J'accuse! L'Europa è morta... | Megachip
Top

J'accuse! L'Europa è morta...

«J’accuse! Perché dopo una lenta agonia, durata più di cinque anni, l’Europa è morta ufficialmente il 22 settembre 2013.» [Lelio Demichelis]

J'accuse! L'Europa è morta...
Preroll

Redazione Modifica articolo

15 Dicembre 2013 - 09.38


ATF
di Lelio Demichelis

J’accuse! Ma a differenza di Zola – che si rivolgeva al presidente francese – noi non possiamo rivolgerci a presidenti come Barroso, Angela Merkel o Mario Draghi, perché non sono [i]super partes[/i] come poteva essere Félix Faure ma anzi, e peggio, sono loro gli autori diretti di un’autentica e deliberata ingiustizia.

Di più: di un autentico crimine economico e sociale (oltre che intellettuale) compiuto contro l’Europa come ideale e contro l’umanità di milioni di europei oggi impoveriti e con aspettative di qualità della vita (individuale e sociale, politica ed economica) drammaticamente decrescenti. Tutto questo mentre vi erano (e vi sono) alternative decisamente migliori rispetto alle politiche (antipolitiche e antisociali) fin qui adottate dall’Europa.

E se non sono state adottate, è perché l’ideologia ha prevalso sull’intelligenza. Il crimine – da loro compiuto con ostinatissima determinazione e ideologica premeditazione (con dolo) – è di aver fatto morire ancora di più l’Europa (che già non stava troppo bene) e i suoi valori di solidarietà, socialità, uguaglianza, libertà e fraternità, e di ricerca di un virtuoso essere-in-comune. E di averlo fatto usando la crisi finanziaria come alibi/grimaldello per ridefinire e rimodulare in senso autoritario (leggi: indebolire se non cancellare) i diritti sociali e quindi anche politici e civili, la giustizia sociale e non solo, la democrazia, un’idea di progresso – il tutto sempre nella logica ideologica neoliberista per cui non deve esistere società ma solo individui, dimenticando che è impossibile essere individui senza società e democrazia.

Diritti e valori che erano le linee guida virtuose dell’Europa nel trentennio 1950 – fine anni Settanta, quando la politica aveva cercato di democratizzare il capitalismo. Che poi i maledetti trent’anni successivi – quelli del neoliberismo che voleva abbattere la democrazia sostanziale anche se non quella formale (e perché farlo, se bastava svuotare la democrazia di quei diritti e di quei valori e governare in nome di un incessante stato d’eccezione, pur chiamandolo ancora democrazia?) – avevano iniziato ma non erano ancora riusciti a demolire del tutto. Il lavoro di solidificazione della società e degli individui sotto la pesantissima egemonia tecnocapitalistica (esito inevitabile della baumaniana modernità liquida) doveva essere portato a compimento ed è stato facile farlo sotto i colpi della crisi, imponendo ancora più mercato e meno Stato, riducendo il welfare e allo stesso tempo imponendo una jüngeriana mobilitazione totale nella esasperazione del principio di prestazione secondo Marcuse e del principio di connessione nella società di massa della rete.

Portate dunque a niente, l’Europa e la sua democrazia sociale. In nome di un’ideologia neoliberista socialmente devastante e fatta di pure astrazioni (come il rapporto Pil/deficit/debito); portando a niente l’idea stessa di unione che presuppone solidarietà ed empatia, e non abbandono, esclusione, impoverimento. Con europei preda infine di un sempre più pervasivo senso di impotenza e di stanchezza e insieme di un utilitarismo che porta a chiudersi in se stessi (i falsi individui del neoliberismo, i nuovi solipsismi narcisistici, i nuovi comunitarismi e i nuovi tribalismi), demolendo il vecchio contratto sociale e riportando tutti a un regressivo stato di natura, all’homo (oeconomicus) homini lupus.

Un’Europa portata a niente dal nichilismo tedesco, ora nella sua forma teologico-economica e non più teologico-politica e diventato ormai nichilismo europeo, in overdose di cinismo. Che si è sommato al meta-nichilismo implicito nel tecno-capitalismo. Portando infine alla resurrezione dello schmittiano amico/nemico tra europei, oggi tradotto nel virtuosi-predestinati contro colpevoli-peccatori; tra vincenti che vogliono vincere ancora di più (credendosi predestinati) e perdenti che devono perdere ancora di più. Per questo Angela Merkel ha vinto facile tra tedeschi che si credono virtuosi ma dimenticano i loro 7,5 milioni di minijob a 450 euro al mese.

