elidono a vicenda e, siccome
l’elettorato non è più diviso in due, ma in quattro schieramenti,
nessuno raggiunge la maggioranza assoluta. Quindi, più sono numerosi i
collegi, più è probabile che si verifichi una situazione del genere: è
intuitivo. Dunque in venti collegi (quante sono le regioni) si è dato
questo risultato che aveva una certa probabilità, proprio perché non
c’era un vincitore che staccasse di molto gli altri (la coalizione Pd ha
staccato l’altra di qualche decimale e solo di tre o quattro punti il
M5s).

Immaginiamo invece se i collegi fossero
400: la probabilità che nessuno raggiunga la maggioranza diventa quasi
certezza, a meno che lo stacco fra una coalizione e le altre non sia
così forte da consentirle di vincere nella maggioranza assoluta dei
collegi, pur con l’inevitabile variabilità di risultato da caso a caso.
Ci sarebbe un modo per evitarlo: prevedere un premio di maggioranza
nazionale aggiuntivo per chi abbia  la maggioranza dei collegi
uninominali. Ma si tratterebbe di un sistema elettorale unico al Mondo:
maggioritario corretto con premio di maggioranza. Dopo, moltiplicate il
tutto per due, con un sistema del genere uguale fra i due rami del
Parlamento -che hanno un corpo elettorale parzialmente diverso- ed avete
la certezza quasi matematica del ritorno all’ingovernabilità.

Dunque, il Mattarellum non solo è un
sistema disrappresentativo, ma non risolve nemmeno i problemi di
governabilità, anzi li accentua ed è il rimedio contrario.

Ed, a questo punto, Epifani tira fuori
il coniglio dal cappello: doppio turno, poco importa se su collegi
uninominali o su lista unica nazionale. Ammettiamo  che il Pdl (con una
parte di Scelta civica) arrivi primo, poniamo con il 39%, il Pd magari
alleato a parte del centro si attesti al 32%, il M5s riprenda più o meno
il 25%, e il rimanente 3-4 vada alle solite liste minori. Se si
trattasse di turno unico il Pdl vincerebbe di slancio. Invece, con il
doppio turno, ci sarebbe un ballottaggio fra Pdl e Pd, e decisivo
sarebbe quello che fanno gli elettori del M5s.

Il calcolo è questo: il Pdl avrebbe
preso tutto quello che può e potrebbe raschiare qualcosa fra le liste di
dispersione, ma dal M5s, con ogni probabilità, potrebbe venire solo
qualche rivolo del tutto minoritario, per cui supererebbe di poco il
40-41%. Al contrario, il Pd potrebbe sperare che gli elettori del M5s si
dividano fra astenuti e “voto utile” a sbarrare la strada al Pdl.
Insomma, gli basterebbe prendere 10 dei 25 punti del M5s per ribaltare
il risultato del primo turno e vincere. Naturalmente, tutto questo è un
conto senza l’oste che non considera né l’eventualità che il Pd arrivi
terzo e non secondo, né quella che gli elettori 5stelle si astengano in
massa. In realtà si tratta dello “schema di gioco” di sempre del
Pds-Ds-Pd: allearsi con il centro al primo turno ed obbligare le
formazioni alla sua sinistra a convergere su di sé al secondo, in nome
del voto contro la destra. Questo fu lo schema con cui Occhetto voleva
cambiare il sistema elettorale nel 1993 (per neutralizzare Rifondazione,
rete e Verdi) e questo è lo schema con cui oggi Epifani vuole
neutralizzare il M5s. Ed, al solito, non capiscono che gli altri
(segnatamente il Pdl) non sono cretini, capiscono la manovra e gli
dicono di no.

E’ probabile che alla fine verrà fuori
solo un accordicchio solo per evitare la pronuncia della Corte
Costituzionale e che voteremo sostanzialmente con il Porcellum ancora
una volta. Ed una volta di più la responsabilità sarà del Pd più di ogni
altro.

 

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