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'Stefano Rodotà: ''Non mi farò schiacciare'''

Renzi e Boschi non sanno di cosa parlano. In confronto all’Italicum, la legge truffa del 1953 è un modello di garanzie...

'Stefano Rodotà: ''Non mi farò schiacciare'''
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6 Aprile 2014 - 15.59


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Intervista
di Roberto Ciccarelli a Stefano Rodotà
.

«Sono
uno di quei “professori” che blocca da trent’anni le riforme
costituzionali? — sorride Stefano Rodotà dopo avere appreso il
giudizio del ministro per le riforme costituzionali Maria Elena
Boschi – Credo che la ministra mi attribuisca una sensazione di
onnipotenza che non corrisponde alla realtà dei fatti. Mi sembra
inverosimile il fatto che i «professori», da soli, siano riusciti
a bloccare le riforme di Craxi, Cossiga, Berlusconi o D’Alema.
Chiunque abbia una minima nozione di storia sa che le riforme della
bicamerale furono fatte cadere da Berlusconi. E quando
quest’ultimo fece la sua riforma, fu respinto da 16 milioni di
italiani con un referendum. Mi piacerebbe molto avere avuto la
possibilità di esercitare un potere così radicale, ma questo non
corrisponde allo stato dei fatti e dimostra che una politica
incapace di effettuare riforme oggi cerca di rifugiarsi in questi
argomenti».

Anche
la ministra Boschi sostiene che lei nel 1985 ha proposto una riforma
del Senato. Ha cambiato idea?

A
parte il fatto che non c’è nulla di male nel cambiare idea, ma
questo riferimento è del tutto inappropriato perché Renzi
e Boschi dovrebbero sapere – e purtroppo non lo sanno –
che la proposta presentata 29 anni fa dalla Sinistra Indipendente,
con me Gianni Ferrara e Franco Bassanini, andava in senso
opposto alla loro. Allora ci opponevamo al tentativo di Craxi di
concentrare i poteri del governo, esattamente come vuole fare
oggi Renzi.

In
cosa consisteva quella riforma?

Intendeva
rafforzare il parlamento e i diritti e aveva uno spirito
che si ritrova nella sentenza della Corte Costituzionale sul
«Porcellum» che non garantisce la rappresentanza. Avanzammo quella
proposta quando c’era una legge elettorale proporzionale,
i deputati venivano scelti con il voto di preferenza,
i regolamenti riconoscevano un potere alle minoranze
parlamentari, non c’erano ghigliottine né limiti agli emendamenti.
L’ostruzionismo della sinistra indipendente fece cadere il decreto
Craxi sulla scala mobile, da quell’esperienza nacque anche la
commissione d’inchiesta sulla P2. In quel clima si voleva
concentrare il massimo potere in una sola camera, rafforzandolo però
con la sua massima rappresentanza. Proponevamo di ridurre a 500
i parlamentari, ma per avere un contraltare al governo. Cosa che
invece Renzi non vuole con l’Italicum. Renzi e Boschi non
sanno di cosa parlano. Denotano ignoranza istituzionale. È un
fatto grave, oltre che moralmente una cattiva azione.

Il
governo, e non solo, sostiene che la sua proposta sul Senato
permetterà di risparmiare 1 miliardo di euro ai cittadini.
Sembra una proposta allettante.

La
trovo una concessione all’antipolitica. Si tratta di un argomento
che può portare in qualsiasi direzione. Più che alla logica,
risponde alla peggiore ricerca del consenso. Basterebbe la riduzione
dei parlamentari e delle retribuzioni per ottenere questo
risparmio senza rovinare gli equilibri costituzionali.

Ritiene
che i renziani stiano reagendo all’appello che lei ha firmato
insieme a Gustavo Zagrebelsky e altri giuristi contro la
«svolta autoritaria» del governo?

Abbiamo
ritenuto di introdurre con determinazione queste argomentazioni nel
dibattito pubblico. Ma non ci viene data risposta e si attaccano
le persone. Ancora in tempi recenti ci sono state un’infinità di
proposte da parte dei «professori» a dimostrazione che sono
del tutto alieni dal difendere o dal conservare. Su Il Manifesto
c’è stata la proposta di Villone o di Azzariti, ad esempio.
Vorrei anche ricordare che avevamo indicato una soluzione con la
manifestazione della «Via Maestra» nell’ottobre 2013.
Sull’articolo 138 e la modifica voluta dal governo Letta,
abbiamo proposto di modificare il numero dei parlamentari e riformare
il Senato, ma in un modo assai lontano dalla proposta attuale.
Chiedevamo al governo Letta di iniziare subito. Se fosse stato
seguito questo consiglio avremmo già una riduzione dei parlamentari
e un Senato come camera delle garanzie che è assolutamente
necessaria.

Cosa
le rispose Letta?

Mi
invitò a Palazzo Chigi, ne parlammo. Il risultato di quella
conversazione fu il referendum confermativo sulle proposte di
riforma. Per quanto criticabile fosse Letta, non aveva la posizione
di chi procede come un rullo compressore. Io non mi voglio fare
schiacciare e per questo alzo la voce.

Da
quello che dice ci troviamo in una situazione peggiore della «legge
truffa» proposta da Scelba nel 1953…

Rispetto
all’Italicum, non la si dovrebbe più chiamare in questo modo.
Anzi, quella era un modello di garanzia. Pensi che per contrastarla
si usava l’argomento che non si poteva mettere nelle mani di
maggioranze costruite artificialmente il destino delle istituzioni.
Aggiungo, a beneficio di chi ci insulta, che quella legge non
passò perchè alcuni professori come Calamandrei, Jemolo, Codignola,
Parri, si riunirono nel gruppo «Unità popolare» e insieme ad
altri la bloccarono. Oggi, invece, si consegna il destino della
democrazia nelle mani di maggioranze costruite artificialmente.
Quanto alla riforma del Senato non ha nulla a che vedere con le
camere rappresentative delle autonomie locali come in Germania. È più
che altro un’esercitazione da studenti che crea pasticci infiniti.

Che
peso ha il patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi?

Questo
patto è stato una scelta infausta. Viola il programma
elettorale sul quale il Pd ha ricevuto milioni di voti.

Ma
rispetta le intenzioni di Renzi…

C’è
una bella differenza tra un programma elettorale e le primarie
di un partito, che sono consultazioni importanti ma sono del tutto
private. Quello di Renzi è un altro modo per delegittimare il
voto e la volontà dei cittadini. Per legittimare un’impresa
così grave è stata fatta un’alleanza con Berlusconi, esclusa
dal programma del Pd.

La
vostra battaglia è dunque contro le geometrie variabili delle
larghe intese?

Non
pensavo di essere eletto a presidente della Repubblica, ma
quella candidatura era per cercare una maggioranza diversa dalle
larghe intese che sarebbero state disastrose. Il fallimento di quelle
intese hanno provocato gli esiti attuali e hanno cancellato
l’impegno di Renzi sul reddito ai lavoratori o sulle unioni
civili.

Dopo
gli appelli organizzerete una mobilitazione?

Vediamo.
Non corriamo troppo. L’appello era un passo necessario e non
saranno gli insulti a fermarci. Le reazioni cominciano ad
emergere: ci sono i 22 senatori del Pd che hanno presentato
un’eccellente proposta. Non voglio prendermi meriti, ma credo che
esprimano un minimo di ragionevolezza.

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