Dunque, questo è un [i]J’accuse![/i] rivolto direttamente agli europei («è a loro che va gridata questa verità», usando ancora Zola), cioè a tutti noi. Noi: che sognavamo di poter essere cittadini di una Unione infine politica e che invece ci ritroviamo a essere sudditi di una dis-Unione dove niente è politica, poco (sempre meno) è democrazia e tutto (sempre di più) è economia, mercato e impresa. Noi: europei-non-più-europei che hanno permesso che l’Europa diventasse un incubo fatto di 26 milioni di disoccupati (19 milioni nella sola euro-zona e 4 in Italia), con una disoccupazione giovanile che ha superato il 60% in Grecia e il 40% in Italia.

Una lenta agonia

J’accuse! Perché dopo una lenta agonia, durata più di cinque anni, l’Europa è morta ufficialmente il 22 settembre 2013. Dov’è finito allora il sogno di Altiero Spinelli e di Ernesto Rossi e del loro Manifesto di Ventotene? Era più di un bellissimo sogno (migliorabile, ma bellissimo e in parte realizzato, prima della sua attuale rottamazione), un sogno a occhi aperti figlio di una ragione politica illuministica-liberalsocialista capace di guardare avanti, di cercare il futuro oltre le rovine di quella prima parte del secolo breve novecentesco.

Con la vittoria di Angela Merkel, invece, quel sogno muore (forse) definitivamente sotto il peso delle rovine (recessione, disoccupazione, impoverimento, malessere sociale, perdita di futuro per i giovani) che questa Europa ha voluto/dovuto rovesciarsi addosso per l’inettitudine, l’ostinazione, la paranoia di una oligarchia che ha sequestrato la democrazia e manipolato la verità; e di una massa di europei capaci di indignarsi solo un po’ (ma poco), di occupare un po’ (ma poco) qualche piazza e di impegnarsi (ahimè, molto) rincorrendo populismo o disimpegno.

Un secolo lunghissimo – il Novecento – (e non breve), iniziato con le rovine prodotte (1914) a Sarajevo e che si conclude (forse) con le rovine prodotte oggi da Berlino e da Francoforte su gran parte dell’Europa, mentre il neoliberismo continua a trionfare indisturbato, facendo profitti sulla vita degli europei – perché egemone, perché ha indotto tutti a pensare che non ci siano alternative (la sindrome della Tina), perché è riuscito a fare di ciascuno anche una preda docile della sindrome di Stoccolma (solidarizzare con chi sequestra la nostra vita).

Un nuovo Manifesto di Ventotene

Certo: chi siamo noi italiani per dire che gli altri (in particolare i tedeschi) hanno sbagliato? Noi che abbiamo Berlusconi e Renzi, Monti, Letta e Beppe Grillo; che abbiamo dilapidato risorse immense; che abbiamo la peggiore classe imprenditoriale del vecchio continente? Chi siamo per proporre qualcosa di nuovo e soprattutto di radicalmente diverso? Eppure Spinelli e Rossi lo hanno fatto – con Mussolini al potere! – con il loro Manifesto di Ventotene.

Dunque, come allora, e fatte le debite proporzioni, abbiamo nuovamente il dovere di proporre alternative radicali. Le proposte ci sono: da Sbilanciamoci.info ai beni comuni, da La via maestra di Zagrebelsky, Rodotà e Landini per la difesa e l’attuazione della Costituzione, all’idea di un nuovo new deal secondo Luciano Gallino. Ma questo non basta ancora. Occorre ripartire dalla consapevolezza che il tecnocapitalismo e il neoliberismo non sono democratizzabili (oltre a essere economicamente ed ecologicamente irrazionali). Con un primo obiettivo: quello di difendere, per ampliarli ulteriormente, i diritti sociali. Che dobbiamo imparare a considerare come diritti universali e indisponibili dell’uomo al pari (se non di più, essendo il presupposto per la loro effettività) di quelli civili e politici.

Se oggi questi diritti sociali sono considerati uno spreco che non possiamo più permetterci; e se difenderli viene considerato un atteggiamento conservatore, ebbene noi siamo radicalmente conservatori e orgogliosi di esserlo (in realtà siamo rivoluzionari nel senso di volere cambiamento e miglioramento). Per questo, oggi, serve lanciare o rilanciare – è ciò che qui facciamo – l’idea di un nuovo Manifesto di Ventotene.

Abbiamo poco tempo per provarci: da qui alle prossime elezioni per il Parlamento europeo. Pochi mesi, per non far morire del tutto il sogno europeista, cacciare le oligarchie al potere e rottamare la loro nichilistica e folle ideologia.

[url”Alternativa – Manifesto per una Nuova Europa”]http://www.manifestonuovaeuropa.it/[/url] [url”Torna alla Home page”]http://megachip.globalist.it[/url]
Native

Articoli correlati